La parola del papa e dei vescovi - 3

PECCATI COMMESSI E PECCATI PERMESSI
Una pagina di S. Agostino da meditare

I. - INTRODUZIONE

In questa ora tragica della storia del mondo, di Roma e dell’Italia, indubbiamente viene spontaneo il ricordo della terribile devastazione avvenuta di Roma nel 410 per parte di Alarico, re e condottiero dei Vandali, e degli altri barbari uniti con lui, che ridusse Roma e poi l’Italia e l’Africa ad un cumulo di rovine.
Per ricomporsi ci vollero secoli e ancora ci sono ricordi e lagrimevoli di quello che fecero quei barbari. Questi poi, pazientemente dalla Chiesa mansuefatti e inciviliti, si svestirono adagio adagio della loro ferocia; i figli piansero e ripararono i gravi misfatti dei loro padri e divennero civili e cristiani.
Oggi vediamo ripetersi la scena terrificante di allora, abbruciandosi tesori d’arte e di scienza, e mietendosi a migliaia le vittime. Popoli del mondo che hanno pur veduto, sentito e vissuto la dottrina cristiana, si sono gettati alle opere di distruzione e di morte e hanno seminato la terra di sangue e di strage. Questa è la dura realtà.
L’Augusto Pontefice fin dal primo albeggiare di queste giornate di sangue, ha scongiurato i grandi e i popoli, nel primo messaggio del 24 Agosto 1940, perché la catastrofe fosse impedita.
La paterna parola cadde nel silenzio.
Nel Natale dello stesso anno salutò con gioia qualche luce che sembrò levarsi nell’orizzonte, annuziatrice di pace; era un fauto, ingannevole bagliore, che preparava una astuta e ben congegnata e più larga azione di assalto, a tutta la civiltà cristiana di Europa.
Le forze anticristiane e la setta nemica di Dio, odiatrice del Cristianesimo, che un grande Pontefice, Leone XIII, in una memoranda enciclica (in questo anno se ne celebra il sessantesimo anniversario) l’Humanum genus del 20 Aprile 1884, chiama la città di satana contrapposta alla città di Dio non sono estranee alla catastrofe mondiale.
L’opera pacificatrice del Pontefice fu con ogni mezzo impedita e si giunse perfino a far credere, abilmente diffondendosi la turpe calunnia, che il Papa volesse e finanziasse l’immensa sventura del mondo. È l’antico vezzo del diavolo, menzognero e omicida: vestirsi di ipocrisia e operare il male ad ogni costo. Volere e finanziare la guerra? Si può volere e finanziare la propria rovina? Innanzi a questo universale infuriare di mali come in quello del V secolo della Chiesa, indubbiamente molti cristiani rimangono esterrefatti, e forse scossi nella loro fede. S. Agostino nel suo celebratissimo libro "de Civitale Dei", scritto sullo scorcio della sua vita e proprio sotto il peso dell’immensa rovina, raccoglie questo sentimento. Noi crediamo opportuno richiamare questa pagina profondissima, che è nel Libro I capo IX e proporla alla meditazione vostra, fratelli e figli carissimi, per trarne utili e pratici insegnamenti e formare propositi salutari in questa Santa e dolorosa Quaresima, che avrà principio il Mercoledì delle Ceneri, 23 Febbraio.

II. - LA PAROLA DI S. AGOSTINO

Il dolore temporale espia il peccato che è anche nei buoni.
Il Santo Dottore affronta il problema che chiama "eterno" del male e magnificamente dimostra, che nelle mani misericordiose di Dio, il male ai buoni serve a vantaggio incomparabile, mentre ai cattivi di incalcolabile ed irreparabile danno.
È colla propria perversa volontà che gli uomini preparano la loro rovina.
Vogliamo riferire le parole di una delicata poesia colle quali chiude il capo ottavo precedente a quello che prendiamo a commentarvi.
"Infatti come sotto il fuoco l’oro risplende e la paglia fumiga, così sotto la medesima trebbia la stoppia si frantuma e il frumento si purifica, come sotto il medesimo strettoio l’olio non si mescola con la morchia, così l’istesso dolore prova, purifica, chiarisce i buoni, condanna, rovina e perde gli empi. Di qui avviene che in una stessa afflizione gli ingiusti odiano e bestemmiano Iddio; e i giusti lo supplicano e lo lodano. La differenza non è nella sofferenza, ma nel sofferente. Mescolati nella stessa maniera il fango dà un orribile fetore e l’unguento una soave fragranza". Ed è proprio vero: una stessa mano, la mano di Dio porge il dolore, necessaria medicina, che salva gli uni e uccide gli altri, per colpa di chi la riceve.
Ciò posto in luce, lasciando da parte i malvagi e cattivi, che imprecano e bestemmiano Dio sotto la sferza del male, S. Agostino si volge ai buoni e riferendosi alla devastazione di Roma, rivolge loro questo interrogativo: I cristiani che hanno mai potuto patire nella devastazione di Roma, che non sia tornato a loro giovamento? e risponde: Prima di tutto i giusti, umilmente pensando ai peccati pei quali Dio sdegnato empì il mondo di tante miserie, benché essi siano molto lontani dagli scellerati, dai disonesti e dagli empi, si crederanno poi sì puri di peccato da non meritare le pene temporali?
Ma ammesso infatti anche questo, cioè che ognuno di essi non abbia grandi colpe e pur lodevolmente vivendo ceda un poco alla concupiscenza carnale, non giungendo nè all’enormità di delitti nè al gorgo delle turpitudini, ma solo fino ad alcuni peccati, o rari, oppure leggeri, frequenti, anzi tanto più frequenti quanto più leggeri, ammesso cioè il fatto di una vita abbastanza innocente, il Santo Dottore avanza un’altra domanda: Si può trovare facilmente uno il quale tenga in quel conto in cui sono da tenersi quei tali uomini per la cui orribile superbia, lussuria, avarizia e per le cui esecrabili iniquità ed empietà Dio, come minacciò e predisse, flagelli i popoli?
Sono due dunque le tristi sorgenti per le quali anche sui buoni piombano nella presente vita, vita di prova e di battaglia, non già di vittoria e di riposo, i divini flagelli: i peccati commessi e i peccati permessi.

III. - I PECCATI COMMESSI

Nessuno può certo, seguendo la sua vita, chiamarsi innocente. Il Santo Dottore accenna molto bene, che rarissimo è il caso di chi non debba rimproverarsi qualche colpa soprattutto in quella virtù così delicata della purezza, che anche un soffio meno ordinato appanna, senza che si giunga al peccato mortale; e in quell’altra della carità; così da non commettere azione dannosa al bene del prossimo - il bene dell’onore e il bene della ricchezza. Così facile è trascorrere in una parola di detrazione se non di calunnia. E anche chi pratica la vita cristiana, e forse è incamminato sulla via della perfezione, se ben si esamina, ha certamente offeso il fratello colla parola pungente, colla critica, col rilievo non vero, esagerato, non necessario, di un difetto o di un’azione male interpretata.
E sulla giustizia, come è facile peccare, defraudando l’altrui con mille raggiri e arzigogoli per condurre l’utile a proprio vantaggio! Ben poche sono le ricchezze accumulate senza qualche offesa di giustizia, sia pure non grave o per mancanza di consenso o per piccolezza di materia. Non è offesa alla giustizia poi, il coprire la verità per trarre in inganno altri o che anche solo per ottenere o conservare il proprio comodo? Iddio somma verità detesta le più piccole menzogne. E pure anche tanti buoni si credono lecito infilare bugie a bugie, persuasi che in pratica non si possa vivere nella società senza la menzogna. Ed è proprio per le grandi e le piccole menzogne che è distrutta la tranquillità dell’umano consorzio, perché è falsata la gran moneta che corre per stabilire i rapporti umani: la parola. Luminoso insegnamento del vangelo: est est, non non! È così, non è così. E nel giudizio che Iddio fa di ciascun uomo - al momento della morte - questo è l’unico codice che Egli seguirà, non quello fallace e bugiardo del tornaconto. Punirà ogni parola inutile od oziosa, molto più ogni parola di falsità.
Con questo esame sommario ciascuno si persuade agevolmente che non può lamentarsi delle pene temporali, colle quali espia l’offesa a Dio, grave sempre anche se si tratta di un piccolo peccato deliberato, contro la legge di Dio e la Maestà del Signore. Se ad un sovrano un suddito deliberatamente voltasse le spalle, potrebbe sperare di non essere punito? Potrebbe pensarlo? Quel sovrano sarebbe uno sciocco se non tutelasse la sua dignità, punendo non solo il suddito ribelle, ma anche soltanto villano e ineducato. Se qualcuno eccessivamente democratico la pensasse in modo diverso, darebbe prova di poco intelletto, e se egli, per caso, divenisse un giorno sovrano, cambierebbe di certo opinione.

IV. - PECCATI PERMESSI

Ma ci preme più intrattenervi sull’ altra pagina di S. Agostino: perché dei peccati permessi nessuno si preoccupa. Di questi ve ne sono di due qualità: i peccati permessi nella propria sfera di vita, e i peccati permessi nella società.
Il Santo Dottore dice a proposito: Si può mai trovare facilmente chi si comporti con essi (cioè coi peccatori dei quali ha detto prima che "colle orribili iniquità provocano Iddio che flagella i popoli") come bisogna comportarsi? E qui enumera i difetti di questo comportamento coi cattivi. Spessissimo infatti non ci curiamo «di istruire i peccatori, di ammonirli, e qualche volta di rimproverarli e di correggerli. E ciò perché ci rincresce di farlo, o perché ci vergognamo di offendere a viso aperto o perchè vogliamo evitare la loro inimicizia, affinché non abbiano ad ostacolarci e nuocerci in queste cose temporali, che o la nostra cupidigia desidera di acquistare o la nostra imperfezione teme di perdere».
Esaminiamo bene la triplice maniera di permettere il male intorno a noi additata dal Santo: Non istruire i peccatori; non ammonirli, non rimproverarli, e correggere.
Non istruire. Quanta ignoranza nel popolo cristiano! Se ogni buon cristiano si studiasse di bene approfondire la dottrina cattolica e poi intorno a sè ad ogni occasione, che si presenta, desse questo buon alimento al fratello, che incontra per via, quante tenebre andrebbero dissipate! Colla parola, col buon libro, con un buon giornale, col foglietto volante. Nella vita del B. Claret si legge che un peccatore da molti anni incancrenito nella colpa, entrato in una chiesa e trovando sul banco un foglietto devoto, che il Beato vi aveva lasciato, come usava facendone larga distribuzione, fu mosso a penitenza, e condotto ai piedi del Santo Vescovo missionario, si riconciliò con Dio e visse di poi da buon cristiano.
Talvolta le più elementari obiezioni contro la fede e la morale sono fisse in un cervello e basta una parola chiara e convincente per toglierle e orientare sulla via della verità una mente ottenebrata.
É necessario istruire: santificando la conversazione familiare con qualche fatto edificante, detto con disinvoltura, buona grazia e maniera attraente, senza aver l’aria di predicatore e di saccente. È l’arte dei Santi. Così si propagò il cristianesimo, penetrando perfino nella reggia di Nerone e in quella di Diocleziano. Magnifico esempio infatti S. Sebastiano, carissimo a questo imperatore e capitano della sua stessa Guardia imperiale di onore, in mezzo alla quale fece proseliti per Gesù Cristo, suggellando poi con un glorioso martirio il suo fervido apostolato, per anni esercitato, non con una clamorosa predicazione, ma con una assidua opera di istruzione cristiana.
Lamentiamo il propagarsi del comunismo, che crede dare al mondo e agli operai felicità, aggiungendo rovine e sangue alle molte già accumulate. I buoni operai perché non fanno opera di chiarificazione robusta, serena, persuasiva?
Non ammonire e non correggere. Perché lasciare correre l’errore, il difetto intorno a sè, senza dire con grande carità una parola di riflessione a chi erra? E quando questo non basta, il rimprovero e la correzione. C’è infatti un capitolo della morale cattolica, che è assai trascurato e dimenticato dai buoni. Quello della più bella di tutte le opere di carità: la correzione fraterna.
Si crede purtroppo nel mondo e anche nel mondo dei buoni, che le più preziose delle opere di carità siano quelle, che alleviano la fame, la sete, la nudità, la povertà dei fratelli, la loro miseria corporale. No, no! Oggi perché si è diventati materia si esaltano queste opere al di sopra di tutte. Ma è errore e noi non dobbiamo accondiscendervi ed accettarlo; come avviene per quello spirito di permissione supina ed accidiosa dell’errore e del male, che andiamo esaminando. No, no, la più preziosa e profumata carità è la correzione fraterna, efficacissima, se fatta come si deve a luogo e tempo, con una immensa dolcezza e con una particolare dimostrazione, che si vuol bene e molto bene a chi si corregge.
Esaminiamoci, dunque, se non abbiamo sulla coscienza dei peccati permessi, colla nostra ignavia, indifferenza e trascuratezza.

V. - PECCATI PERMESSI NELLA SOCIETÀ

Anche per questo noi possiamo intervenire, istruendo, ammonendo, rimproverando e correggendo.
Noi non viviamo nel nostro paese nè come animali, nè come piante; e dobbiamo essere indifferenti su uomini, sistemi, massime, indirizzi, che portano alla rovina spirituale non solo di individui, ma di famiglie intere e dell’intera Nazione?
No: ciò è contrario al primo dovere del cristianesimo, che è la carità dei fratelli, della quale la fiamma più calda deve essere pei concittadini, in forza dell’ordine stesso della legge della carità. Si dirà: ma io sono un piccolo cittadino, un atomo in questa grande patria italiana. Innanzi tutto: non tutti sono un atomo, un piccolo cittadino, ma vi sono i grandi, i grandissimi. Se sono buoni cristiani non debbono dimenticarsi di farsi sentire costantemente, fortemente, illuminando, ammonendo, rimproverando, correggendo. Il loro silenzio può essere ed è gravemente colpevole. Si dirà: non siamo ascoltati; rispondo: se tutti i buoni parlassero non è certo che non sarebbero ascoltati, perché infine non sono poi una infima minoranza. Poi, ancorchè si fosse certi di non essere ascoltati, l’adempimento del proprio dovere, ricordiamolo sempre, non è premiato dal successo, ma dal suo valore intrinseco, ed è premiato da Dio e dagli uomini.
Ma i piccoli che possono fare? Sono una quantità trascurabile. Anche qui c’è un errore: se ogni piccolo fa il suo bene, per impedire un male dilagante, la piena può arrestarsi. C’è una grande irruzione di acqua; se tutto un popolo porta la sua pietra, e, ripeto, la sua pietra, indubbiamente se non si tratta di un ‘improvvisa inondazione, l'estrema catastrofe sarà risparmiata.
Voglio guardare a un solo episodio della vita moderna: il Cinema.
Magnifico strumento di bene e di male, adoperato magistralmente dai settari massoni specialmente di oltre mare, ove sono potentissimi; e potentissima è stata ed è la propaganda cinematografica. Il Cinema ha rovesciato una lava distruggitrice d’ogni morale incitando il delitto sotto la forma dell’assassinio e della scostumatezza, incitandolo e insegnandolo. Se i buoni con prontezza fossero sorti a moralizzarlo con due mezzi: 1) assicurando fortuna alle buone produzioni: 2) astenendosi compatti dalle cattive; non dico che si sarebbe estinta la propaganda malvagia e diabolica ma attenuata, e immensamente ingigantita quella di istruzione e di sana morale educativa. Il Cinema indubbiamente è stato la grande scuola anche della follia del sangue che ora imperversa sulle moltitudini.

VI. - I PERCHÉ DI QUESTO ASSENTEISMO DA PARTE DEI BUONI

A - La timidezza.
L’addita assai felicemente il Santo Dottore: benché ai buoni dispiaccia la vita dei cattivi, essi però sono assenti come dicemmo: "perché si vergognano di offenderli a viso aperto o perché vogliono evitare la loro inimicizia, affinché non abbiano ad ostacolarli o nuocerli in queste cose temporali, che o la nostra cupidigia desidera ancora acquistare, o la nostra imperfezione teme di perdere".
I perché dunque sono due: a) la timidezza per soverchio e non giusto timore di offendere i cattivi; b) l’interesse per la propria fortuna. Si vuol evitare la loro inimicizia che potrebbe nuocerci nei nostri desideri di conservare i nostri beni temporali o di accrescerli.
Timidezza - Senza dubbio il coraggio è un dono di Dio ed un frutto della propria natura. Argutamente Manzoni osservava che chi non l’ha non può darselo. Però quando si tratta della gloria di Dio e della salvezza delle anime, conviene chiederlo instantemente al Signore.
Tutta la storia della Chiesa è un magnifico esempio di quello che l’amore di Dio e la fede viva seppero fare per trasformare timide nature in eroi. Il luminoso nostro martirologio è testimone irrefutabile, che vero cristiano e paura, dovrebbero essere termini antitetici, che non possono stare assieme. Ma questa timidezza proviene dalla assenza di una profonda convinzione. Perché chi è saldamente convinto vince la naturale timidezza ed è invitto nella affermazione delle proprie idee. Procuriamo adunque di creare in noi questa convinzione e scomparirà la timidezza. Siamo ben convinti che Iddio è il nostro Padre, la Madonna nostra Madre dolcissima e potremo tollerare che in nostra presenza e nella nostra casa si bestemmi il Padre nostro e la Madre nostra? Tollereremmo l’insulto al babbo e alla mamma? Sì, se fossimo degli imbelli e dei vili nel più largo e profondo senso della parola: senza intelletto, senza nessuna fibra di carattere! La timidezza si deve superare invocando il divino aiuto, e così vincendo la nostra fiacca natura. La timidezza però proviene anche da amore di quieto vivere; abituiamoci perciò a scioglierci da questa accidiosa atmosfera, che paralizza ogni opera buona e ogni santa iniziativa. Come farà bene un po’ di esame su questo punto di vera vissuta vita cristiana! I peccati di omissione e di pigrizia sono quelli che spesso e da molti si dimenticano; nè si accusano, nè si piangono. Li troveremo perciò nel libro del giudizio - appena spirati - non pianti e perciò non cancellati.
Ecco perché il dotto e santo Card. Bellarmino di purissima vita ripeteva pensando al divino giudizio: temo per le omissioni; timeo propter omissiones.

VII. - ALTRO PERCHÉ

B - L’interesse.
Il timore che i cattivi ci nuocciano o impedendo acquisto di beni e di fortuna, o portandoceli via. Terribile, fortissima e malefica molla l’interesse - per tante vite ed azioni umane - ed è ben difficile sapersi rendere superiore alla sua sinistra influenza. Però riflettiamo: I beni assicurati con l’offesa della coscienza sono poi bene assicurati? E se non ci saranno tolti dagli uomini, non ci saranno tolti da Dio?
Alcuni trattandosi di conservarli questi beni e di accrescerli non con una cooperazione diretta coi cattivi, ma solo con una acquiescenza e con un assenteismo per non avere brighe, credono di non meritarsi i divini castighi, nè di averne una colpa: anzi forse pensano di seguire una regola di lodevole prudenza. Non riflettono che è invece quella prudenza della carne che lo Spirito Santo chiama - nemica di Dio - prudentia carnis quae inimica est Deo - e che proprio chiama le divine vendette e la morte sul proprio procedere delittuoso e colpevole. Prudentia carnis mors est quoniam prudentia carnis inimica est Deo (Ad Rom. VIII).
Ed è proprio la conclusione alla quale viene il Santo Dottore. I peccati permessi faranno sì "che i buoni non cadranno nella perdizione che ai cattivi è preparata, nella quale questi cadranno dopo questa vita, tuttavia perché indulgono ai loro condannevoli peccati, insieme con essi sono flagellati nei loro leggeri e veniali peccati e giustamente nel tempo, benché non siano puniti in eterno. Quando sono flagellati da Dio, insieme con essi, trovano giustamente amara questa vita, per amare le cui dolcezze non vollero essere amara ai peccatori".
La sanzione di Dio dunque è proprio questa: per amore del vivere quieto e per non perdere beni temporali come la fortuna e le ricchezze, i buoni chiusero occhi, orecchie, labbro, innanzi alle opere e alla propaganda dei malvagi e Iddio coi flagelli di malattie, di guerre, di sventure pubbliche e private, li priva della quiete, dei beni di fortuna, delle ricchezze e alcuna volta della vita stessa.
Con un disegno però di misericordia: perchè loro risparmia l’eternità infelice: come appunto il Santo Dottore così apertamente afferma.

VIII. - UN’ ALTRA RIFLESSIONE A SPIEGARE LE AFFLIZIONI DEI BUONI

In questa stessa pagina, che abbiamo voluto sottoporre alla nostra e vostra meditazione, il Genio d’Ippona, con brevissime parole accenna un’altra ragione per la quale i buoni sono afflitti come Giobbe, che non cessò un momento di proclamarsi innocente contro tutte le affermazioni degli altri, i quali, secondo l’erroneo concetto ebraico, che ogni disgraziato era un colpevole, lo accusavano d’essere un colpevole ed un grande colpevole. Ed è perché si rendano conto e conoscano con quanta forza amino e disinteressatamente Iddio.
Bella e fine osservazione! Infatti è nel dolore e nelle dure separazioni dalle cose e persone care che diamo prova e facciamo prova se in noi c’è attacco alla terra e se aspiriamo al Cielo e solo a Dio. E non è dubbio che l’esperienza attesta come sia purificatrice la sofferenza e che le pene, come fuoco, scoprono l’oro della più perfetta carità verso Dio, al Quale anela l’anima sciolta da tutti i pesi della materia ingombrante e del fango delle passioni. Sarebbe da desiderarsi che ci purificassero senza il fuoco e il ferro di questo Medico e Chirurgo divino (anzi sarebbe nel nostro interesse); purtroppo ciò non avviene e non avverrebbe quasi mai: proprio come il malato che avrebbe potuto risparmiare l’operazione chirurgica, se a suo tempo avesse indulto meno ai vizi della carne, alle allettative della gola, a tutti i suoi gusti disordinati, ma invece è stato necessario che si venisse al ferro e al fuoco per guarire.
L’uomo si tormenta e si uccide corporalmente e spiritualmente per sua volontà; e novantanove volte su cento è l’artefice delle sue sventure e delle sue lagrime, dalle quali in massima parte non risorge (quando pure può risorgere), che attraverso al duro coltello di separazione violenta e dolorosa di cose e persone.

IX. - APPLICAZIONI PRATICHE NELL’ORA PRESENTE

1) Cessi la lamentela e più ancora, se disgraziatamente ci fosse stata, la parola blasfema e di ribellione contro Dio; e risuoni invece e spesso, alcuna di queste pie affettuose giaculatorie: "Pater noster... fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra. Parce Domine parce; a peccatis meis munda me et abalienis parce servo tuo. Padre sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra. Perdona o Signore, perdona. Dai miei peccati purificami, o Signore, e dei peccati degli altri abbi pietà". Si capisce pietà per essi e pietà per noi, per la parte che possiamo avervi avuto.
2) Rincuoriamoci ad un più rigido controllo della nostra vita nel compimento dei nostri doveri individuali verso Dio, l’anima, la famiglia nostra. Abbiamo veramente dato a Dio quel che è di Dio? Di Dio è tutto; ma Egli si è riservato per esempio - un giorno nella settimana - il suo giorno -. L’abbiamo santificato? È una piccola percentuale, quella dei cristiani cattolici, che va nelle feste alla Messa; più piccola quella dei cristiani cattolici che andandovi, veramente offrono coscientemente il "sacrificium laudis" al Signore con cuore devoto, contrito e umiliato. La percentuale degli assenti quasi del settanta per cento nella nostra città, pur non avversa alla Religione. E la profanazione del giorno santo col lavoro sfacciato e provocante?
Meditate quello che il Signore diceva ad Israele per bocca del Profeta Geremia: "Se non mi darete ascolto col santificare il giorno di sabato... io manderò un fuoco nelle sue porte e non si estinguerà prima di avere consumato gli edifici di Gerusalemme" (c. XVII). Sembra si avveri nei bombardamenti tragici e crudeli che desolano la terra!
E del nostro tempo, della intelligenza, del cuore, quanto ne abbiamo consacrato al suo servizio? Ci chiamiamo onesti: la prima ingiustizia la commettiamo contro di Lui, Creatore e Signore nostro: rubandogli empiamente il Suo.
L’anima è la parte nobile-immortale, che sopravviverà allo sfacelo del corpo. Pensiamo e lavoriamo ad assicurarle la eterna felicità, la salvezza al di là? Oppure, intenti soltanto a questa vita del corpo, praticamente viviamo ed operiamo come se fossimo di quelli del gregge di Epicuro, che « l’anima col corpo morta fanno »? Eppure ad ogni momento - nelle tragiche ore di questo tempo tenebroso dell’umanità - l’anima può essere chiamata al di là per una sentenza irreparabile di condanna, se in stato di colpa grave e di inimicizia con Dio.
La famiglia è considerata e avuta come un tempio e un santuario , dove risuoni la preghiera a Dio, olezzi il profumo della carità vicendevole, risplenda la luce di onestà di costumi secondo le leggi morali della natura e di Dio, che assicura sanità di membra e di spirito? Il demone della discordia, della irreligione, della scostumatezza, forse trasforma la casa in un inferno.
Meditiamo su questo schema di esame pratico: e Iddio alla giustizia farà succedere misericordia.
3) Un’altra famiglia, la Patria.
C’è un’altra famiglia, cara quanto la prima, la Patria. Verso di essa abbiamo dei doveri santi e dolci e siamo colpevoli se ai dolori, ai martiri suoi, noi assistiamo indifferenti e inerti. Indubbiamente questo rovescio di mali su questa bellissima terra nostra noi lo dobbiamo anche a cattivi italiani, che nell’ora di un travaglio mondiale non si sono stretti in un fraterno nodo per superarla.
Quante volte dicemmo nelle nostre molte lettere: concordia - non aggiungere dolori a dolori, lagrime a lagrime - per riuscire a far trionfare una nostra concezione, una nostra ideologia.
La bellissima profonda parola del Papa - nel magnifico discorso agli operai del 13 Giugno 1943 - evoluzione non rivoluzione - che già ripetemmo a voi più volte, la vogliamo ancora ripetere qui. Accendere fiamme, dare esca a passioni inumane sotto l’incubo di devastazioni nemiche è un gran delitto verso di sè stessi, la propria famiglia, la patria.
Ogni cittadino si prefigga coll’opera, colla parola, col compimento coscienzioso del proprio dovere verso chi governa, verso i proprii fratelli, di collaborare alla sicurezza, alla tranquillità, al soccorso fraterno. Discuteremo dopo, rivendicheremo dopo quello che riteniamo e riterremo nostro buon diritto. Ora cerchiamo di disarmare tutti gli animi e tutte le mani. Si dirà: ma ci sono i decisi a non volere disarmare, nè in un senso nè in un altro. È vero; ma però se i buoni tutti saranno ben persuasi a mettersi in un apostolato assiduo per spegnere gli incendi, per rianimare la fede, per esercitare tutti la carità, per far comprendere che è momento supremo questo nel quale ogni atto inconsulto può essere morte e rovina per tutti, molto male sarà risparmiato, molto bene sarà fatto.
Iddio interverrà e disperderà gli operatori d’iniquità, assoldati da Satana per distruggere il Cristianesimo, la Chiesa, l’Italia cristiana e civile. L’ora delle tenebre non può durare sempre; come non durò dopo la notte della Passione, nella - quale lo stesso Figlio di Dio fu dato in mano a Satana e ai suoi satelliti nella più tormentosa ed obbrobriosa delle tragedie.
Nessun assente in questa Crociata per la giustizia e per la carità di Patria. Non sarà abbandonata l’Italia da Dio, che per un disegno provvidenziale ha tanto strettamente congiunte le sorti della sua Chiesa ai destini dell’Italia. Le ferite che essa riceve feriscono la terra dove il Vicario di Cristo oltre il suo seggio di universale governo, ha il suo episcopato - Vescovo di Roma -; la sua dignità primaziale - Primate d’Italia - e più che mai il suo cuore. Distrutti i tesori della fede, della morale, dell’arte, della scienza, in Italia, non è nè sarà distrutta la Chiesa, ma è e sarà gravemente colpita in una parte del suo Corpo, forse il più fiorente di vita cattolica. Iddio non l’abbandonerà; e dovesse anche operare prodigi, li opererà; e come ai tempi di Caterina da Siena, invierà creature privilegiate, ammonitrici e portatrici di pace, di vera pace, di vita, di vera vita.
Non disperiamo per la nostra preghiera, ancorché tardi l’esaudimento.
Certo sembrerebbe sia più facile alla divina Potenza fermare la terra scossa dal terremoto (e lo provammo quando fiduciosi ci volgemmo alla nostra Madonna di S. Luca e ripetemmo la energica parola di S. Bernardo « Tenente te non corruis ».Se tu ci tieni nelle tue mani non cadremo, nel 1929).
Più difficile sembrerebbe l’opera di Dio misericordioso dove ci sono le volontà umane, alle quali Iddio non toglie, non vuol togliere la libertà dell’arbitrio; ma è sempre vero che Egli ha in mano anche gli uomini stessi e le loro volontà e in un momento Egli può spezzare una volontà ribelle, perché non nuoccia, e può con un colpo della sua grazia mutarla dal male al bene senza offenderne la libertà. Sono i misteri impenetrabili della sua infinita sapienza e bontà; ma che si comprendono se si pensa chi è Dio: Signore e Padre!
Perciò non disperiamo mai di Lui che non vuole la perdizione ma vuole la salvezza di coloro che amano e in Lui figlialmente confidano.
Vi ripeto il caldo invito dell’Augusto Pontefice nell’ultimo messaggio natalizio: « Serrate le vostre file, non cada il vostro coraggio, non rimanete inerti in mezzo alle rovine. Uscitene fuori alla ricostruzione di un nuovo mondo sociale per Gesù Cristo ».

Azione e preghiera, perché Gesù Cristo trionfi nella sua divina dottrina, giacché - ognuno che ragioni - deve dire nel segreto del cuore: Quest’orribile catastrofe ha un nome solo: "Apostasia". Apostasia dei grandi e dei piccoli da Gesù Cristo e dal Vangelo.

Ai piedi della Madonna corriamo, almeno col pensiero, più frequenti che mai, specialmente nell’ora della nostra "Messa del Voto" alle ore 10,15. Ripetiamole: "Madre! riconduci gli uomini a Gesù! non solo nel secolo futuro, ma ora: Jesum benedictum fructum ventris tui nobis ostende, non solo nella luce della eternità - post hoc exilium - ma in questa ora di tenebre - ostende, ostende - fallo vedere, fallo vedere a questa povera umanità!".
Vi benedico figli e fratelli carissimi con intenso affetto partecipe in ogni momento delle sofferenze vostre, che tutte si ripercuotono nel mio povero cuore; ma fiducioso nelle divine misericordie: Post tenebras spero lucem!

Dalla nostra Residenza oggi 11 Febbraio 1944,
Festa della Apparizione B. V. Immacolata a Lourdes

Giovanni Battista Card. Nasalli Rocca di Corneliano
Arcivescovo di Bologna


La parola del papa e dei vescovi
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