Cronache e informazioni - 11

LA COMMEMORAZIONE DEI SACERDOTI E DEI FEDELI UCCISI A MONTE SOLE NEL SETTEMBRE-OTTOBRE 1944

Domenica 26 aprile 1981, la Chiesa di Bologna la voluto ricordare con una assemblea di meditazione e di preghiera, il sacrificio di intere popolazioni e dei cinque sacerdoti, avvenuto nel tragico settembre 1944 nella zona di Monte Sole, a sud di Marzabotto.
Sacerdoti e fedeli della zona, i membri del Consiglio presbiterale e Pastorale, e altri numerosi fedeli si sono radunati nel pomeriggio, insieme al Card. Arcivescovo e al Vescovo Ausiliare Mons. Cocchi, nella Chiesa parrocchiale di Gardelletta.
Dopo la testimonianza resa dal Vicario pastorale e da altri sacerdoti del Vicariato di Setta, che si sono particolarmente adoperati in questi ultimi tempi per raccogliere i ricordi e le testimonianze di quelle giornate insieme tragiche e luminose, hanno parlato il Prof. Alessandro Albertazzi sul tema "La vita della comunità cristiana di Monte Sole", e Mons. Luciano Gherardi su "L’impegno della nostra Chiesa per rivivere il messaggio di fede legato alla loro testimonianza".

Il Prof. Albertazzi ha avviato la sua relazione, osservando che "le ricostruzioni storiografiche, ferme all’avvenimento, premute dalla necessità di capire, di interpretare quei giorni, hanno messo in secondo piano gli essere umani e i luoghi protagonisti positivi della vicenda, per penetrarle a fondo, invece, i protagonisti negativi".
Hanno così prevalso ‘la strage’, ‘l’eccidio’, ‘la rappresaglia’, collocati nel contesto di un conflitto, i cui tragici caratteri Pio XII aveva già ben indicato nel discorso natalizio del 1939. ‘I martiri di Marzabotto’ non sono stati, in questo modo, veramente studiati. Ciò è comprensibile, se si pensa che nella ricerca storica, sempre, si va dal noto al meno noto, dalla cronaca all’interpretazione, da ciò che appare a ciò che sta dietro, continuamente riformulando le domande, alle quali dare risposta.
Il convegno, quindi, dopo cinque anni di tentativi e di iniziative in questa direzione, inizia oggi a porre in rilievo i veri protagonisti della vicenda di Marzabotto. Per questa svolta nelle ricerche, è necessario che ci si chieda non solo perchè morirono, ma come seppero morire, e cioè, secondo una consolidata tradizione, come vissero.
In questo caso - ha sottolineato il relatore - i protagonisti non sono soltanto i personaggi positivi di una rappresentazione, ma divengono persone vive e attive, che esprimono in una esperienza di vita quotidiana, un originale, irripetibile rapporto tra l’uomo e il suo ambiente, che non può, in modo banale e superficiale, definirsi arretrato, quando da molti segni si notano gli stimoli del progresso, le iniziative volte a mantenere vitali forme di vita, in una con la trasformazione delle condizioni materiali d’esistenza.
Verificate le strutture economiche della zona, in relazione con la situazione socio-economica complessiva dell’Appennino bolognese nella prima metà di questo secolo, emerge con chiarezza il prevalere delle tradizione rurali rispetto ai nuovi modelli proposti dalla cultura urbana, nonostante la frequenza dello scambio e le possibilità di integrazione tra questa e quelle.
Per altro negli ultimi anni del conflitto, è documentato un ritorno, non occasionale e contingente, ma voluto e ricercato, di molti lontani ai luoghi familiari. E’, questa, una mentalità che ha propri caratteri originali fondati su un concetto antico e sacrale di patria, difficile da penetrare, anche perchè si esprime in forme e con prospettive chiuse. Ribelli e popolo agiscono seguendo i medesimi punti di riferimento, che assumono una precisa concretezza nelle chiese, isolate ma non deserte, e nei preti, in una direttori spirituali, maestri, guide, consulenti economici, mediatori della comunità, giudici di famiglia, difensori di giustizia verso i potenti. Sono questa struttura ecclesiastica e questi leaders naturali che vanno studiati per comprendere pienamente la qualità della vita e della resistenza dei martiri di Marzabotto.
Su questo punto, Albertazzi, pur non esaurendo l’argomento, ma avviando piuttosto gli ulteriori approfondimenti, ha proposto una rilettura dei documenti noti ed esaminato nuove fonti. Impossibile riassumere, anche per sommi capi, l’ampia analisi fatta. Basti rilevare come le strutture ecclesiastiche della zona di Marzabotto, non solo furono le uniche a tenere dopo il crollo del regime fascista, ma anche negli anni precedenti furono le uniche strutture reali di riferimento per la popolazione ed ebbero una effettiva funzionalità. Ciò si deve, specialmente, ai pastori che ressero quelle comunità, programmaticamente, dal punto di vista della Chiesa, ridotte di numero, perchè meglio potesse esprimersi l’attività pastorale fondata sulla qualità. Dei pastori sono stati rilevati i caratteri per quanto concerne la formazione sacerdotale, le precedenti esperienze compiute, la provenienza geografica e l’estrazione sociale.
Dei preti, che ressero quelle comunità nell’arco di un cinquantennio, si conosce tuttavia ancora poco. Al relatore è stato possibile cogliere, e per quelli della prima e per quelli della seconda generazione, un motivo non sempre presente nella storia della Chiesa in quelle zone: la scelta compiuta di svolgere proprio in montagna la loro missione sacerdotale. In larga misura, questa caratteristica dipende dal fatto che, nel cinquantennio in esame, quelle Parrocchie e quei preti non furono affatto isolati dalla vita della Diocesi, ma al contrario, costantemente fatti oggetto di attenzioni vive e vitali.
Nel merito, rovesciando tramite la lettura di documenti, per altro pubblici, una linea interpretativa non adeguata alle circostanze e alla Chiesa bolognese, ha certificato l’interesse del Card. Nasalli Rocca, e la sua sofferenza, per quelle popolazioni durante i terribili giorni di settembre-ottobre 1944.
Concludendo, Albertazzi ha detto: "il lavoro da fare è ancora lungo e faticoso. Occorre vedere attentamente ogni archivio, raccogliere le testimonianze possibili, dare ai documenti il valore che hanno. Questo è compito dello storico e del cristiano, perchè, per entrambi su Monte Sole non regni il silenzio, ma risuonino ancora le voci di un popolo, come oggi, vivo nei suoi valori di ogni giorno, nelle sue verità profonde e perenni, Del resto, siamo qui per rendere testimonianza alla vita. Infatti: ‘C’è scritto: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Quindi è il Dio dei vivi, non dei morti!’ (Mt. 22,31-32)".

Mons. Gherardi ha sottolineato che questo incontro voleva essere l’avvio di un impegno per ricordare e rivivere qualcosa che è insieme memoria e profezia, evento storico e messaggio sempre attuale. Un contatto fisico con la terra che è stata teatro di questi avvenimenti è necessario per capirli, ma non basta. Occorre, ha proseguito il relatore, ricuperare la chiave ecclesiale e pasquale di questa storia. Qui sono le radici della Chiesa bolognese nella seconda metà del secolo XX. Qui è il santuario nuovo per il nostro tempo: non l’immagine venerata o il luogo dell’apparizione, ma l’equivalente odierno della santa Gerusalemme stefaniana, che fu eretta dai nostri padri sulle zolle bagnate dal sangue dei protomartiri Vitale e Agricola.
Quello fu un sacrificio di fondazione: la prima "plantatio Ecclesiae". Bologna germogliava dagli "araldi della fede". Ora si fa una piantagione nuova, dopo sofferenze inaudite e una eclissi di civiltà.
La fraternità nel sacrificio fra il servo (Vitale) e il padrone (Agricola) diceva l’uguaglianza e la comunione fraterna di tutti gli uomini in Cristo e nella Chiesa: "sive liber sive servus, omnes in Christo unum sumus" (Ef 6,8); "ubi caritas et dilectio, ibi sanctorum est congregatio" (Inno della Carità). Nella vicenda di Casaglia e, in genere, di Monte Sole c’è qualcosa di specifico: popolo e pastore accomunati nel sacrificio, nell’ambito di una situazione di fede e di uno stesso luogo sacro, dove si celebrava l’Eucarestia e si pregava la Vergine, la comunità montana morì unita, perchè pregava e viveva unita.
Questo - ha soggiunto Mons. Gherardi - è un dato che differenzia Monte Sole da episodi cruenti verificatisi in altre parti della nostra Diocesi. Occorre un’assidua riflessione comune per cogliere tutta questa ricchezza di significato. Si è tardato molto a farlo. Forse può aver influito un certo tipo di lettura e di celebrazione parziale degli eventi, che si fermava ai giorni dell’ira, all’ora della rappresaglia e della strage, senza ricuperare la piena luce pasquale di questa testimonianza.
Oggi, al di là della crudeltà e della cecità degli oppressori, sta affiorando un dato che la fede rende più evidente: ed è il prevalere dell’amore sopra la forza bruta, la vittoria degli inermi sopra i carnefici.
Il ritardo, pur non scevro di colpa, della presa di coscienza globale di ciò che Monte Sole rappresenta per la nostra comunità cristiana, può essere stato per certi aspetti provvidenziale. Occorreva un tempo di ripensamento allo storico che intendeva ricostruire fatti e figure; ma molto più a una comunità di fede che volesse assumere responsabilmente e fino in fondo la verità tutta intera di questa testimonianza in un contesto, come l’attuale, in cui la violenza torna ad esplodere in tante forme.
Vi sono poi altri elementi che non possono essere passati sotto silenzio: la dignità e il senso di giustizia e di solidarietà di queste popolazioni, l’amore alla propria terra, il culto della libertà, la forza della compagine familiare, l’eroismo continuato dei singoli e della comunità, espresso nelle forme più semplici e quotidiane, la resistenza tenace all’oppressione e al sopruso.
In particolare va segnalato l’esercizio eroico della carità da parte di sacerdoti, di religiose, di laici che nell’olocausto finale ebbe il suo sigillo coerente. I cinque sacerdoti uccisi in quegli anni oscuri erano giovani pastori che affrontavano con lucidità situazioni difficilissime e si fecero guida e difesa del gregge loro affidato a prezzo della vita. Intorno a loro anche gli altri che sopravvissero alle stragi, pagarono un prezzo molto elevato al loro servizio pastorale, condividendo esilio, fatiche, sofferenze inenarrabili.
Una esplorazione più attenta e sistematica - ha concluso l’oratore - potrà far emergere in modo compiuto la vera immagine di una Chiesa evangelizzante e confessante. E quando la voce della testimonianza tocca vertici così alti e così puri, diviene tale Vangelo di riconciliazione e di pace, che anche i lontani, gli immemori, gli assenti, possono avvertire in essa un’autentica profezia dell’amore che vince il male e la morte.

L’incontro è proseguito poi con la celebrazione dell’Eucarestia nella stessa Chiesa di Gardelletta. Ha presieduto il rito liturgico il Card. Arcivescovo, che ha voluto usare la piccola pisside, recentemente ritrovata fra le rovine della Chiesa di Casaglia di Caprara, da cui uno dei sacerdoti martiri, Don Ubaldo Marchioni, prese le particole che sottrasse alla profanazione, e consumò come ultimo viatico prima di essere ucciso sulla predella dell’altare.
Dopo la proclamazione della lettura, il Card. Arcivescovo ha pronunciato l’Omelia.

Terminata la Messa, moli dei fedeli presenti, e lo stesso Card. Arcivescovo, nonostante il tempo avverso, si sono recati pregando sui luoghi dell’eccidio, a Casaglia e a S. Martino di Caprara, guidati da Don Dario Zanini, Parroco di Sasso Marconi e da Don Ilario Macchiavelli, Parroco di Gugliara di Gardelletta, che si sono da alcuni anni intensamente adoperati, insieme a numerosi fedeli della zona, per il ricupero e la conservazione delle rovine di quei sacri edifici, che videro così luminose testimonianze di fede e di martirio.

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