La parola del papa e dei vescovi - 26

L'OMELIA DEL CARD. ARCIVESCOVO

Quando nei nostri incontri, rinnoviamo la memoria di tragedie più o meno vicine nel tempo e nello spazio, occorre resistere all’onda di mestizia che può invadere il nostro animo. È naturale, infatti, che l’esperienza bruciante del dolore venga a intaccare l’insopprimibile sete di sollievo e di gioia.

Atmosfera di Pasqua

Nell’assemblea che ora ci accoglie, respiriamo l’atmosfera liturgica di Pasqua, che ancora una volta ci rinnova la celebre sequenza, vero grido di speranza nella luce della Risurrezione di Cristo.
Si delinea un colloquio tra la comunità cristiana e Maria Maddalena: "Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via?". "Ho visto il sepolcro del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto".
Di fronte a tale certezza, la comunità esplode in una corale preghiera: "Cristo è davvero risorto; e tu, o Re vittorioso, abbi misericordia di noi. Alleluia".
La stessa liturgia di Pasqua, pervasa di luce e di gioia, ci richiama a una realtà più completa. La riflessione sul mistero della risurrezione di Cristo costituisce il centro della rivelazione e della vita cristiana; però non può farci dimenticare Cristo crocifisso. Il brivido di stupore e di esultanza del mattino di Pasqua presuppone il Venerdì Santo e i giorni dell’amarezza.
È proprio nel mistero pasquale che «morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della vita era morto; ma ora è vivo, nel suo regno".
Questo intreccio di sentimenti possiamo sperimentarlo anche oggi, nella visita ai luoghi dove i nostri indimenticabili fratelli furono coinvolti in una immane tragedia. Essi ci hanno lasciato una testimonianza che edifica e fa crescere spiritualmente quanti intendono ricordare il loro comportamento e il loro esempio.
Anche nel rivivere i tragici fatti che qui sono avvenuti, il dolore si unisce alla speranza. Dall’oppressione e dallo scatenarsi delle forze del male, scaturisce un evento che ci meraviglia e ci commuove, ci illumina e ci sostiene. Anzi ci aiuta a comprendere i valori fondamentali della vita, si rende così più coraggioso e responsabile il nostro impegno, nell’affrontare fatiche e ostacoli di un cammino che interpella continuamente la nostra coscienza.

L’esempio del buon Pastore

In una celebrazione liturgica, più che esporre e richiamare i singoli episodi, si può far riferimento alla mirabile testimonianza delle vittime e richiamare il martirio dei pastori d’anime. I loro nomi sono impressi nel nostro animo: Don Ferdinando Casagrande, Don Giovanni Fornasini, Don Ubaldo Marchioni, Don Elia Comini e Padre Martino Cappelli. Essi non si arrestarono di fronte ad alcun pericolo e giunsero all’immolazione completa di se stessi, pur di assistere fino all’ultimo istante le loro popolazioni e i condannati a morte.
Erano pastori d’anime pienamente dediti al loro ministero. Erano uniti da affetto e stima vicendevole. Si aiutavano l’un l’altro, nella vita liturgica e pastorale, come pure nell’accogliere, soccorrere, sottrarre a pericoli incombenti i piccoli, gli adulti e gli anziani delle loro comunità.
Dal diario di Don Amedeo Girotti, scegliamo un accenno significativo: "25 agosto 1944: oggi sono venuti a Montasico il parroco di Malfolle e Don Fornasini di Sperticano. Che sollievo... trovarmi con qualche collega e confortarci con qualche buona parola...". In queste pagine si avverte quanto sia presente la bufera: "mi sono confessato da Don Fornasini... per essere sempre più preparato".
In questa formazione spirituale, nella convinta e vissuta adesione al Vangelo, va riscoperta la sorgente del loro eroismo.
È lo stesso spirito di fede che si rivela nell’olocausto di Don Elia e di Padre Martino, associati alle vittime della "botte di Salvaro". L’ultimo loro invito ed esempio fu quello della preghiera; l’ultimo gesto, quello che assolve e benedice.
"Non v’è amore più grande che quello di dar la vita per i propri fratelli" (Cfr. Gv. 15, 13): il buon pastore non abbandona le pecore e non fugge ma dà la vita per il suo gregge (Cfr. Gv. 10,11): questo sublime impegno proposto da Cristo stesso è stato fedelmente attuato dai nostri fratelli sacerdoti, che preferirono rimanere in mezzo alla propria comunità, per condividere la medesima, terribile sorte.
Sono scritte nel libro della vita pure le testimonianze eroiche di laici e di laiche, che seguirono, o precedettero, l’uccisione dei parroci e dei religiosi.
L’amore con cui sono ricordati questi martiri ha incoraggiato ricerche e ha consentito di raccogliere elementi preziosi nel precisare fatti e relative circostanze. Sarebbe auspicabile che la copiosa documentazione ci offrisse una visione d’insieme. Così, di fronte al tempo che corre veloce, nulla andrà perduto di un periodo profondamente tormentato, ma prezioso agli occhi di Dio, per l’edificazione della nostra comunità. Nello smarrimento generale e nella prova del fuoco, il Signore volle suscitare anime eroiche e offrire segni eloquenti della sua presenza.

La nostra riflessione

Tutto questo raggiunge ciascuno di noi, nell’intimo della coscienza, e ci invita a una revisione del nostro impegno. La riflessione e la sensibilità risvegliate da così forti esempi possono presentarci orientamenti più precisi e concreti.
Anzitutto la vittoria di Cristo risorto sul peccato e sulla morte ci rende sicuri che il Signore ha contato ogni stilla di sangue sparso per amore. Nella casa del Padre, il premio più grande è certamente riservato a coloro che hanno donato la propria vita nel segno della carità di Cristo.
Questa certezza tende a superare lo sgomento di fronte ai delitti dell’odio e della violenza; apre il cuore alla speranza che non delude; alimenta la fiducia nella divina Provvidenza, attenta e premurosa per la vita di ogni uomo e la storia dell’umanità.
Nella comunione dei santi, resta sempre vivo il vincolo con questi fratelli. La loro immolazione resta unita al sacrificio di altri sacerdoti e laici che, anche dopo la guerra, in altre zone, sono stati vittime dell’odio di parte. E orienta il nostro atteggiamento di fronte a quanto avviene nella situazione attuale, in contesti diversi, ma sempre a causa dell’odio che semina morte e strage. La società attuale tende purtroppo a divenire sempre più violenta.
È spontaneo ripetere queste parole, pronunziate dal Santo Padre durante la Via Crucis al Colosseo: "Non possiamo terminare questa giornata (Venerdì santo) senza ricordare, senza abbracciare con la memoria e col cuore tanti nostri fratelli e sorelle nella fede, che, anche nella nostra epoca, sono pronti ad essere oltraggiati per amore del nome di Cristo (Cfr. At 5, 41) in diversi modi, con diverse umiliazioni, discriminazioni, incarcerazioni e torture" (Giovanni Paolo II, Discorso alla "Via Crucis", in "L’Osservatore Romano", 19 Aprile 1981).
Si pensi poi alla frequenza degli attentati e delle stragi. Anche la nefasta legalizzazione e diffusione dell’aborto aggrava profondamente l’istinto della violenza.
Lo sguardo al passato, ci esorta, di fronte alle prove e alle deviazioni attuali, a uscire da un facile egoismo, a operare perché si affermino i segni della speranza.
A ogni momento storico, tanto più se oscuro e tormentato, devono corrispondere la nostra preghiera, l’impegno personale di collaborazione e partecipazione, con una presenza incisiva e perseverante.
Cristo ci ha insegnato come si ama il proprio ambiente e la propria terra. Non possiamo rimanere insensibili di fronte ai mali della nostra società. Tanto più che, come discepoli di Cristo risorto, siamo chiamati a vincere le paure e a diffondere la pace, nello spirito dei fatti pasquali.

Terra tribolata e benedetta

Permettete che, come Vescovo di questa terra tribolata e benedetta, io esprima a tutti voi, sacerdoti e laici, sentimenti di viva riconoscenza per l’apporto che date alle vostre parrocchie, nelle varie zone pastorali e in tutta la diocesi.
Il Signore vi sia sempre vicino, e assista il lavoro che andiamo svolgendo con amore per la Santa Chiesa e per i nostri fratelli vicini e lontani. Non ci stancheremo di operare e pregare uniti.
Di fronte all’orizzonte così vasto e impegnativo dei nostri compiti, ci riferiamo ancora una volta a un problema preminente: quello delle vocazioni sacerdotali e religiose.
La testimonianza offerta in vita e in morte dai sacerdoti che oggi ricordiamo, non mancherà di diffondere generose risposte alla chiamata del Signore.
Anche l'esperienza ci insegna quanto siano necessarie la presenza e l'azione pastorale dei sacerdoti per la vita della nostra società.
Essi sono chiamati ad animare le nostre comunità, perché possano avvicinarsi il più possibile al modello della prima Chiesa.
Allora "i fratelli erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (At 2, 42). E mentre si elevava la lode a Dio, si diffondeva la stima per i nuovi credenti in mezzo a tutto il popolo.

La parola del papa e dei vescovi
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