L’argomento trattato fu la Legione di Maria, che costituii nel 1950. Mi imposero di narrare la mia vita in Cina. Quando con la mia narrazione arrivai all’istituzione della Legione di Maria, il, giudice interloquì: «Narra i delitti da te commessi a mezzo di detta Legione di Maria. Se sarai sincero ti saranno condonati gli altri delitti». Capii l'astuzia. Con l'ammettere anche lievemente qualche cosa di male nella Legione di Maria avrei finito per mettermi in sospetto per molti altri delitti, dei quali mi tenevano reo. Dissi loro, ed era vero, che avevo istituito la Legione di Maria per istruire meglio i cristiani e renderli più attivi in fatto di religione, specialmente in rapporto ai nuovi tempi. Ma essi volevano ben altro: dovevo confessare che la Legione di Maria era un’associazione reazionaria in riunione con l’imperialismo americano. Le ragioni che portavano erano cinque: 1) perché fondata in Irlanda nel tempo preciso in cui in Russia veniva fondato il comunismo, quindi contropartita del comunismo; 2) perché tiene il suo quartier generale in Irlanda, che dipende dall'Inghilterra, e questa a sua volta dipende dall’America; 3) perché propagata in Cina dal cosiddetto capo imperialistico mons. Antonio Riberi, grande nemico del popolo cinese; 4) perché trovata colpevole di molti misfatti; 5) particolarmente colpevole a Yutze perché fondata e diretta da me, imperialista, criminale, omicida. Respinsi decisamente tutte le cinque subdole ragioni, nonostante la furia e le minacce del giudice. Feci tuttavia notare che per gli altri luoghi io non potevo rispondere, ma per quanto riguardava Yutze ero sicuro di non aver fatto nessuna opera reazionaria. Ma essi deviavano la questione portandola in campo generico: insistevano sui nomi di Mussolini, di Hitler, su l’Italia fascista, sull’invasione in Abissinia. Volevano insomma portar la mia questione sulla cosiddetta risma imperialistica a cui avrei appartenuto. Il giudice si alzò di scatto dando un pugno sul tavolo: «Tu rappresenti l'imperialismo fascista, quello giapponese e quello americano. Tu ti trovi impaniato nelle più brutte faccende dell’ingiustizia e dell’oppressione contro il popolo cinese». E poi proseguì: «Oh, certo, non sei tu così colpevole come quegli imperialisti indicati prima, ma per metter un po’ di confusione in Yutze sei più che sufficiente». E mi consigliò a staccarmi dagli imperialisti e disapprovarne le azioni e gli intendimenti; che la mia era più che altro una questione di posizione falsa.
La sua logica era difettosa, se si confrontano le pretese asserzioni con l'accusa contro la Legione di Maria, capii chiaramente la commedia e gli proposi un quesito: «O sono gli altri colpevoli, allora giudicateli; o sono io colpevole, allora giudicate me. Io non ho da rispondere se non degli affari miei. Sono io l'arrestato dunque devo essere il giudicato». «Allora racconta i tuoi peccati commessi in 22 anni di Cina — riprese il giudice —. Su, racconta, racconta».
Cominciai a raccontare con maggiori dettagli la storia della mia propaganda missionaria e delle opere rivolte all'assistenza del popolo: luoghi, date, mansioni, ecc. Fui bruscamente interrotto: «Sono questi i tuoi delitti, è così che hai imparato ad essere sincero? Vieni qui a raccontarci le tue benemerenze? Vuoi essere un secondo Antonio Riva?». «Non vi capisco — ribattei — forse per farmi vedere sincero dovrei incolparmi di delitti non commessi?». «È questione di posizione» — rispose il giudice — Tu ragioni e parli in base a principi imperialistici, anti-popolari. Se pensassi sinceramente agli effetti a cui può condurre la Legione di Maria capiresti subito di essere diventato un grande nemico del popolo. Sappi che oggi il popolo si è svegliato e che esservi nemico equivale a suicidarsi». «Ho capito quel che mi dici—dissi—. È vero, non va bene essere nemici del popolo, non si deve procurare danno al popolo». Il giudice aprì un libro. Era lo statuto della Legione di Maria. Mi fece notare, come ivi sta scritto, che la Legione vuol spronare i cristiani, scelti ed educati appositamente, impegnandoli a battaglia contro il diavolo. «Chi è il diavolo — mi gridò — Chi è il diavolo se non
il governo del popolo? Le vostre battaglie contro Satana sono tutte dirette contro il governo del popolo».
«Se vi considerate diavoli da voi stessi — replicai — non so proprio cosa dirvi; so solo che noi per diavolo intendiamo dire il vero diavolo, condannato da Dio, il diavolo che sconvolge le coscienze e le tenta al male. Il diavolo è lo spirito maligno che lavora dall’inferno per afferrare più gente che può nella sua stessa sciagura».
«Basta con queste favole! — ruggì il giudice — Non esiste inferno né diavoli. Con la parola «diavolo» intendete ben altro, di più reale, di più visibile: i comunisti, noi, il popolo. Tu sei maledetto. Tu hai aumentato il numero dei cadaveri e delle casse da morto. Tu sei un delinquente, un assassino, un omicida, un infanticida, d'accordo con i giapponesi e con tutti gli imperialisti; tu sei un reazionario e un nemico del popolo. Nelle vostre chiese si commettono i più gravi misfatti dei nostri giorni; ed ora osi venirci a raccontare qui le tue benemerenze! Qui! Tu credi di venire difeso e protetto dai tuoi cristiani? Sono essi che ti accusano. Va, va, essi hanno aperto gli occhi e sono stanchi del vostro imperialismo!». Mentre ascoltavo la filippica andavo considerando il concetto «vostro imperialismo» che il giudice ripeteva ogni momento, e che voleva significare il delitto di un gruppo, non di me personalmente. La tendenza a passare dal particolare al generale, dal singolare al complessivo, si fece più chiara quando aggiunse: «E tutto quello che è avvenuto in chiesa? Non sei tu forse il responsabile?». Negai di essere il responsabile non essendo vescovo né vicario generale. Comunque non vedevo la ragione di temere alcuna responsabilità, poiché sapevo che in chiesa non era avvenuto niente contro le giuste leggi dello Stato. Intanto l’interrogatorio piegò su chi fosse il responsabile, quello che comanda e dirige tutto, su chi fosse il vescovo insomma. Alla mia risposta che il vescovo era morto da due mesi, essi sorrisero con quel sogghigno malizioso di chi ostenta di essere ben informato di tutto. «Quando il vescovo viveva egli era una tua marionetta; adesso che è morto ti fa da marionetta il vicario generale padre Yang. Lo sappiamo — lo ammette lo stesso vicario Yang — che il Papa, italiano, non si rassegnerebbe a mettere a capo della diocesi un cinese. Per voi altri imperialisti i cinesi dovrebbero sempre essere sottoposti. Conosciamo le vostre manovre: in apparenza è un cinese, il Yang, ma di fatto chi è? Di', chi è? Chi può essere se non un italiano? Se non tu? Il Yang ha confessato di sentirsi libero solo dal momento che noi ti abbiamo arrestato. Prima comandavi tu».