Per i comunisti delle "Reggiane" il Natale è giorno di lavoro

    Tutti debbono sapere che le OFFICINE REGGIANE sono «occupate» dagli operai. Polemica ed argomento che si trascinano sulle pagine dei quotidiani da diversi mesi. Perchè o percome siano occupate dagli operai qui non ci interessa.
    Altra nozione obbligatoria. Le OFFICINE REGGIANE sono al centro di un moto sindacale sussultorio. Negli ambulacri delle Camere rosse del Lavoro vengono considerate la trincea avanzata dello schieramento progressista. L'on. Di Vittorio qui si trova come a casa sua. Non parliamo poi di Togliatti o di Secchia che sono di famiglia addirittura.
    Ciò premesso, la mattina del 25 dicembre 1950, lunedì, Natale di nostro Signor Gesù Cristo, il «compagno commissario» alla solita ora suonò le sirene dell'inizio del lavoro. Come negli altri giorni il lacerante grido delle sirene trivellò il cupo mattino nebbioso. Dai cancelli intanto entravano i «compagni lavoratori». Bicicletta a mano, mantelli, tute da lavoro. Come negli altri giorni. Il CALENDARIO DEL POPOLO non iscrive nelle festività obbligatorie la data del 25 dicembre. Chi vuole fa l'albero di Natale cioè un rito completamente folkloristico e basta. Di Nostro Signore, della Nascita di Gesù, il Calendario, che è appeso nell'ufficio del «Compagno commissario» delle OFFICINE REGGIANE, non ne fa verbo.
    Proprio per questo le sirene, lunedì, giorno di Natale, suonarono. Non fu uno sbaglio o una svista. Fu un deliberato e cosciente atto in linea con la dottrina del CALENDARIO DEL POPOLO.
    Come faccio a dirlo, voi mi chiederete. Lo si desume dai giornali comunisti. Si fa presto. Uno ha prospettato la cosa, che certamente non ha edificato la popolazione, come «un sacrificio che gli operai erano chiamati a compiere per la salvezza dello stabilimento». Un altro, facendo lo gnorri, se l'è cavata scrivendo che da poi che mondo è mondo il lunedì è sempre stato un giorno lavorativo per il popolo. Il settimanale comunista regionale invece ha rappattumato alla men peggio scrivendo che «il lavoro alle REGGIANE non era un insulto alla culla di Betlemme, ma un avvertimento al capitalismo».
    E a mezzogiorno grande banchetto in una sala dello Stabilimento. Una precedente propaganda comunista ammantata di solidarietà agricolo-metallurgica aveva persuaso i mezzadri e i contadini a portare in omaggio agli operai delle REGGIANE i capi di pollame che in tale circostanza si usa regalare ai proprietari del campo. All'insegna quindi dell'alleanza agricolo-metallurgica diverse decine di capponi trovarono la morte dentro lo Stabilimento quel famoso lunedì, giorno lavorativo secondo sempre il CALENDARIO DEL POPOLO. Sembra anzi che non fosse del tutto disinteressata la scelta del proprio cappone. Vari bisticci risuonarono sotto le arcate della sala delle REGGIANE. E ciò è naturale. Non ne proviamo scandalo affatto. Resta per noi un altro argomento (se non fosse superfluo) per sottoscrivere l'eterna saggezza di Trilussa e del suo Checco comunista che appena ebbe qualcosa da spartire divenne all'istante conservatore accanito. Naturale, ripetiamo, che gli operai delle REGGIANE si siano bisticciati per aver il pollo più voluminoso. Rientra nell'ordine naturale delle cose. Proprio perchè rientra nell'ordine innaturale delle cose il comunismo bolscevico del compagno commissario.
    Al momento buono, quando le macchine delle REGGIANE continuarono a restar ferme, una grande mangiata in quel lunedì, giornata lavorativa secondo il CALENDARIO DEL POPOLO. Una gran mangiata ed una gran bevuta. Forse l'indomani, quando il compagno commissario suonò la solita sirena alla solita ora, non tutti i compagni lavoratori erano presenti all'appello, per quella mangiata. Del resto anche Francis... Vi ricordate il mulo parlante del notissimo film? Anche Francis, dicevo, non si è presentato al lavoro il giorno di Santo Stefano. Almeno così hanno riportato le cronache di un giornale americano. Aveva abusato delle cose buone regalategli durante la festa. Lo ha dichiarato il veterinario della UNIVERSAL, dopo averlo visitato. Ma questa è un'altra storia.

Reggio Emilia, gennaio 1951.