Quando arrivai in Cina, nel 1932, avevo 21 anno. Da Shangai intrapresi il viaggio verso l'interno, diretto alla Missione di Yutze, nello Shansi. Era il mese di giugno. Nel caldo umido del fiume Azzurro ebbi la prima impressione della Cina: molto traffico, opere in costruzione e, lungo il gigantesco fiume, porti con traffico intenso ma non disordinato. La popolazione sembrava tranquilla ed anche contenta. Ad Hankow notai un tenore di vita piuttosto elevato. Il giorno in cui si doveva partire da Hankow, e precisamente il 18 giugno 1932, verso l'ultima tappa, Taiyuen, nello Shansi, giunse notizia di un arresto ferroviario: i comunisti, per sabotaggio, avevano provocato il deragliamento di un treno sopra un ponte: il treno era precipitato nella vallata e vi furono molte vittime.
Nella Missione trovai otto padri della provincia francescana di Bologna che operavano in un territorio più grande dell'Emilia, sotto la guida del prefetto apostolico mons. Ermenegildo Focaccia. Si contavano allora meno di ottomila cristiani, sparsi in piccoli gruppi. In un territorio vasto circa quarantamila Kmq.
Nel settembre del 1933 fui ordinato sacerdote e destinato nella zona occidentale della Missione. Nel 1936 venivo trasferito nella zona orientale. Vi rimasi dieci anni con molti frutti di conversioni.
Nella Missione si lavorò da tutti con impegno dal 1932 al 1947. Il numero dei cristiani fu raddoppiato. Nel 1934 si costruì un orfanotrofio, capace di ospitare duecento orfane; oltre a un ricovero per una cinquantina di persone. Poi sorsero chiese e oratori; scuole furono erette un po’ dappertutto.
Nel 1935 e nel 1936 si sono verificate le prime scorribande dei comunisti nello Shansi settentrionale. I padri francescani spagnoli furono costretti ad abbandonare la loro missione per rifugiarsi fra noi nello Shansi centrale. Anche il loro orfanotrofio, che ospitava un centinaio di bambine, dovette mettersi in salvo e fu incorporato nel nostro.
Durante la guerra cino-nipponica il nostro lavoro si intensificò: asili ai profughi, scuole per i poveri, distribuzione di viveri, mediazioni per i carcerati sospetti ed altro. Nel 1939-42 sorsero i grandiosi edifici del seminario e della residenza centrale. Nel 1944 la missione veniva elevata a vicariato apostolico e nel 1946 dichiarata diocesi. Il vescovo mons. Focaccia da titolare diventava vescovo diocesano. Nel 1947 ancora guerra: i comunisti contro i nazionalisti. Furono mesi di terrore e di fame. Si giunse così all'aprile 1949, data dell'occupazione rossa di tutto lo Shansi. Dopo aver costretto le città e le campagne alla fame, i comunisti si presentavano al popolo come i liberatori. Il popolo, stanco delle guerre e della miseria, ebbe la sensazione di poter star bene anche sotto i comunisti; tanto più che questi lasciarono dapprima una certa libertà. Il tempo cioè necessario per impadronirsi delle leve di comando.
Il severo e meticoloso controllo sul domicilio e sullo spostamento dei cittadini cominciava però ad insospettire il popolo. Sotto il regime comunista non è permesso lasciare la dimora, sia pure per un sol giorno ed a brevissima distanza senza preavviso alla polizia, dalla quale bisogna ottenere un lasciapassare scritto da presentarsi alla polizia del luogo d'arrivo e di dimora precaria.
Io fui arrestato e rinchiuso in carcere per una notte per via di una suora che non aveva notificato il suo ritorno. Fui condannato a spazzare per tre giorni una via della città perché un sacerdote dimorò una notte presso di noi senza avvisare la polizia.
Nonostante tali difficoltà, la comunità cattolica ebbe tre mesi di relativa calma. La religione apparentemente non veniva toccata. I guai cominciarono tra luglio e agosto del 1949. Dapprima si trattò di imprestare per pochi giorni gli edifici del seminario e della residenza episcopale; poi ci parlarono di affitto; infine vista la nostra riluttanza, ci accusarono di essere capitalisti, ex-fascisti e imperialisti. E come tali, noi dovevamo (e dovemmo infatti) sloggiare da quegli edifici se volevamo andar d'accordo con il popolo, se ci premeva di non incorrerne le ire. Dopo tutto, quegli edifici erano stati edificati dal lavoro del popolo ed era ora di finirla — ci dissero — di sfruttarne le comodità. Sloggiammo. Fummo costretti a stabilirci in un piccolo atrio presso la chiesa, già abitato dalle suore, le quali, a loro volta, furono costrette a fare i bagagli. Essi, gli ufficiali, vi entrarono portandovi dovizia di mobili «raccolti in prestito», ma credo si dimenticarono che quegli edifici appartenevano al lavoro del popolo perché vi posero le sentinelle alla porta, e il popolo fu tenuto molto più lontano di prima. Quando vi abitavamo noi l'accesso non era proibito a nessuno.
Nel novembre 1949 un commissariato del partito comunista aizzò contro di noi un tale che, col pretesto di aver depositato anni addietro in una certa località, presso un sacerdote, delle granaglie ed utensili, e di aver subito dei danni per incursione aerea presso una chiesa, pretese da noi il risarcimento. Il governo lo sostenne e gli insegnò il modo di presentar l'accusa e di incolparci; per di più mandò alcuni scalmanati ad intimorirci con una grandinata di sassate dentro il nostro piccolo atrio. Dovemmo piegarci a quell'ingiusta riparazione che, per colmo di ingiustizia, venne quintuplicata in confronto alle perdite accusate da quel lestofante approfittatore.
Nel dicembre del '49 i nostri quindici ettari di terra, dissodati col sudore della nostra fronte, (era una distesa di cespugli cosparsa di mucchietti di detriti prima del 1939) ci vennero sequestrati con la scusa che noi eravamo vagabondi ed incapaci di lavorare. L’avevamo sistemata ad orto, e portava un margine di introito prezioso in tempi così problematici. Nessuna nostra ragione fu ascoltata. Avevano deciso di strozzarci economicamente. Oltre a ciò, nel febbraio 1950, pretesero anche l'acquisto di alcune decine di schede del prestito nazionale della vittoria e di altri titoli, prestiti ed offerte che comportarono la spesa di oltre un milione di dollari cinesi, pari a più di 150 mila lire italiane. Il colpo più duro ci venne dall'imposizione di tasse arbitrarie sulle nostre case di Tientsin, tali che, per pagarle, non bastava più l'introito degli affitti delle case stesse. Quello che era uno dei nostri maggiori attivi si cambiò così in un duro passivo. Ma il peggio venne dopo: fu il congelamento dei depositi in valuta straniera disposto verso la fine del 1950. Con tale decreto era evidente che il governo intendeva colpire tutte le missioni cattoliche in Cina. L'oppressione economica fu durissima, tanto che quasi tutti i sacerdoti furono costretti ad esercitare un mestiere per sbarcare il lunario.
Nella seconda metà del 1950 incominciò quell'oppressione religiosa camuffata sotto il pretesto della riforma politica chiamata il «Movimento delle tre autonomie». Per via di questo movimento la Chiesa cinese avrebbe dovuto staccarsi totalmente dall’influenza straniera e quindi anche dal Papa. Ecco le tre autonomie: con l'autonomia di governo la Chiesa dovrebbe venire retta solo dai Cinesi indipendentemente da qualunque ingerenza straniera; con l'autonomia di propaganda dovrebbe essere propagata da cinesi; con l'autonomia economica la Chiesa dovrebbe essere mantenuta solo dai cinesi senza aiuto straniero. Veniva tolta così ogni collaborazione della Chiesa universale verso la Chiesa cinese. Si capiva troppo bene che queste tre autonomie avrebbero portato al disfacimento di ciò che nella chiesa è sopranazionale o cattolico, riducendola in condizioni rovinose.
Come potrebbe sussistere una chiesa staccata dalla comunità cattolica, manomessa ed inschiavìta da un governo materialista ed ateo?
La reazione morale e compatta del clero e dei cristiani non poteva non farsi sentire. Come causa di questa resistenza alle insidie del movimento di riforma capeggiato dal governo e da cristiani rinnegati, furono indicati la Legione di Maria e la presenza dei sacerdoti stranieri in Cina. È perciò che fin dai primi mesi del 1951 incominciò la persecuzione contro la Legione mariana, accompagnata da arresti di sacerdoti stranieri e sacerdoti indigeni.
Nella nostra diocesi alla fine del 1951 si trovavano in carcere tre sacerdoti: padre Mario Balboni, don Andrea Wang, don Andrea Liu; oltre al fratello laico Antonio Tung e vari cristiani. Nella vicina archidiocesi di Taiyuen era stato imprigionato l'arcivescovo mons. Luca Capozzi, quattro padri italiani, una suora italiana e molti cristiani.
La propaganda anticristiana fu fatta con tutti i mezzi: furono persino impiantati altoparlanti sulle alture dominanti i villaggi. «Luca Capozzi e compagni — scandivano gli speakers — sono sfruttatori, spie, nemici del popolo cinese, lupi in veste d'agnello, pseudo sacerdoti, veri imperialisti». La trasmissione veniva recitata tutte le sere, dopo che il popolo era tornato dai campi.
Gli operai cattolici che non si «allinearono» furono prima biasimati pubblicamente, poi licenziati dal lavoro; altri furono qualificati imperialisti, retrogradi, pericolosi per il popolo, e minacciati di carcere e di altre punizioni. La pressione fu così grave che si deve escludere qualunque spontaneità sia riguardo al «movimento delle tre autonomie» come riguardo alle denunce contro i cosiddetti imperialisti. L’atmosfera si andava sempre più aggravando. Molti cristiani si trovarono in grande imbarazzo e pari disorientamento poiché il movimento delle «tre autonomie» veniva travisato come fosse un movimento di amor patrio, e in più piovevano le minacce contro quelli che si mostravano restii a sottoscrivere alla riforma.
Il vescovo Focaccia, dopo aver consultato tutti i sacerdoti della diocesi, prese la decisione di dare qualche pratico indirizzo: si permetteva ai cristiani di sottoscrivere quelle dichiarazioni che non contenevano un evidente contrasto con la fede e con la dottrina cristiana; inoltre, tutte le dichiarazioni contro l’imperialismo in forma generica non si consideravano come dirette contro la religione nella mente dei cristiani, anche se i comunisti avessero inteso la religione; si proibiva l’istituzione del comitato di riforma da parte dei cristiani; si precisava infine di lasciare indisturbati i cristiani che firmavano le dichiarazioni di riforma per puro inganno passivo.
Si era giunti a queste conclusioni in base alle mutate pregiudiziarie dello stesso movimento di riforma. Difatti, i comunisti — che in un primo tempo avevano insistito col distacco completo dagli stranieri ed anche dal Papa — si erano accorti che era troppo duro e moralmente impossibile per il clero indigeno e per i cristiani scindersi dalla chiesa universale ed erigersi in chiesa scismatica. La contrarietà e resistenza fu molto compatta ed appariva evidente nei casi in cui qualche debole sacerdote veniva a compromesso, dichiarandosi pronto di aderire incondizionatamente al movimento: tutti i buoni cristiani lo evitavano e lo indicavano come apostata. Così successe a Pechino, a Tientsin, a Shangai, a Nanchino e in tanti altri luoghi, tanto che, ostinandosi in quella linea, il nuovo movimento di riforma finì per essere appoggiato da pochi cristiani apostati e da qualche impreparato sacerdote. Lo stesso primo ministro Ciuen-Lai intervenne scaltramente dicendo che l'unità universale della famiglia cristiana doveva essere rispettata, solo si dovevano eliminare gli imperialisti, quali mons. Riberi, mons. Yuping e altre degnissime persone. Così facendo si sarebbe fatto un servizio alla patria ed alla chiesa. Fu un passo indietro da parte del governo, naturalmente con l'intenzione di farne più d’uno in avanti. Comunque da allora le dichiarazioni di riforma diventarono più generiche e ambigue: distaccarsi dagli imperialisti e purificare la chiesa del loro veleno per amore della patria e della stessa chiesa. Era però chiaro che in tal modo si veniva a sovvertire l'ordine gerarchico della chiesa, facendola da clericale diventare popolare, dando cioè al popolo l’autorità di far man bassa col pretesto di purificarla dall’imperialismo. Ma cosa è il popolo sotto il regime comunista? Un puro strumento in mano al governo, un paravento, una finzione nominale per dar sapore legale a tutti i soprusi. I cristiani e i sacerdoti che si trovavano nell’imbarazzo potevano far buon giuoco sugli equivoci e sulle ambiguità, accettando le dichiarazioni nel puro loro senso materiale di riforma politica senza tener conto delle mire che potevano esistere nelle intenzioni del governo, e degli apostati.
Per i cristiani, specialmente operai, era divenuto un problema economico molto serio: aderire alla riforma e vivere, o non aderire e venir strozzati economicamente. Nel sistema comunistico lo strozzinaggio economico è facilissimo, anzi è la più grande arma per imporre le proprie teorie e la propria volontà, per asservire le masse ed usarle in tutto e per tutto a propri fini. Quando il governo ha in mano tutta l’economia della nazione, quando tutti i produttori industriali e agricoli siano diventati puri e semplici operai del governo, il quale a sua volta sia diventato il grande monopolizzatore, contro il quale nessuno possa agire, non è forse questo il massimo peggioramento del capitalismo? Il capitalismo ordinario infatti è l’accumulamento di molte ricchezze in mano di pochi non armati né uniti, anzi in concorrenza fra loro, i quali a loro volta debbono sottostare alle leggi che proteggono la proprietà privata di tutti; mentre il capitalismo marxista è il capitale in mano al governo, uno ed armato, che non sottostà alle leggi ma le fa; e queste leggi non solo non proteggono la proprietà privata, ma la tolgono, di modo che l’individuo diventa una semplice bestia da soma, governata più o meno bene a volontà del governante.