Aggiornamento di un articolo pubblicato in “Voce che chiama” di marzo 2013.
Dal dopoguerra ad oggi solo tre parroci si sono avvicendati nella parrocchia di San Giovanni Battista, in pratica uno ogni generazione di persicetani.
Prima dell’attuale don Giovanni Bonfiglioli c’è stato don Enrico, ancora vivo nel nostro ricordo, e prima ancora vi fu don Guido Franzoni: rimase in mezzo a noi per quasi 23 anni, arrivando dalla parrocchia di Quarto Superiore 65 anni fa, il 9 Maggio del 1948.
Da più parti siamo stati sollecitati a raccogliere e pubblicare ricordi sulla sua persona e le tante opere ed attività a cui si dedicò durante la sua permanenza a San Giovanni. Lasciò in modo repentino la nostra cittadina a fine gennaio 1971 e allora non ci fu il tempo di approntare in tempo utile un esauriente ricordo scritto. Ora, in lotta col tempo che rischiava di stendere un velo d’oblio su un passato non più prossimo, abbiamo avuto la fortuna di rintracciare, oltre a documenti e scritti, molti validi testimoni che hanno ben conosciuto don Guido e in diversi casi collaborato con lui. Volentieri ci sono stati consegnati personali ed indelebili ricordi sullo straordinario Pastore della loro e nostra gioventù. Siamo stati così in grado di riportare in queste pagine solo testimonianze di prima mano che rendono onore e grazie a chi tanto ha meritato.
Arrivò dunque, don Guido, a sostituire nella conduzione della parrocchia suo fratello don Enelio, medaglia d’oro al valor militare, che qui era da un paio di anni come vicario arcivescovile della sede vacante. Asciutto di fisico, franco e sincero nei rapporti, lo sguardo ridente, senza compromessi e pigrizie. Un suo refrain era ‘se c’è bisogno di affidare un lavoro a qualcuno bisogna rivolgersi a chi è molto occupato perché lui troverà sempre il tempo di farlo’. Sacerdote integro, dalla vita sobria, ascetica, con le ginocchia levigate dalle ore trascorse in preghiera ed adorazione. Tante ore poi in confessionale ed iniziative spirituali e di pietà.
Apparentemente riservato, nelle gite parrocchiali, in occasioni conviviali, in escursioni e gite alpinistiche rivelava aspetti di umanità ed amicizia molto gradevoli.
Tempi duri, forti, rivendicazioni sociali e tensioni politiche, strascichi violenti dopo le rovine portate dalla guerra e dalla lotta civile. Pochi mesi dopo l’ingresso del nuovo parroco, venne ucciso il giovane Giuseppe Fanin. Vi furono negli animi ferite difficili da rimarginare. Tempi quindi anche di ricostruzione morale e civile: necessità di dare assistenza, conforto spirituale e aiuto materiale ai tanti che ne abbisognavano.
Don Guido aveva dalla sua le armi della preghiera, della cultura e dell’amore per il prossimo. I grandi beni in suo possesso, come scrisse, erano di tutti: l’Eucarestia e l’Altare. Come ogni parroco era pastore, sacerdote e insegnante.
Le opere di misericordia, spirituali e corporali, vennero dal parroco esercitate nella loro intera gamma; il suo esempio portò tante persone generose ad imitarlo.
Quotidianamente si recava a visitare e confortare gli ammalati in ospedale o nelle loro abitazioni. Non ebbe ritrosia a recarsi nelle carceri ad alleviare i giorni di pena e rimorso di persone misere e sfortunate. Donò di nascosto propri effetti personali a chi ne aveva necessità. Si preoccupava che venissero trovati i corpi dei dispersi nelle recenti lotte fratricide perché, inumati in terra consacrata, venissero affidati alle preghiere dei loro cari. In questo era spinto dalla stessa ‘pietas’ cristiana che animava il fratello Enelio a riportare in patria i resti dei commilitoni deceduti in terra russa.
Tanta preoccupazione aveva per favorire la creazione di posti di lavoro nel nostro territorio: testimoni ricordano di averlo accompagnato nelle frequenti visite ministeriali per ottenere l’insediamento di nuove fabbriche o l’avvio dei centri di addestramento maschili e femminili.
Non si vergognava di chiedere a chi era benestante un aiuto per le necessità concrete dei parrocchiani. Come quella volta che interpellò l’industriale Tamburi. Gli chiese a sorpresa, ottenendo una risposta positiva e forse inaspettata anche per lui, di acquistare e poi regalare il terreno per farvi insediare il centro dell’INAPLI. Oltre all’edificio e sue pertinenze si poté costruire là accanto anche un campo sportivo per i giovani e la sede della raccolta ‘Emmaus’, poi sviluppatasi come ‘centro missionario’ per volontà di don Enrico.
Don Guido si recò in Africa poco prima di lasciare Persiceto ma poi vi ritornò diverse volte, anche in compagnia di don Enrico. Naturalmente non si può sottacere la creazione della casa del lavoratore cristiano, dedicata a Giuseppe Fanin: prima si costruì il grande cine teatro ed in seguito il bar e le ampie e moderne strutture per cultura, scuole, insegnamento dei principi cristiani, sedi di organizzazioni di volontariato e anche alloggio temporaneo per bisognosi.
Alla ricerca di finanziamenti per la realizzazione di quel complesso, don Guido viaggiò tante notti da Persiceto a Roma per effettuare di primo mattino visite ai ministeri romani ed anche alla curia vaticana. Anche i parrocchiani furono educati a contribuire e lo fecero con convinzione, spinti dal fervore del loro parroco.
Per i ragazzi, numerosissimi in quell’epoca nel cortile della Sede, oltre a farli seguire da due grandissimi e tuttora amati cappellani (prima don Novello Pederzini e poi don Giovanni Volpato), volle mense scolastiche e colonie estive a S. Orsola ed in altre località trentine.
Fu oratore e scrittore sobrio ed incisivo. Uomo di ottima cultura umanistica e sociale, rimase affascinato dalle opere sociologiche dei cattolici francesi Mounier e Maritain, studiando i testi originali nella lingua da lui perfettamente conosciuta.
Ispirandosi a quelle letture, era di sprone ai giovani perché si impegnassero per ‘dovere
cristiano’ nei sindacati, nelle ACLI e anche nei partiti politici. “Se non vi interessate voi - usava dire - vi farete poi governare da arrivisti ed ambiziosi”. Numerosi furono gli amministratori e dirigenti locali (ed anche nazionali) che uscirono dalla Sede, e non solo verso i partiti e sindacati che allora si ispiravano direttamente alla dottrina sociale cristiana.
Da ultimo, in questa carrellata di appunti, non possiamo tralasciare il rinnovamento globale degli organi musicali antichi della Collegiata che lui, amante della musica soprattutto sacra, volle unificare in un solo imponente organo a tre tastiere, per dare accompagnamento adeguato ai cori impegnati nella liturgia e anche per indurre e favorire i giovani allo studio dello strumento principe della Chiesa. Da allora molti musicisti si sono formati su quelle tastiere e alcuni di loro sono divenuti concertisti e docenti di organo nei conservatori musicali italiani.
Si faceva guidare dalla Verità che trovava in Cristo ed ogni sua azione pratica e pastorale fu una conseguenza logica della sua Fede e della ricerca piena e disinteressata della volontà di Dio. Sempre rispettoso degli insegnamenti dei Papi, la sua permanenza a Persiceto coincise quasi totalmente con quella del cardinal Lercaro alla guida della nostra diocesi. Ne seguì e condivise sempre con obbedienza le direttive: dall’esecrazione della repressione operaia e studentesca in Ungheria all’applicazione puntuale dei dettami liturgici del Concilio Vaticano II.
Dopo tanti anni di responsabilità gravosa e gratificante chiese ripetutamente ed umilmente al successore di Lercaro, l’arcivescovo Poma, che gli fosse affidata una parrocchia più piccola. All’inizio del 1971 fu accontentato ma nella piccola comunità di San Pietro di Ozzano - e anche dopo il suo ritiro per limiti d’età - la sua azione di carità e di evangelizzazione lo portò ad impegnarsi senza sosta in una serie di nuove iniziative missionarie, pastorali e caritatevoli fino al termine della sua vita, il 1° maggio 1997.
In una seduta solenne del Consiglio comunale della nostra città, il 24 giugno 1993, gli era stata conferita la cittadinanza onoraria, di cui fu con commozione lieto e riconoscente. Erano trascorsi curiosamente 23 anni dalla sua volontaria partenza dopo i 23 anni da parroco a san Giovanni.
Volle essere sepolto, in segno del tanto suo affetto per noi (Persicetano fui e resterò, lasciò scritto nel suo testamento spirituale) nella nuda terra del nostro vecchio cimitero. La sua tomba è sempre arricchita da fiori della riconoscenza per il bene più grande che ci ha elargito: il poter godere del suo ministero di sacerdote, guida e pastore.