Don Ildebrando Mezzetti

Un irreparabile equivoco

foto Don ILDEBRANDO MEZZETTI

  Nato il 12 ottobre 1879 a Le Budrie di S. Giovanni Persiceto, cappellano a Piumazzo e a Malalbergo, divenne arciprete a Colunga il 29 maggio 1910, poi trasferito a S. Martino in Pedriolo il 30 settembre 1917; fucilato al «Poligono» in Bologna il 20 settembre 1944.

  I1 «Resto del Carlino» del 21 settembre 1944 riportando la notizia della fucilazione al «Poligono» di 11 persone innocenti, fra cui don Ildebrando Mezzetti, diceva cinicamente che si era fatta giustizia contro «alcuni ribelli impenitenti (!)».
  Noi sappiamo che l'odio di parte può anche svisare i fatti e interpretare con occhio maligno le intenzioni delle persone. Solo così ci spieghiamo come don Mezzetti sia stato accusato, e solo un solenne equivoco inspiegabile potè farlo credere un ribelle, un favoreggiatore del nemico.
  Don Ildebrando, che noi ricordiamo non più giovane, trotterellante per le vie del centro, quando veniva in città dalla sua lontana parrocchia di S. Martino in Pedriolo, il capo un po’ inclinato, gli occhietti che spesso ti fissavano al di sopra delle lenti legate all'antica e che gli scendevano sul naso, la zazzera dei capelli grigi sempre un po’ arruffata, don Ildebrando, dicevamo, aveva bensì dato ricetto in canonica a molte famiglie sfollate e anche a giovani che bussavano alla sua porta per trovare alloggio e protezione contro le iene nazi-fasciste, ma ciò aveva fatto spinto dalla carità cristiana che non calcola il tornaconto e non fa previsioni per il domani, ma che aiuta tutti indistintamente anche a costo di essere frainteso e giudicato «favoreggiatore».
  Un giorno bussarono alla sua porta gli inesorabili gendarmi nazi-fascisti, se lo misero in mezzo e, fattolo montare su una macchina, lo condussero, senza spiegazioni, alle carceri di S. Giovanni in Monte.
  Il buon sacerdote, col cuore stretto da una angustia incontenibile, intimorito da minaccie severe, quando fu chiamato davanti al magistrato, non seppe, nella sua semplicità, ribattere l'accusa falsa di aver dato ospitalità a paracadutisti inglesi, e fu senz'altro condannato a morte. Accusa falsa abbiamo detto, perchè è ormai più che certo che, se don Ildebrando poteva essere accusato di aver favorito renitenti alla leva, disertori e anche partigiani, mai ebbe occasione di ospitare inglesi o americani paracadutisti o prigionieri evasi. E le testimonianze, specie del fratello, di sfollati nella canonica, ora che possono parlare senza timore, sono concordi in questo.
  S. Em.za il Card. Arcivescovo di Bologna si interessò subito della critica situazione del suo sacerdote e, con azione prudente e costante presso il Comando della Piazza di Bologna, ottenne assicurazione che la sentenza di morte non sarebbe stata eseguita e che il sacerdote sarebbe stato inviato in un campo di concentramento in Germania. Almeno la sua vita sembrava quindi sicura; perciò la sua fine, fatale giunse anche più inaspettata.
  Ai primi di settembre del 1944 in via Derna, a Bologna, avvenne un tafferuglio abbastanza serio fra partigiani e brigate nere, e queste ebbero a lamentare alcuni morti. Alcuni giorni dopo anche nei pressi di Vignola tedeschi e partigiani si azzuffarono e da ambe le parti si lamentarono vittime.
  Immediata e crudele è la ritorsione.
  Non si fa rastrellamento delle case e delle vie della zona, come in casi analoghi; ma si scelgono in S. Giovanni in Monte dieci partigiani, una donna, e don Mezzetti, ritenuti rei confessi, e vengono votati alla morte, come rappresaglia.
  Le promesse fatte a Sua Eminenza non si rispettano, ogni assicurazione si muta in una beffa.
  Nelle prime ore del 20 settembre, le vittime, senza alcun preavviso, vengono fatte uscire dal carcere ancora rivestite del loro saccone di carcerati, caricate su un furgone, condotte all'ormai famigerato «Poligono». Qui la donna, che è nel gruppo, viene improvvisamente messa da parte e rimangono undici le vittime da immolare all'odio e all'egoismo dei prepotenti.
  Sono schierati contro il muro e i mitra delle Brigate Nere si accaniscono sui loro corpi, straziandoli fino all'ultimo respiro.
  La giustizia subiva così un'altra onta più illogica e più crudele, colpendo un sacerdote buono, vittima solo della sua semplicità e della sua timidezza.
  Sua Em.za il Card. Arcivescovo subito spedì al Feldmaresciallo Kesserling una vibrante protesta che riteniamo utile qui riprodurre:
  «Ieri attraverso molte incertezze finalmente, e senza particolari, mi è stata comunicato che un mio sacerdote con altri dieci è stato fucilato per la solita rappresaglia.
  Questa notizia mi ha angosciato profondamente: è il primo fra i miei sacerdoti che è così caduto.
  Ne esprimerò a chi di dovere tutto il mio sentimento di indicibile pena cagionata a me e al mio clero, appena ne avrà conoscenza.
  Ora mi giunge notizia che a questi undici si vogliono aggiungere altre nuove vittime e per decisione di un tribunale italiano.
  Vi scongiuro come vescovo e come italiano che risparmiate queste nuove vittime e che il sangue del povero sacerdote, cosi crudelmente soppresso, abbia almeno la virtù di salvare queste altre vite.
  Vi assicuro che un atto di clemente giustizia sarà veramente apprezzato da questa città che, ve lo dico con tutta la forza dell'animo, è stanca di vedere scorrere così il sangue.
  Questo è quanto vi domanda un vescovo, che, da 23 anni conoscendo bene questa popolazione, ha la coscienza di avere ininterrottamente compiuto opera di pacificazione e di bene, che così, con immenso strazio, vede andare dispersa a danno di tutti».