La parola del papa e dei vescovi - 50

OMELIA NELLA MESSA PER IL PELLEGRINAGGIO DIOCESANO A MONTE SOLE

Sagrato della Chiesa
di S. Maria di Casaglia
Domenica 11 settembre 1994



Come avete sentito, Pietro non può accettare il discorso della croce. Si ribella al pensiero che la salvezza e la vita vera debbano arrivare agli uomini per la strada della sofferenza e della sconfitta. Neppure la prospettiva della risurrezione e il traguardo definitivo della gloria gli bastano per entrare con docilità nel disegno del Padre.
Pietro siamo tutti noi: noi che facciamo sempre fatica ad accogliere, nella valenza positiva che certamente hanno nel divino progetto, i drammi, così frequenti nella vicenda umana, degli innocenti uccisi, della violenza sugli inermi, della crudeltà irragionevole che così spesso si scatena su creature desiderose soltanto di poter vivere con semplicità un’esistenza pacifica e laboriosa.
Pietro siamo tutti noi. Perciò abbiamo bisogno, come lui, di ascoltare e riascoltare la parola del Signore che ci ammonisce, che ci invita a sottrarci alle considerazioni istintive e alle analisi deformate dalle precomprensioni ideologiche, per fare sul serio del Vangelo il principio interpretativo di tutta la storia, anche e soprattutto nel sue pagine più angosciate e per noi misteriose.
"Rimproverò Pietro e gli disse: Lungi da me satana! Perchè tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini" (Mc 8,33). Noi torniamo su questi monti soprattutto per lasciarci mettere in crisi dalla parola inaspettata ed esigente di Gesù, che ci trova sempre poco o tanto inadeguati nella piena adesione all’economia redentrice; cioè a quel progetto, pensato dall’inizio per noi, che è tutto incentrato sull’immolazione del Figlio dell’uomo, sulla nostra partecipazione al suo olocausto, sulla sequela dei discepoli di Cristo lungo la sua stessa "via dolorosa": "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 8,34).
Oggi la nostra riflessione è particolarmente stimolata dall’occasione del 50° anniversario degli eccidi consumati qui a Monte Sole. La Chiesa di Bologna è qui, come ogni anno, a ricordare nella preghiera questi morti, che sono suoi; a esaltare il sacrificio dei pastori e dei greggi; a ritemprarsi nel coraggio cristiano contro ogni assalto del male, comunque si presenti; a tonificarsi nella coerenza con le scelte fondamentali del nostro battesimo; a rinsaldarsi nella speranza in una sorte ultraterrena capace di pareggiare finalmente tutti i conti, che quaggiù pare non tornino mai.
Ma la distanza di mezzo secolo, che ormai ci separa da quei tragici giorni, ci consente qualche osservazione più generale.
Forse nessun secolo è stato così insanguinato come il nostro, che pure era iniziato con la promessa di un’era di laica fratellanza e di pacifico progresso illuminato da una ragione che si diceva non bisognosa di nessuna luce dall’alto.
Forse nessun secolo più del nostro ha avuto e ha necessità di credere in Dio e nella sua misericordia, dal momento che i vari umanesimi hanno dato frutti così numerosi e così amari di odio fratricida.
Noi siamo qui a implorare il Signore perchè l’umanità bolognese, in virtù dell’oblazione cruenta di queste comunità ecclesiali, in questo ultimo scorcio del secondo millennio riscopra il Padre che è nei cieli, fondamento e ispiratore di ogni pietà, sola ragionevole premessa di un amore per l’uomo che non sia ambiguo e inconsistente.
In questa nostra regione, il sangue dei discepoli di Gesù versato sotto i colpi delle diverse prepotenze nel breve spazio di venticinque anni, dal 1923 al 1948, è stato davvero tanto.
Noi lo ricordiamo e lo onoriamo tutto, senza esclusioni: dal sangue di don Giovanni Minzoni al sangue di Giuseppe Fanin, massacrato sulla strada di casa mentre recitava il rosario; dal sangue di Antonietta Benni, la generosa maestra ferita e prodigiosamente scampata all’orrore di Cerpiano, al sangue di Rosina Atti di Maccaretolo, stroncata nel fiore della giovinezza per la sua impavida militanza cristiana.
Spicca in questa lunga catena di uccisioni un dato per il quale dobbiamo oggi ringraziare con piena consapevolezza il Signore: i credenti, gli uomini e le donne di impegno ecclesiale esplicito e attivo, sono sempre e soltanto tra le vittime; non sono mai tra i prevaricatori. Hanno subito la sopraffazione, non compaiono mai tra gli elenchi di coloro che l’hanno inflitta.

Secondo l’insegnamento della lettura evangelica, dobbiamo sforzarci di oltrepassare una visione puramente "mondana" per arrivare a guardare gli avvenimenti che oggi commemoriamo con gli occhi di Cristo.
Certo, è legittima e addirittura doverosa, sotto un profilo semplicemente umano, la ricerca storica che mira ad appurare per quel che è possibile la verità dei tragici accadimenti, nel loro svolgersi, nella loro natura, nelle loro motivazioni prossime e remote.
E’ un’indagine che è già stata egregiamente avviata e andrà proseguita ancora per molto tempo, tanto più gratificata di buoni risultati quanto meno sarà culturalmente condizionata.
Ma non è questo il tipo di esplorazione che più sta a cuore a chi davvero vive di fede.
Certo, è legittimo e anzi doveroso ricavare da tutto ciò che di orribile e disumano ha deturpato il nostro secolo un insegnamento efficace, che ci metta in guardia per l’avvenire dall’affidarci incautamente alle ideologie e alle infatuazioni che si affermano fuori dalla tradizione cristiana del nostro popolo. Ma nemmeno questo è ciò che più assilla la Sposa di Cristo, che è la Chiesa.
La Sposa di Cristo vuole soprattutto crescere nella difficile comprensione del piano originario del Padre, che prevede la sofferenza, la riprovazione, la morte come tappe obbligate del cammino per arrivare alla vita e alla felicità senza fine: "E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato..., poi venire ucciso, e dopo tre giorni, risuscitare" (Mc 8,31).
Per questo fine soprattutto, la Chiesa dà culto ai suoi martiri: non come a eroi spavaldi, che l’incantamento dei loro miti induce a sfidare i supplizi, ma come immagini vive di colui che soffrendo e morendo riconsacra l’universo al Creatore, e come segni eloquenti e avvertimenti persuasivi che la sorte del Redentore è anche la sorte dei redenti, chiamati anch’essi a condividere il destino del Crocifisso, ovviamente nella misura e nei modi disposti per ciascuno di noi dal divino volere.
Perciò la Chiesa ricorda tenacemente i suoi figli che per il Regno dei cieli hanno dato la vita, mentre non si preoccupa affatto di ricordare gli uccisori.
Mi ha sempre colpito che nel martirologio raramente si sappia interessata a individuare le responsabilità: è piuttosto attenta che tutto sangue di Agnese, di Sebastiano, di Vitale e Agricola, di Procolo, di Vittore, Nabore e Felice? Non ci è detto.
A differenze del mondo, la "nazione santa" non è particolarmente interessata a individuare le responsabilità: è piuttosto attenta che tutto venga inquadrato veramente nell’economia della croce.
Che il Signore ci aiuti a entrare e a mantenerci in quest’ottica. Allora riusciremo a capire la sostanza più autentica di ciò che è avvenuto a don Giovanni Fornasini, a don Ferdinando Casagrande, a don Ubaldo Marchioni, a don Elia Comini, a padre Martino Capelli e a tutte le altre vittime: ciò che su di essi è stato compiuto dagli uomini come un delitto, è in realtà una vittoria di Cristo; ciò che è apparso ai nostri occhi come una indicibile sventura, a un livello più profondo è una grazia che continua ad arricchire e a edificare il popolo di Dio; ciò che è stato perpetrato dalla malvagità di gente accecata, è in effetti al centro di quella trascendente misericordia che appunto dal sacrificio dei martiri siamo chiamati a riconoscere e ad adorare.

La parola del papa e dei vescovi
1   2   3   4   5   6   7   8   9   10   11   12   13   14   15   16   17
18   19   20   21   22   23   24   25   26   27   28   29   30   31   32   33   34
35   36   37   38   39   40   41   42   43   44   45   46   47   48   49   50   51