La parola del papa e dei vescovi - 24

OMELIA NELLA CELEBRAZIONEPER IL XXX DEL MARTIRIO DI GIUSEPPE FANIN

Chiesa collegiata di
San Giovanni in Persiceto,
sabato 4 novembre 1978, ore 18

La chiesa di Bologna celebra oggi la festa liturgica dei santi Martiri Vitale e Agricola: i primi Martiri che, secondo le memorie della nostra Diocesi, hanno dato pubblica e meravigliosa testimonianza della fede in questa nostra terra. E non solo a parole, come professione di fedeltà e amore a Cristo, ma anche con le opere, cioè con l’esempio della loro vita e con la prova suprema della morte.
La pienezza della testimonianza cristiana include anche l’effusione del sangue, offerto liberamente di fronte alla crudeltà della persecuzione.
Il sangue dei Martiri è semente di nuovi cristiani. E come la Chiesa di Cristo scaturisce dal suo cuore trafitto sulla Croce, così possiamo rilevare che la diffusione del Cristianesimo nel mondo e nelle varie Chiese particolari riceve impulso e sviluppo dal sangue dei Martiri. Essi, uniti a Cristo e sostenuti dalla potenza della grazia, sono riusciti non solo a non rinnegare la propria fede, ma proclamarla apertamente con il dono supremo della stessa vita.
A noi Bolognesi, questi Santi Martiri Vitale e Agricola sono molto cari. Anzitutto, perché hanno sempre illuminato ai nostri Padri la via per accogliere e vivere il Vangelo. Inoltre, perché un grande Dottore della Chiesa, Ambrogio Vescovo di Milano, volle venire nella Città di Bologna per venerare le loro reliquie ed esaltare il loro esempio di fronte alle altre comunità ecclesiali.
Vitale e Agricola erano di diversa condizione sociale, ma uniti tra loro dall’amicizia cristiana. E uniti restarono anche nella prova dell’amore più grande, quella di dare la vita per il loro Signore.

Soffrire per la giustizia

In questa liturgia, il nostro animo è più preparato a cogliere quanto ci suggerisce l’Apostolo Pietro: "Chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi!" (1 Pt 3, 13-14).
Sono parole che, in un primo momento, ci riescono molto difficili: la sofferenza infatti incute sempre timore. Ma poi ci lasciamo guidare dalla ispirazione dell’Apostolo: "Non vi sgomentate per la paura di chi vi perseguita, nè vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori" (1 Pt 3, 14-15).
Se i Santi, in particolar modo i Martiri, hanno dimostrato tanto coraggio e pienezza di amore proprio nel momento in cui venivano oppressi e travolti, il motivo è evidente: la forza che viene da Cristo è una grazia interiore che sostiene e conforta proprio nei momenti decisivi che a distanza, e secondo le limitate viste umane, appaiono davvero impossibili e insopportabili.
Sembra, anzi, che in quelle prove supreme e decisive la chiarezza della mente, la forza della volontà, la carica dell’amore si manifestino con la più mirabile espressione. Si verifica così quanto ancora troviamo nella esortazione di S. Pietro: " (siate) pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3, 15).

Meglio soffrire operando il bene

Vi è poi nel testo di S. Pietro un’affermazione che chi è senza fede difficilmente può comprendere: "É meglio infatti... soffrire operando il bene piuttosto che fare il male" (1 Pt 3, 17).
Purtroppo, nella vita dell’umanità e in tanti momenti della storia, si verificano clamorose ed enormi infrazioni a questo principio, che riferisce la parola e il volere del Signore.
Avviene infatti che molti imbocchino una strada di sofferenza, con dannose conseguenze a non finire, cadendo nella schiavitù del male, invece che sacrificarsi per attuare e diffondere il bene, e raggiungere così la vera felicità a cui aspira il cuore dell’uomo.
Seguire tale direzione, abbandonarsi a tale disordine appare contro la nostra stessa natura, e trova la sua spiegazione nella fragilità e nell’errore della povera condizione umana.

"Produce molto frutto"

Con la fede in Cristo, tutto si illumina. E il nostro Maestro e Salvatore, anche nella lettura del Vangelo scelta per questa festività, ci rende più chiara la comprensione del suo sacrificio con un esempio che viene dalla vita dei campi: "In verità vi dico, se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12, 24).
La speranza e la salvezza del mondo vengono dalla Passione e dalla Croce di Cristo.
L’immolazione che si compie sul Calvario è il preludio della risurrezione e della vita nuova.
Su questo fondamento, ogni sofferenza umana, offerta a Dio con amore, produce speranza e sollievo, e può giungere alla gioia piena. É una via quanto mai misteriosa: ma ce l’ha indicata il Signore, e noi possiamo sempre sperimentarne la validità, e i doni e i frutti spirituali ad essa collegati.
Quante volte, in una famiglia, dai sacrifici dei genitori viene assicurata la buona formazione dei figli! Com’è evidente che dalle fatiche del lavoro quotidiano si ricava la possibilità di alimentare e accrescere la vita! E non dobbiamo sorprenderci se da piccole e grandi rinunce, da nascondimenti e apparenti insuccessi, si espande una fioritura di bene che diffonde la gioia a largo raggio.
Possiamo rivolgerci ai Santi e anche a generosi cristiani del nostro tempo, per averne conferma.
Raoul Follereau ci ha potuto attestare che i suoi sacrifici, le sue peregrinazioni, i suoi sforzi tenaci hanno recato grandi segni di felicità, con la guarigione di innumerevoli lebbrosi.
Se chiedessimo a Madre Teresa di Calcutta a che valgono gli stenti e le fatiche sue e delle Suore, ci risponderà presentando il miracolo morale di un gran numero di bambini e malati o misere vite restituite a condizioni di salvezza, liberazione, dignità umana e cristiana.

L’esempio di Giuseppe Fanin

Il sacrificio di Giuseppe Fanin si inserisce in questo solco tracciato dal Vangelo.
La testimonianza data da questo giovane continua nel tempo e si rende, anzi, più viva. Certo, il momento in cui egli cadde sotto la crudeltà fratricida, la sera del 4 novembre 1948, fu di sgomento e di smarrimento, per quanti lo conoscevano ed amavano. Il culmine del dolore fu rappresentato dall’abbraccio della madre al corpo straziato: "Eri bello, povero Peppino; come ti hanno ridotto!".
Ma da quella immolazione non è sorta alcuna vendetta od ombra di male: solo amore e manifestazione di virtù e valori recati dal messaggio di Cristo.
Anche per noi il pianto sale ancora alla gola, al solo pensiero della malvagità a cui possono giungere il cuore umano e la mano che si leva contro il giusto.
Resta sempre l’impegno morale di risalire alla vera radice di un odio e di una violenza che non si arrestano anche ai nostri giorni, e rivelano segni sempre più atroci e sconvolgenti.
Un’origine è certa: è quella delle idee, che, quando sono malsane, generano rovina. Se l’educazione è deformata, il cuore dell’uomo diviene cattivo, prigioniero del male, e, come ineluttabile conseguenza, si prepara lo spargimento del sangue fraterno.
Eppure quant’è difficile giungere alla saggezza di riconoscere che radici guaste non possono dare che frutti velenosi!
L’ammonizione che ci viene dal Vangelo è molto incisiva: un albero cattivo non può dare frutti buoni.
Di fronte al male, poi, non si deve rimanere inerti. La deplorazione, da sola, non basta, per opporre i dovuti rimedi. La via più valida è indicata dal Libro sacro: vincere il male con il bene.
Questa convinzione l’aveva profondamente assimilata Giuseppe Fanin. Egli, di fronte al pericolo e alle insidie, e, poi, al momento decisivo del sacrificio cruento, ha saputo tradurla in mirabile esempio.
Quanto provava nel suo animo è attestato da segni molto espressivi. A un amico che con preoccupazione e premura gli dice: "Pippo, un’arma in tasca non ti fa male. Vedi che quasi ogni giorno succede qualche fattaccio! Anche tu hai il dovere di difenderti", Giuseppe Fanin risponde: "No, no. Se mi dovessi trovare un giorno nella necessità di difendermi e difendendomi uccidessi qualcuno, forse avrei tutti gli anni che mi rimangono amareggiati da un rimorso" (Giuseppe Fanin, Bologna 1949, pag. 58).
E disponeva il suo animo a tranquillità, alimentando sentimenti di grande bontà: "Non so poi perché dovrebbero cercare me! Non ho mai fatto male a nessuno" (Ib).
E in quella occasione aveva soggiunto: "In Dio e nel Paradiso io ci credo" (Ib).
Quali fossero le sue convinzioni profonde, e come fosse giunto preparato anche all’ora del martirio, lo si può rilevare con tutta evidenza anche dai fogli dei propositi degli Esercizi Spirituali che furono trovati insanguinati sul suo corpo straziato.

I valori della sua vita

Ricordare questo caro giovane vuol dire saper cogliere i valori che emergono nella sua vita e nella sua morte.
Era intelligente e robusto, sereno e attivo, generoso e impegnato. Amava la cultura e partecipava intensamente all’Associazione degli Universitari Cattolici. Si laureò all’Università di Bologna; ma, invece di esercitare la sua professione in città, preferì dedicarsi al mondo rurale e all’azione sindacale.
Tutto questo suo impegno - anche se egli stesso non poteva prevederlo - doveva costituire un esempio anche per le nuove generazioni.
É di questi uomini e di queste opere, è di tali testimonianze coraggiose, che ha sempre bisogno la società. Però risultati così preziosi e fecondi non sorgono per generazione spontanea, ma dall’opera educativa che si attua e coltiva nella famiglia, nella parrocchia e nella scuola.
Se non si ha cura della semina, non si può attendere il raccolto.
Come vorremmo che anche oggi - pur tra le notevoli difficoltà - il mondo del lavoro e la vita pubblica e sociale ricevessero influsso dal messaggio che ci è offerto da Giuseppe Fanin!
La vita comunitaria avanza tra continui problemi, in tutti i settori.
In questo periodo, si è resa sempre più acuta e pesante la situazione negli ospedali.
Se si ispirasse la propria attività a valori umani e cristiani anche nello sviluppo delle comprensibili vertenze sindacali, si avrebbe cura di non danneggiare mai i più deboli e gli infermi.
E la vita della comunità sarebbe più consolidata nella concordia e aperta a vero progresso, quando si applicasse, anche a costo di austerità e di sacrifici, la regola d’oro che ci viene dal Vangelo: fare agli altri ciò che desideriamo che sia fatto a noi.
Se l’organizzazione e la tecnica vanno valorizzate e utilizzate, non dimentichiamo mai, d’altra parte, che è lo spirito che vivifica.
Questa realtà che ci è riproposta con più forte incisività dal sacrificio di Fanin, e di tanti altri testimoni, che hanno contribuito a difendere e accrescere i valori della vera pace e della concordia, e a donare le energie più valide per il rinnovamento e un avvenire migliore della civile convivenza.
Il nostro ricordo e la nostra speranza non si basano su argomenti umani, ma sul mistero della Croce, e sono vissuti nella comunione dei Santi e nella preghiera fiduciosa ai grandi Martiri, Patroni della santa Chiesa.

La parola del papa e dei vescovi
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