Non ignari Noi stessi delle più terribili conseguenze della guerra avendo, come ben sapete, fratelli e figli carissimi, avuta la morte ben vicina, nella notte del 29 Dicembre dello scorso anno per le bombe che caddero sulla stessa nostra dimora lanciante dal cielo dagli ordigni di guerra che hanno desolata e devastata tutta l’Italia dalle grandi metropoli ai piccoli villaggi, veniamo a voi per annunciarvi la S. Quaresima, che si aprirà il 14 del prossimo Febbraio col Mercoledì delle S. Ceneri, e per dirvi nuovamente la nostra parola di esortazione, di consolazione, in questi momenti, nè quali è tanto il bisogno di penitenza e di meditare. E la parola che vi diciamo è quella che così spesso ricorre nel Vangelo, ripetuta dal Divino Maestro specialmente innanzi alle avversità più gravi che tormentavano quelli che ricorrevano alla sua bontà infinita e alla sua virtù taumaturga.
Fede! Niente è impossibile a chi ha fede, a chi crede in Dio e nel Figlio suo, Salvatore nostro. Ora è proprio questo che manca, è proprio la Fede che si è attenuata e, diciamolo schiettamente, si è attenuata in tutti: perché tutti soffriamo o siamo in pericolo di soffrire dello scetticismo, che ha invaso le menti e i cuori, tanto che si è giunti a dire che il cristianesimo è superato, che si è trovato impari ed inefficace innanzi a questa catastrofe! Bestemmia ed assurdità! Perché è proprio solo il Cristianesimo, solo la Chiesa Cattolica con a capo il Romano Pontefice, che, dopo questo lavacro di sangue e di rovine, rimetterà, ad onta della titanica lotta di Satana e dei suoi affiliati di ogni terra, rimetterà sulla via l’umanità. L’umanità che Dio ha creato, Gesù Cristo ha redento, e che non muore fino all’ultimo giorno della sua esistenza, segnata non dagli uomini ma da Dio. Infatti fino ad ora si è cercato di impedire la sua azione e il mondo è precipitato in questo abisso di mali... Ma già si capisce che bisogna tornare a Dio. Il Pontefice nostro nel messaggio natalizio ultimo ha queste parole profetiche quanto all’avvenire del popolo: "una parte essenziale del suo compimento dovrà toccare alla religione di Cristo ed alla Chiesa, messaggera delle parole del Redentore e continuatrice della sua missione di salvezza. Essa infatti insegna e difende il principio della verità, comunica le forze soprannaturali della grazia per attuare l’ordine stabilito da Dio negli esseri e nei fini...".
Però, non può negarsi, in molti si è spenta la fede nel soprannaturale, in molti è scossa. Non si ha la certezza dell’altra vita e non la si pone a cardine della propria esistenza terrena. È necessario rianimarla e coraggiosamente lavorare a questo fine, fine urgentissimo.
Origine di tale doloroso fatto è la falsa concezione della vita insinuata dall’alto delle cattedre, dalle pagine d’innumerevoli libri, dalla esiziale propaganda del cinema o immorale o non educativo, futile, passionale, paradossale. La vita presente - l’unica ragione d’essere - bisogna goderla. Proprio l’opposto di quello che il nostro grande Manzoni lodava nel Cardinal Federico perché aveva concepita la vita non come un peso per molti e una festa per alcuni, ma per tutti come un impiego del quale ognuno dovrà rendere conto (c. XXII). Godere, godere senza freno, senza limiti, ad ogni costo. E Iddio, proprio Iddio, Medico e Maestro sapientissimo, a questa società infrollita e guasta ha mandato una dolorosa e asprissima medicina che ha colpito tutti e quelli che non lo sono stati ancora lo saranno poi: e ricchezze, comodità, lusso, vite sono distrutte, troncate, avulse.
La vita presente è invece un breve stadio di battaglia aperto sulla terra con un gemito e che si chiude sulla terra con un altro gemito, l’ultimo, ma percorso questo stadio bene, e tenutovi un buon combattimento contro i nemici di Dio -Dio- di cui siam servi e militi, si apre la vita vera, la eterna. Ora è questa verità che non si sente di cui non si è convinti, non si è persuasi. Considerate quanti hanno nelle loro mani le ricchezze: che cosa pensano? Nient’altro che ad accrescerle senza fine: e si preoccupano solo di questo. Scatenano orrende tragedie nel timore che quelle ricchezze emigrino dalle loro terre e vadano ad altre. E non si pensa mai che, arrivato il momento della partenza dal mondo, nessuno porta con sè altro che le opere buone, uno straccio che ne copra il cadavere, e lo stolto dei tanti che ha voluto acquistare non occupa che due metri di terra per una sepoltura.
Come disse sapientemente Pio XII ancora nel 1939 quando affermò che intorno ad un tavolo con un alto spirito di realtà si potevano discutere la grandi necessità del mondo, e con equità, non con cupidigia sfrenata, dividere le immense ricchezze che Iddio ha profuso nel mondo. E lo stesso potrebbe e dovrebbe avvenire in ogni contrasto funesto tra i figli di una stessa terra o di una stessa casa.
Ma si dirà: giusto tutto questo, ma è nel campo teorico. Intanto noi ci troviamo fra queste ristrette e in questi immensi dolori e bisognerà pure uscirne. Rispondo. Intanto è sommamente utile per noi tutti, e ciascuno per proprio conto, renderci ben persuasi di questa verità fondamentale. La vita presente è preparazione all’eterna ed è stoltezza, è fatale rovina, consumarla nelle futilità, continuarla colle opere prave o per far denaro o per goderla animalescamente. Perché così risparmieremo funestissime illusioni o disinganni a noi e grandi mali agli altri. È possibile -per esempio, mentre si vuol pacificare il mondo- che sotto gli orrori della morte, che è imminente per ciascuno ad ogni momento, immaginare che ci sono uomini (e quanti) che ad una sola cosa pensano: togliere per sè, e nascondere, nel miraggio di più lauti ed esosi guadagni e non lasciare ai bisognosi, sia pure a giusto prezzo, le cose più necessarie alla vita, provocando quell’altra sventura della guerra che è il così detto mercato nero? Ma costoro, si dirà, non fanno la meditazione che voi proponete. Ebbene se non la fanno incominciamo a farla ciascuno di noi per nostro conto e poi studiamoci di farla e farla bene anche agli altri. Più ancora: nessuno di noi nè da vicino nè da lontano cooperi al male. Se non ci fossero cooperatori molti e collaboratori molti cesserebbe o si attenuerebbe. Leviamo poi arditamente -tutti i sani- la voce nostra di protesta.
Ciascuno nel proprio campo e nell’ambito della sua azione si familiarizzi con questa verità e viva alla luce di fede che ne dimana. Maestri, padri, mamme, educatori inculcate questi grandi principi: fate così pensare alla morte! Il grande educatore S. Giovanni Bosco l’aveva e l’ha data come pratica fondamentale della sua formazione ai suoi giovani nell’uso del breve discorso detto della "buona notte". Ed è stato utilissimo a dare molti cristiani saldi e molti cittadini onesti. Su questa stessa base è l’edificio spirituale di quella grande società di educatori che è la Compagnia di Gesù attraverso la pratica degli Esercizi Spirituali nel silenzio e nel raccoglimento di alcuni giorni. E quanti ne sono usciti che hanno saputo reggere bene le loro famiglie e la società. E Noi mille volte inculcammo il largo uso di questo gran mezzo di vera formazione cristiana.
Ma questo concetto di Fede nel rispondere: che cosa è la vita e a che cosa serve la vita, bisogna saperlo difendere dall’aria corrotta che si respira, come abbiamo detto, di scetticismo e di pratico materialismo. Lo diciamo con profonda amarezza del cuore. Anche i buoni non si difendono dall’andazzo scettico, libero, spregiudicato. Vogliono essere come gli altri. Non si ha il coraggio di opporsi alla corrente che ha travolto e travolge. Anche la immacolata morale del Cattolicesimo la si vuole adattare in pratica al gusto moderno e siamo giunti ad un lassismo di teorie che non esitiamo di denunciare far capolino anche nelle scuole e nelle cattedre da cui apertamente si dovrebbe dire il male è male, che ci fa temere e tremare per l’avvenire. Certi libri, alle fiamme; non si acquistino, non si leggano: fanno male e si assorbe il veleno anche da noi sacerdoti. Certi spettacoli sono tristi, guastano la mente, turbano; certe conversazioni sono pericolose, sono velenose. Non si frequentino. Gridava fin dai suoi tempi S. Bernardo: "Vivi coi pochi se vuoi salvarti coi pochi -vive cum paucis si vis salvari cum paucis". Bisogna in ogni momento chiedersi come lo stesso Dottore voleva: che cosa serve questo per l’eternità che mi aspetta e che da un momento all’altro può aprirsi dinanzi a me? Quid hoc ad aeternitatem? Oh! La santa intransigenza dei nostri Padri come si è illanguidita, attraverso le pagine di maestri che cercano tutte le vie per dire: avanti, non c’è nulla di male, non è, non c’è peccato.
Eppure dovrà pure guarire questa povera umanità. Dovrà pur stancarsi di brancicare fra le tenebre del dubbio e vivere così dimentica dell'eternità. Dovrà pure rientrare in sè stessa e orientarsi ai due poli di luce -Dio donde viene e l’eternità ove va- .
È un mostruoso spettacolo che spesso mi richiama pauroso e sgomento: quello di uomini, in questa ora tragica e di ogni giorno e di ogni momento, che danno la morte o affrontano la morte senza una riflessione, senza un tremito, come se non si trattasse della vita di un uomo, ma di un insetto molesto o pernicioso. Ma troncata la vita terrena, pensate o non pensate, non dubitate almeno di un’altra vita che si apre e vita senza termine o felice sempre o sempre infelice? Ci può essere follia maggiore che gettare sè e altri nel mistero dell’al di là senza trepidazione? Guardiamo in faccia a questa realtà che la ragione e la Fede ci attestano con certezza . L’uomo è immortale e la morte è la porta di un’altra vita. Noi non abbiamo la esperienza della vita futura come non abbiamo la esperienza di Dio che non vediamo cogli occhi e non tocchiamo con le mani: ma negare Iddio è assurdo evidente, perché è come affermare che il mondo si è fatto da sè. Negare l’anima è l’assurdo, perché è affermare che lo spirito, non chiuso dalla materia, col suo pensiero che la sorvola e sorpassa, cessa con questa da cui non è limitato e costretto.
È assurdo ammettere che il genio che ha volato nelle ampiezze infinite delle speculazioni come quello di Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso, Newton, Dante, della infinita pleiade degli Spiriti magni che hanno illustrato e fatto grande l’umanità, è stato spento quando si è spento il cervello nell’immobilità della materia inerte: dopo aver trasvolati i tempi e gli spazi. Ed è tanto assurdo questo, che nessun popolo mai fu persuaso di considerare alla stessa tregua i suoi morti e gli animali morti: e non fare una differenza fra quei Sommi e la loro sorte e quella del gatto o del cane!
Così che può applicarsi a questa verità quello che Plutarco (contro Colote) scrisse della esistenza di Dio: "essere cioè più facile trovare una città senza mura, senza leggi, senza case, senza ginnasi che senza templi" e noi possiamo aggiungere: e senza necropoli che attestino il culto dei morti.
Il celebre fisico inglese Faraday (lo narra nel suo magnifico discorso Luigi Pasteur quando prese possesso del posto all’Accademia di Francia succedendo al Littré) non aveva mai pronunziato nella scuola il nome di Dio, pur essendo credente e assai religioso. Un giorno gli uscì dal labbro senza accorgersene. Dopo un momento di silenzio disse queste magnifiche parole: "Io vi ho sorpreso pronunciando qui il nome di Dio. Se questo mai mi era occorso si è perché nelle mie lezioni io sono il rappresentante della scienza sperimentale. Ma la nozione e la reverenza a Dio giungono al mio spirito per altre vie che sono altrettanto sicure quanto quelle che ci conducono alla verità dell’ordine fisico".
Senza l’esperienza, come si ha invece nelle cose materiali, la certezza di un’altra vita, come della esistenza di Dio, può aversi per altra via, quale è appunto la evidenza di una conclusione di ragionamento. Nel caso della esistenza di Dio: che non si può dare effetto senza causa, il mondo non si è fatto da sè. Nel caso della esistenza dell’anima immortale: dalle assurdità che sopra accennammo. Nè vale dire che nessun fatto sensibile e tangibile ci occorre per dire che vi è un’altra vita dopo l’irrigidimento della morte; perché, come disse bene il Faraday, non è la sola via delle cognizioni umane quelle della esperienza materiale. Ma si potrebbe anche aggiungere che non è nemmeno del tutto vero quello che affermò un giorno il Littré: "La scienza non ha potuto accertare un fatto di vita dopo la morte" (nel libro: Conservazione, rivoluzione, positivismo). Giacché lungo il corso dei secoli si sono narrate tante visioni ed apparizioni e nella storia dell’occultismo vi sono tanti che non si può ragionevolmente e sicuramente dire che sono tutti trucchi e sogni e fantasticherie, perché sono forniti di argomenti e prove che fanno molto bene riflettere sulla autenticità e veridicità delle narrazioni come di ogni altro fatto umano. Ci piace qui ricordare il Museo del Purgatorio aperto in Roma presso i Missionari del S. Cuore in Lungo Tevere 12 che Noi visitammo più volte. Esso raccoglie monumenti di una indiscutibile importanza che fanno molto meditare sul grave argomento della espiazione nell’altra vita e sul dogma della vita futura e della immoralità dell’anima.
Ma più che mai si leva su tutto la voce della Fede, la voce di Gesù Cristo in quelle memorabili ed incancellabili pagine del Vangelo (S. Luca XVI) dove descrive la sorte del ricco epulone e del povero mendicante, Lazzaro. Muoiono entrambi e il ricco avaro, crudele, egoista è sepolto nell’inferno nel luogo dei tormenti "locus tormentorum" e brucia ed è straziato nelle fiamme infernali "crucior in hac flamma"; il mendico povero paziente umiliato è portato nel seno di Abramo, cioè nel luogo di refrigerio e del riposo coi suoi padri. E in quella descrizione c’è un dialogo tra il dannato e Dio. Il dannato cerca un sollievo e supplica che Lazzaro intinga il suo dito nell’acqua e una goccia ne faccia scendere sulla infuocata lingua dell’infelice; ma non è possibile perché c’è un abisso tra Lazzaro e lui; e allora supplica che il Signore lo mandi ai fratelli, che continuano la sua stessa vita di lussuria, di ingiustizia, di peccati, perché la tronchino e non abbiano a finire come lui. Ma il Signore risponde una sentenza che pare fatta a posta pei nostri increduli, scettici, dissoluti di questo anno di grazia 1945! Hanno Mosè e i profeti ascoltino questi; anche se un morto risuscitato li andasse ad ammonire non crederebbero, e non si convertirebbero.
Fratelli e figli carissimi. Su queste pagine del Vangelo Noi vogliamo richiamare la vostra attenzione e vorremmo richiamare quella di tutti gli uomini che oggi tormentano sè stessi e l’umanità con queste tragedie di delitti, di colpe, di disastri che insanguinano il mondo. La razza degli Epuloni non è finita e purtroppo si moltiplica in modo spaventoso, come la schiera dei poveri mendici ai quali si fa sostenere la più dura vita. Ma la sanzione divina che il Maestro ha scritta non è mutata. E i gaudenti del mondo e gli oppressori avranno dopo il breve tempo di questa vita il castigo, il castigo delle loro nequizie. Ecco la parola di Fede che spiega gli avvenimenti e le vicende che purtroppo riescono così inesplicabili a chi alla fede non s’ispira. "Credo vitam aeternam! Credo in Dio retributore del bene e del male!".
Questa parola di fede molto bene illumina anche la storia. Le colpe dei popoli e delle nazioni non possono sfuggire il giudizio di Dio. E poiché i popoli e le nazioni non hanno un paradiso o un inferno nè una etrnità: debbono avere la loro sanzione nel corso dei secoli. Infatti se si scorre la storia del popolo eletto nelle pagine della Bibbia noi vediamo che Iddio si è sempre servito di un popolo per colpire un altro popolo colpevole. Onde il pensiero dominante di quel gran trattato di filosofia della storia che è il De Civitate Dei di S. Agostino e di quell’altro capolavoro di sintesi storica e filosofica, il Discorso sulla storia Universale di Bossuet che egli scrisse, educatore del Re di Francia che fu Luigi XV, perché, come dice nella introduzione "niente di più utile alla istruzione (dei principi) che di congiungere agli esempi dei secoli passati le esperienze che fanno ogni giorno»; e più oltre: "voi ammirerete i consigli di Dio negli affari della religione; voi vedrete anche il concatenamento degli affari umani e di quì potrete conoscere con quanta riflessione e preveggenza debbono essere governati". Ed ecco che sul popolo deicida cade formidabile l’aquila romana e lo disperde per tutta la terra, distrutto per sempre il tempio avverando a parola la profezia di Gesù, che piange, egli il Figlio di Dio, con esempio ammirabile di patrio amore su quelle rovine, che Egli non ha impedito, perché il libero arbitrio dei suoi fratelli e dei capi del sinedrio a tutti i costi hanno voluto sopra di sè la maledizione di Dio e la vendetta di quel sangue, che "dai padri invocato sulla misera prole ancora cade". Ma anche le aquile romane avevano posati gli artigli su ogni cosa e più che mai per tre secoli, avevano straziato l’immacolato corpo della Chiesa di Gesù Cristo ed erano intrisi di quel sangue innocente e allora la Provvidenza gettò il suo anatema su quel grandissimo popolo, che miseramente decade nelle più basse brutture e i barbari venuti dagli angoli del mondo lo distruggono e lo perdono.
Totila, narra S. Gregorio Magno nella vita del Santo, diceva a S. Benedetto che lo pregava a risparmiare dall’eccidio l’eterna città: "è lo spirito di Dio che m’investe e vuole che sia da me distrutta", onde può dirsi anch’esso: vero flagello di Dio. Ed egli poi, come aveva pure detto il santo Abate, avrebbe in breve compiuta la sua vita e non raggiunto il suo ideale di dominio e di conquista. I barbari poi alla lor volta -pagate le espiazioni dei loro delitti - o eran dispersi o nelle acque del battesimo e nella penitenza si facevano cristiani e civili.
E su queste pagine di storia che non sono chiuse, la Fede scrive la sua sentenza: Miseros facit populos peccatum. Il delitto fa miseri i popoli e le nazioni (Prov. XIV). Iddio è giusto retributore del bene e del male agli individui e ai popoli!
E per il domani che si presenta così coperto di fosche nubi la Fede non ci dice nulla? Ci dà una triplice risposta. La prima che Gesù Cristo "pietra angolare, riprovata dagli edificatori" di questa società moderna che voleva edificare senza di Lui, ritornerà ad essere fondamento della vita sociale, coi suoi esempi e i suoi insegnamenti. Questo per opera del sacerdozio e dei buoni, siano pure ancora pochi, che purificati da queste prove terribili penseranno e debbono pensare ad affermarsi in una nuova vita che abbia per base: integrità di costumi, carità sincera ed operosa, disinteresse. Non dubitiamo: se il Sacerdozio fu detto sale della terra e luce del mondo vorrà pur dire che questa terra non dovrà morire nè nella corruzione nè in perpetua oscurità. Il Sacerdozio di Gesù Cristo avrebbe dunque fallito nella sua missione affidatagli da Lui fino al termine dei secoli?
Non può essere perché contraddice all’infallibilità della divina parola. Con fiducia dunque noi Sacerdoti e con noi tutti i buoni che ci vogliono seguire più da vicino compiamo la nostra missione. Ancora una parola di Pio XII: "La Chiesa ha la missione di annunciare al mondo un messaggio il più alto, il più necessario: la dignità dell’uomo, la vocazione della figliuolanza di Dio".
La seconda risposta è alla desolante affermazione - dopo la morte il nulla che è la causa di questo marasma che travolge e fa agonizzare il mondo in un abisso di delitti e di colpe individuali e sociali: onde rimangono insanguinate e lagrimanti le nostre città, sotto gli occhi nostri. La Fede si erge robusta e addita l’augusta divina figura di Gesù Cristo risorto! Egli afferma sicuro: "Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, ancorché morto vive e chi vive e crede in me non morrà in eterno". Altro che il nulla! Vita dell’anima e anche vita nuova del corpo per l’onnipotenza di Dio, che come dall’umile, perduto e marcito grano di frumento ogni anno suscita milioni e miliardi di bionde spighe, dalle ceneri disperse susciterà l’esercito dei viventi in risurrezione di vita o di pena secondo le opere: ma risurrezione.
Basta collo scetticismo che uccide ogni energia e seppellisce ogni civiltà. Negli immensi campi di morte che in tutta la terra raccolgono le innumerevoli vittime delle armi micidiali, che l’odio insano ha mietuto e miete dall’aria, nel mare e in terra questa figura divina del Risorto Immortale si leva confortatrice a dire che non son morti, ma vivono in altro mondo infinitamente più vasto di quello piccolissimo che ci accoglie mortali, e secondo le loro opere sono o per sempre infelici o per sempre beati e aspettano di rivestirsi "d’immoralità" ancora nel loro corpo: compagno dell’anima, come nel pellegrinaggio terreno così nella sorte eterna.
Gesù Risorto, assertore della immoralità delle anime e della risurrezione di questa carne - è un fatto storico - che non si può negare nè impugnare con solidi argomenti: onde Paolo lo gettava in faccia al mondo ebraico e al mondo pagano come un argomento d’inconfutabile certezza animatore alle grandi battaglie del cristianesimo per il corso di tre secoli. Milioni di martiri - primi gli apostoli - non sarebbero morti se, dopo il Calvario, Gesù non li avesse assicurati di non averli ingannati, risorgendo.
Abbiamo dunque in ogni momento radiosa innanzi al nostro sguardo, in mezzo al ghiaccio di questa indifferenza morbosa, Gesù, che per quaranta giorni assicura gli Apostoli d’essere uscito dal sepolcro, dopo aver vinto la morte per sè e per noi. Guardiamolo. Egli sale trionfatore al Cielo dopo aver lasciata a ciascuno una grande luminosa promessa: "Vado a prepararvi il luogo. Vado parare vobis locum!" (S. Giov. XIV).
Per questa ragione la Chiesa ogni anno con una lunga preparazione ci fa commemorare questo fatto storico e divino della risurrezione di Gesù Cristo. Dico fatto storico perché è provato dalla testimonianza di chi ha veduto Lui, parlato, vissuto con Lui ritornato dall’altra vita: come qualsiasi altro fatto storico.
Ecco la più bella e ineluttabile risposta all’audace affermazione del Littré (che morì però convertito e nella fede della eternità): nessuno è venuto dal sepolcro a testimoniare la vita dopo la morte. É venuto Gesù!
Efficacemente il Ricciotti nella sua bella e forte Vita di Gesù Cristo con brevi parole dà il vigore di questo fatto fondamento di apologetica: Gli stessi documenti, le stesse testimonianze storiche che hanno narrato fin qui i fatti di Gesù, non si fermano alla sua morte, ma con la stessa autorevolezza e col medesimo grado d’informazioni di prima proseguono a narrare una risurrezione e una seconda vita di Lui (Vita di Gesù, n. 620).
Una terza parola di Fede ci dice per il domani. La pronuncia Gesù alle turbe che da tre giorni lo seguono fameliche della sua dottrina e fameliche anche del pane materiale del quale si erano dimenticati per ascoltare il divino e inimitabile Maestro: "Misereor super turbam (Marco VIII) Ho pietà di questo popolo". Con quanta tenerezza Gesù dovette dire queste parole, già di per sè stesse tenerissime. Mi pare però che ora dal Cielo ove Egli è anche nella sua umana natura e col suo cuore sensibilissimo le ripete Gesù su questo mondo, veramente, come non mai, misero ed affamato per aver perduto tutto: il pane dell’intelligenza: la verità, la certezza; il pane del cuore: l’amore, oltre il pane materiale. Se le ha dette queste parole commosso innanzi allo spettacolo delle turbe, da tre giorni pellegrinanti e digiune volontarie dietro Lui, pensate voi che non le ripeta su tutta questa povera famiglia, immensamente più desolata e degna di compassione di quelle migliaia, che Egli pure consolò col pane moltiplicato prodigiosamente?
Le dirà e vedremo e sentiremo Gesù, che dove ha abbandonato il delitto farà sovrabbondare la grazia: dove sono state molte lagrime, molte saranno le consolazioni; e turbe e turbe di infelici fratelli separati, dissidenti e nemici entreranno nell’ovile di Gesù Cristo, e proprio per quelle vie all’umana sapienza più impervie ed ignote.
Inspirerà inoltre ardente la carità fraterna per andare incontro alle immense schiere dei figli del lavoro, delle officine e dei campi, che forse abbiamo, sia pur senza colpa, un po’ dimenticato, curando la pecorella sicura all’ovile, più delle novantanove che dall’ovile ne sono lontane. Daremo al nostro apostolato una forma più agile e soprattutto accrescendo la energia dell’apostolato del buon esempio, della parola, della stampa, daremo a questi lavoratori che hanno fame di verità, di amore vero, più ancora di quello che sia il pane materiale. Il quale pane materiale si è accresciuto, ma si dovrà accrescere secondo il bisogno ed il diritto, giacchè - la sociologia cristiana lo ha detto almeno da cinquanta anni - le due forze produttive del guadagno, il lavoro, sia materiale che intellettuale e tecnico, e il capitale debbono avere parità di trattamento nella ripartizione dei frutti. Come del pari tutti dovranno avere la loro parte di consapevole responsabilità nel governo della pubblica cosa per impedire ogni abuso o sopraffazione, come mirabilmente insegna il Pontefice regnante Pio XII nel suo magistrale discorso natalizio. La Chiesa infatti - ci piace ripeterlo ancora una volta - non è stata mai arretrata a riconoscere la giustizia e a proteggere i deboli: è stata sempre all’avanguardia. Or sono pochi giorni un bravo nostro parroco ci narrava che era andato da lui un giovane studente e gli offriva un libro ove si asserivano e difendevano i noti principi di rinnovamento del mondo; il sacerdote rispondeva prontamente: "Sì, dammelo e lo leggerò, ma tu prendi quest’altro, e leggilo". Alcuni giorni dopo il giovane ritornava dal sacerdote e restituendogli l’opuscolo - che era l’Enciclica di Leone XIII la "Rerum Novarum", de conditione opificum, cioè sulla questione operaia, ammirato e commosso gli diceva: Ma la Chiesa insegnava tutto questo oltre cinquanta anni fa? Dunque era fin da allora al primo posto nella soluzione delle grandi riforme sociali ancora e assai prima di noi.
Senza dubbio, soggiungiamo, e non era con dottrine in molta parte irreali e disastrose, ma con sapientissimi mezzi di vera e profonda civiltà. Così fosse stata seguita! Speriamo che la dura esperienza lo faccia ora e Gesù misericordioso riaccenda in molti cuori e molte anime più viva la fiamma divina della giustizia e dell’amore, che nell’ordine sociale consumino definitivamente certe radici funeste di ingiustificati pregiudizi e privilegi. Siamo certi di si; susciterà a questo fine dei santi: che mai nelle epoche decisive della storia sono mancati. E ne sarà ricca, come sempre, l'Italia nostra che sempre benedetta da Dio, dovrà sorgere nella sua grande fede cattolica e nella sua millenaria civiltà, contrassegnata da due grandi forze: genio ed equilibrio.
Pio XII nel chiudere il suo messaggio quasi con tono paternamente profetico ci rassicura: allorché come tutti auguriamo, le risonanze dell’odio e della discordia, che dominano l’ora presente non saranno più che un triste ricordo, matureranno ancora con più abbondanza i frutti di questa vittoria dell’affettuoso e magnanimo amore sull’odio.
Infine Gesù lo dice a ciascuno di noi il suo tenero Misereor: ho pietà! e infonderà nel cuore nostro esulcerato da tanti dolori, privazioni, offese tutto quel balsamo dolcissimo che Egli solo può infondere facendoci sentire che ogni nostra lagrima sarà scritta nel libro della vita e mutata in un sorriso di gioia eterna. Nè solo; ma ancora in mezzo allo strazio delle tribolazioni, ancor quì nella terra d’esilio, Egli saprà dare quella celeste serenità che Paolo provò in mezzo al furore d’innumerevoli persecuzioni, che gli faceva ripetere d’aver a tedio la vita, ma insieme: sovrabbando di gaudio in ogni mia tribolazione! E infine poiché la bontà di Dio ha sempre avvicendato, come dice il Crisostomo, alle pene, la gioie, ci farà assaporare come e quando meno l’aspetteremo una divina celestiale consolazione.
La dirà ancora agli sventurati nostri fratelli d’ogni parte che sono stati strumento ed artefici di tanto patire pei fratelli: anche ad essi dirà: ho pietà di voi - basta, basta il tormento, spengasi nel vostro cuore l’odio che vi tortura e vi fa torturare gli altri. Guardate dentro l’anima vostra, dentro il vostro cuore! Date pace a voi stessi, datela agli altri!
Benediciamo tutti voi, ven. fratelli e figli carissimi e la dolcissima parola del Maestro - ho tanta pietà per voi - sia pure il più bello e soave augurio di Pasqua.
Bologna, il 2 Febbraio 1945
Festa della Purificazione di Maria Santissima.