Padre Mario M. Ruggeri

Il doloroso calvario di un religioso

foto Padre MARIO M. RUGGERI CARMELITANO

  Nato il 28 febbraio 1913 a S.Benedetto Val di Sambre entrato nel Marianato Carmelitano di Vittorio Veneto nel 1926, nel 1933 scendeva nel Seminano Centrale di Firenze per compiervi gli studi teologici; nel 1936 venne ordinato sacerdote; dal 1942 fu nel Convento di S. Giovanni Battista di Ravenna. Operato di ulcere allo stomaco nel 1943, la sua salute andò deperendo e nel 22 settembre 1944 raggiunse suo fratello a Scopeto. Fu ucciso presso Tignano l'8 ottobre 1944.

  La campana mattutina ha chiamato invano alla S. Messa in quella grigia domenica dell'8 ottobre 1944! Anche i pochi volonterosi che si inerpicheranno su per la dura stradetta che conduce alla chiesa parrocchiale di Scopeto, non troveranno nemmeno il Parroco.
  Al mattino alle sei sono giunti i tedeschi fino alla chiesa facendo un accurato rastrellamento, questa moderna forma di schiavitù.
  Hanno fatto irruzione anche nella chiesa parrocchiale, mettendo a soqquadro ogni cosa, hanno pure catturato il parroco, don Pasquale Broccadello, sotto il pretesto che hanno scorto tre partigiani armati alla finestra della casa parrocchiale, e l'hanno unito brutalmente al branco degli altri infelici.
  Il gruppo cala a valle, ingrossando ad ogni casa che incontrano, per la cattura di nuove vittime.
  In una casa trovano un altro giovane sacerdote, Padre Mario M. Ruggeri. carmelitano, che, alzatosi da poco, sta preparandosi per salire alla parrocchia a celebrare la Messa.
  Egli si fa incontro a quei moderni vandali, mentre si infila l'abito religioso sulla camicia, pantofole ai piedi, sul naso occhiali larghi quanto il suo largo sorriso. Nel suo cuore buono non poteva sospettare la crudeltà nel cuore degli altri.
  Egli dal suo convento di Ravenna, aveva raggiunto il fratello a Scopeto solo dal 22 settembre 1944. Già sofferente da lunghi anni e cagionevole di salute per una operazione di un'ulcera allo stomaco subita nel 1943, aveva anche ultimamente avuto un pauroso collasso, accompagnato da un rincrudirsi di dolori orribili. Il medico curante aveva giudicato il caso disperato, perchè aveva riscontrato la presenza di un tumore maligno allo stomaco. Mandato dai superiori, era venuto quassù sperando di trovare un po’ di requie alle fitte acute che lo attanagliavano fino a farlo diventare verde per lo spasimo.
  Invece fra le colline e attorno alla casa dei suoi fratelli aveva trovato ansie più preoccupanti per il rincrudirsi degli allarmi e il ripetersi più frequente delle prepotenze tedesche.
  Gli aguzzini non gli danno il tempo di prepararsi: gli fanno cenno di mettersi in mezzo agli altri disgraziati, così, come sta. Egli chiede che lo lascino almeno calzare le scarpe, accenna anche al tempo che si mette a riversare una pioggerella insidiosa che penetra le ossa, alla sua salute malferma: quelli sono sordi e lo spingono in mezzo, al fianco di don Broccadello.
  Intanto le nebbie montate dal Lavino si sono congiunte alle fitte nubi che si riversano giù dal Bonsara e la pioggia si va facendo più insistente, trasformando le stradette e i sentieri in un pantano vischioso. E i tedeschi sembra facciano apposta a far arrancare i disgraziati attraverso sentieri e campi impraticabili, per raggiungere la strada, che seguendo 1’«Olivetta», li porterà a Calderino.
  Dopo un'ora di duro cammino raggiungono un casolare ove, nella breve sosta, Padre Mario ha la possibilità di completare un po’ alla meglio il suo abbigliamento sommario. Ivi però i tedeschi gli consegnano da portare un pesante cesto di uova razziate, e a don Broccadello due cassette di munizioni.
  Ripiglia più penosa la salita.
  Padre Mario da già segni di spossatezza e il suo sconforto è reso più profondo dal male fisico che non gli dà requie.
  Si sfoga col Parroco:
  — Quest'è l'ultimo nostro giorno. Sarebbe bene che ci scambiassimo l'assoluzione. —
  I due sacerdoti si confidano sottovoce le loro debolezze e si assolvono con un furtivo segno di croce.
  A «Molino di Cesare», borgata non molto distante da Scopeto, fanno una sosta. Il triste corteo si ferma sulla piazzetta, sotto l'incalzare della pioggia che li ha infradiciati. Le donne spiano dalle finestre delle case, riconoscono il loro Parroco, il giovane Padre infermo, ed hanno una stretta al cuore. I tedeschi intanto entrano nella bottega e ordinano da bere. La bottegaia si fa coraggio e chiede il permesso di riparare almeno i due sacerdoti dall'acqua. Ottenutolo, li conduce sollecita in casa e dà loro anche un uovo fresco da bere, per sostentarli un po’ .
  — Poveretti! — sospira, e i suoi sguardi rivelano tanta pietà.
  Pochi istanti dopo ripiglia il penoso calvario di Padre Mario. Fra insulti, minacce e urla bestiali, raggiungono la strada più comoda che porta a valle fino a Calderino; ma gli aguzzini sembrano gustare un mondo a farli soffrire di più, e si inerpicano col gruppo per una dura salita fuor di strada, per raggiungere altri casolari e continuare il rastrellamento e la razzia.
  Padre Mario arranca come può, con una mano stretta sul petto; si sente mancare il fiato, pure si sforza a seguire gli altri.
  Ad un tratto le forze gli vengono meno. Si ferma pallido in volto come un cadavere e brancola semisvenuto. Viene sorretto dai compagni; il maresciallo tedesco che guida la colonna gli si accosta, l'interroga, vuoi vedere la cicatrice lasciatagli dall'operazione allo stomaco e cinicamente conclude:
  — Avanti, avanti! Oggi guarirai molto bene!

* * *

  Il calvario non è ancora raggiunto e le tappe si fanno più dolorose.
  C'è il torrente «Olivetta» in piena, sotto la pioggia, che scroscia giù verso il Lavino, quasi costeggiando la strada.
  I crudeli persecutori si pigliano lo sciocco divertimento di far passare a guado il torrente, per il gusto di vederli poi barcollanti sotto il peso degli abiti infradiciati.
  Un gruppetto è rimasto indietro e la colonna si è eccessivamente allungata. I tedeschi svoltano dietro una casa, quasi per circondarla, e, là appostati, li pigliano di mira coi loro moschetti, senza colpirli però, ma spaventandoli a morte.
  — Questa volta non siete stati colpiti — sghignazzano dopo il vile giuoco. — State attenti alla seconda! —
  Passano per campi arati ove le scarpe affondano e s'incollano nel fango, attraversano prati, saltano fossati. Il sudore cola copioso misto ai rigagnoli della pioggia che li sferza, sotto il peso opprimente di ceste piene di bottiglie e di vivande rubate per strada alla popolazione, e di cui tutti a poco a poco sono stati caricati.
  Ancora due volte, a poca distanza dai ponti, debbono guadare il fiume sotto il ghigno beffardo dei tedeschi, che gustano in questo penoso tormento una sadica soddisfazione di dispetto.

* * *

  La fila dei rastrellati si va ingrossando: non passano accanto ad una casa senza filtrarvi e portar via gli uomini che trovano, incuranti del pianto disperato e delle suppliche angosciate delle donne e dei bambini.
  In tutti però si forma spontaneo un sentimento di compassione verso Padre Mario che arranca dietro a loro, con tanto stento da sembrare debba soccombere anche senza passarlo per le armi.
  — Coraggio, Pastore! O Germania o Paradiso! — ripete più volte l'interprete tedesco al Padre quando lo vede più spossato dallo sforzo ormai superiore alle sue forze.
  Don Broccadello non può più sostenere la vista di quello strazio e si volge al comandante: supplica che lo accompagnino direttamente al Comando e non lo facciano continuare nell'insopportabile fatica del rastrellamento:
  — Mi rendo garante io. Castigate me se questa sera non lo troverete al Comando!
  — No! Lui deve seguirci! Questo e l'ordine — risponde il maresciallo.
  Davanti alla colonna si stendono ora le pendici del Monte Cervo. Gli uomini, dopo aver superato ancora un rigagnolo che precipita nell'«Olivetta», affrontano il pendio argilloso e reso più viscido dalla pioggia.
  Padre Mario non ne può, più: si arresta sfinito e si accascia a terra come un sacco di stracci.
  La sua mente affaticata insegue i fantasmi che l'hanno terrorizzato negli ultimi mesi. Oh, la notte del 23 agosto 1944! quando una brigata di camicie nere fece irruzione nel suo convento di S. Giovanni a Ferrara! Sembravano demoni e reclamavano i partigiani e i renitenti ivi nascosti in buon numero:
  — Vogliamo scovare «i delinquenti»! — impongono col mitra puntato.
  — Non ospitiamo delinquenti! I delinquenti sono fuori! — risponde audacemente il Padre Superiore. E i «delinquenti» non furono trovati. E quanto risero poi per quel: «i delinquenti sono fuori»!
  E quei babbei che non avevano capito! Oh, l'avessero ucciso allora, nella sua cella, in mezzo ai suoi confratelli!
  E i tre bombardamenti pesantissimi che seguirono sulla città!... Quale trepidazione sotto l'oscillare pauroso del campanile! Eppure sarebbe forse stato più bello morire allora, schiacciato da quelle mura sacre, vicino all'altare della Madonna, in terra benedetta!...
  Il maresciallo che è in testa a quella «fila indiana» si ferma al richiamo che si sono lanciati dietro di lui, e scruta con un sorriso diabolico quella turba motosa che lo segue.
  S'accorge che Padre Mario non tiene il contatto, che è a terra. Urli, minaccie, imprecazioni: un leone inferocito.
  Tutti trattengono il fiato terrorizzati.
  Da ordine che la colonna prosegua ed egli li lascia sfilare ad uno ad uno al suo fianco.
  Anche Padre Mario, con uno sforzo sovrumano, si trascina fino a lui: è una maschera di dolore, col pallore della morte sul volto.
  — Pastore, fermo! — ordina quell'indemoniato.
  Padre Mario si arresta e fissa in lui il suo sguardo innocente, offuscato dall'indicibile stanchezza.
  Il carnefice spiana la rivoltella e all'improvviso, senza nemmeno prepararlo, scarica contro di lui due proiettili che lo colpiscono alla gola.
  La vittima innocente ha una contrazione dolorosa di stupore sul volto emaciato, e rotola sulla mota del sentiero.
  Si agghiaccia il sangue nelle vene degli altri che assistono impotenti a quel tragico epilogo giunto così inaspettato.
  Vedono il Padre che si contorce a terra nei singulti dell'agonia, sentono il lamento che esce rantoloso dalle labbra del morente:
  — Oh Dio! oh Dio! —
  Don Broccadello, impietrito dalla sorpresa e dal dolore, alza la mano e, sebbene visto dal maresciallo, imparte l'assoluzione alla povera vittima.
  Il carnefice si china sul Padre, gli appoggia la rivoltella al cranio e gli dà il colpo di grazia: Padre Mario si accascia per sempre nel sonno della morte.
  Allora gli attoniti spettatori assistono ad una scena che fa rivoltare ogni retta coscienza: l'aguzzino si abbassa sul martire, gli strappa l'orologio, gli asporta il portafoglio; si tramuta in un volgare rapinatore da strada.
  Vistosi spiato, si mette ad urlare contro gli onesti montanari che abbassano il volto e si voltano dall'altra parte arrossendo per lui.

* * *

  L'interprete, di nome Alfonso, da Merano, si affianca al Parroco di Scopeto e gli mormora:
  — Pastore, recitiamo un «De profundis» per il povero Padre! — e risponde correttamente al latino del sacerdote.
  Poi si volge ad ascoltare le parole che gli urla ironico il maresciallo, e traduce al Parroco:
  — Dice che il Pastore è andato a fare il viaggio. Adesso preparati a farlo tu pure, che lo seguirai! —
  La colonna, con l'incubo di questa nuova fosca minaccia, si allontana sotto le nubi basse, mentre dietro a loro scompare nella nebbia il corpo immoto del Padre Mario M. Ruggeri.
  E là rimane, sotto la quercia, per cinque giorni, coperto solo pietosamente con un panno da una povera donna.
  Non si osava nemmeno seppellire i propri morti!
  Il 14 ottobre è composto religiosamente in una bara, portato a Tignano e tumulato in quel cimitero.
  Don Broccadello fu salvo quasi per miracolo.
  Difatti, internato alle «Caserme Rosse» di Bologna con altri 12 sacerdoti della diocesi, il 12 ottobre, in seguito al bombardamento che colpì in pieno il fabbricato, riuscì a fuggire.
  Racconta anzi don Broccadello che nei pochi giorni di prigionia non gli mancarono le percosse da parte degli aguzzini nazi-fascisti. Soffrì la fame, fu oltraggiato al punto di costringerlo a bere un uovo marcio seguito da ben sei bicchieri di vino. Tutto sotto la minaccia di fare «caput».
  È il solito odio verso il sacerdote che porta il malvagio o a disfarsene o a trattarlo bestialmente.