Don Ilario Lazzeroni

Una tempra di montanaro

foto Don LAZZERONI dott. ILARIO

  Nato a Boschi di Granaglione il 28 febbraio 1904 da Santino e Assunta Bragalli. frequentato il seminario delle Capanne e completati gli studi al Regionale di Bologna fu ordinato sacerdote il 25 maggio 1929 e mandato cappellano a Bazzano; si laureò in Teologia e lettere all'Università del S. Cuore e insegnò al Collegio S. Luigi di Bologna. Dal 1940 fu cappellano militare fino all'8 settembre 1943. Fu ucciso a Montegranelli di Bagno di Romagna il 25 luglio 1944.

  Conoscete i nostri montanari? I nostri, dico, del nostro Appennino bolognese. Hanno qualità e doti particolari che li fanno distinguere fra tutti: attaccamento alle tradizioni, affezione illimitata alla famiglia, sobrietà esemplare nel cibo. Ma ciò che è dote comune e loro vera caratteristica è una rara ostinatezza di volontà nel tendere ad una meta prefissa, qualunque siano gli ostacoli da superare.
  Tale ostinatezza fu forse la caratteristica del nostro don Ilario, il montanaro di Boschi di Granaglione. Era in questo un montanaro tutto di un pezzo: la sua persona massiccia, la sua viva intelligenza che brillava dagli occhi sotto le lenti, il suo spirito pronto e vivace anche nel ribattere gli attacchi più o meno bonari dei colleghi, erano tesi ad un traguardo ben definito da cui non recedeva di un passo. E noi sapevamo, quando lo vedevamo passeggiare solo solo (e succedeva spesso!) per il cortile, la mano nella mano dietro la schiena, il capo appena inclinato, il passo lento, un po’ ondulante e sempre uguale come il passo inesorabile del destino, noi sapevamo che don Ilario meditava un colpo, ne preparava la strategia e silenziosamente lavorava nel suo cervello un progetto che indubbiamente sarebbe riuscito ad attuare.
  Quando fu ordinato sacerdote è mandato cappellano a Bazzano, pur adempiendo con scrupolo e zelo i suoi doveri di buon sacerdote, i suoi occhi continuarono a sognare una meta diversa.
  Volle laurearsi in Sacra Teologia e in Belle Lettere. Ottenne dal Card. Arcivescovo di Bologna il permesso di iscriversi all'Università del S. Cuore e si trasferì a Milano. Seguì i corsi dell'Università, coadiuvando anche Mons. Giovanni Sodini all'Istituto dei «Piccoli di P. Beccaria» nell'assistere i piccoli ricoverati, e riuscì a conseguire brillantemente la laurea agognata.
  Gli parve, durante il periodo dei suoi studi, fosse opportuno andare all'estero per raccogliere notizie dalle fonti genuine, ed ebbe modo di visitare la Francia, specie soffermandosi a Parigi, e anche, per un certo periodo, la Svizzera. Solo così gli sembrò di poter iniziale degnamente il suo insegnamento nelle scuole.
  Scoppiata la guerra, gli brillò come una necessità del momento il dare il suo aiuto incondizionato alla patria in armi, e volle e seppe essere Cappellano Militare zelante e stimato fino al famoso 8 settembre 1943, quando, preoccupato dalla triste prospettiva di dover sottomettersi ai tedeschi, preferì abbandonare l'esercito e ritirarsi presso il proprio fratello, don Giuseppe, parroco a Montegranelli, nel comune di Bagno di Romagna.
  Qui invece, forse per la prima volta nella sua vita, trovò quanto non aveva previsto e voluto.
  È il 25 luglio 1944. Nelle solite scaramucce coi partigiani dei monti, rimangono esamini al suolo, proprio nelle vicinanze dell'abitato di Montegranelli, due tedeschi. Non si fa attendere la solita rappresaglia tedesca: le case sono razziate e incendiate, il bestiame asportato, ventisei uomini catturati e, più tardi, selvaggiamente falciati dalla mitraglia. Fra essi don Ilario.
  Egli, trovatosi in mezzo a quella selvaggia razzia di animali e di uomini, non ha voluto sottrarsi al pericolo, anzi, come racconta il fratello don Giuseppe, ha voluto egli stesso esporsi nell'intento di giovare a quegli infelici.
  Munito dell'Olio Santo, s'incammina verso il luogo ove più feroce si esterna la malvagità nemica. Si trova in mezzo a quegli sfortunati, li ascolta, li conforta, li benedice, li assiste fino alla soglia dell'eternità. E quando anche le sue parole a favore di quelle vittime innocenti restano inascoltate, egli si affianca a loro per sostenerle nel passo estremo.
  Non si hanno particolari sui suoi ultimi istanti.
  Pare certo che i tedeschi l'abbiano trattenuto dopo la sua opera sacerdotale e, riconosciutolo come cappellano militare, l'abbiano voluto sacrificare per aver lasciato l'esercito dopo il settembre 1943.
  Non valgono le parole di difesa. Don Ilario si rassegna al grande passo.
  Stringe la corona del Rosario fra le dita e fervorosamente fa scorrere i grani delle «Ave», come aveva fatto ogni giorno della sua vita.
  In quest'atto viene raggiunto da una fitta raffica di mitra che lo abbatte esanime al suolo.
  Un altro buon sacerdote del nostro clero bolognese ci era così brutalmente strappato.