Cronache e informazioni - 8

LA SOLENNE COMMEMORAZIONE DELLA PRESENZA E DELL’OPERA DELLA CHIESA BOLOGNESE DURANTE IL PERIODO DELLA GUERRA E DELLA RESISTENZA

La giornata sacerdotale mariana, che per una tradizione ormai quasi ventennale viene celebrata durante le Feste in onore della B. Vergine di S. Luca, è stata quest’anno dedicata ad una particolare solenne commemorazione della presenza e dell’opera della Chiesa bolognese durante il periodo della guerra e della liberazione, di cui ricorre quest’anno il XXX anniversario.
La commemorazione si è svolta nella Cripta della Metropolitana lunedì 5 maggio alle ore 10. Con il Card. Arcivescovo, che ha aperto la riunione con brevi parole di introduzione, erano presenti i Vescovi Ausiliari Mons. Marco Cè e Mons. Benito Cocchi, l’Arcivescovo bolognese mons. Mario Pio Gaspari, Delegato Apostolico nel Messico, e il Vescovo Mons. Giovanni Picco, già Ausiliare di Vercelli.
Ai numerosi sacerdoti riuniti hanno parlato due testimoni di quei durissimi giorni: l’on. Raimondo Manzini, direttore oggi de "L’Osservatore Romano", a quei tempi de "L’Avvenire d’Italia", e Mons. Luigi Dardani, Vescovo di Imola, allora Parroco di Castelnuovo di Bisano.

L’on. Manzini ha rievocato fatti e persone della Bologna di trent’anni fa, in particolare l’opera svolta dall’Arcivescovo, dal clero e dai cattolici nel periodo dall’8 settembre 1943 alla Liberazione.
Egli ha ricordato anzitutto il clima di quel tremendo periodo: Bologna città assediata, muri sommariamente eretti davanti ai negozi e agli ingressi delle abitazioni, i cittadini che migravano in diversi alloggi per non essere identificati, i rastrellamenti, le rappresaglie, l’atmosfera di incubo seguita alle fucilazioni di ostaggi per attentati ai tedeschi o ai fascisti, i manifesti che minacciavano la morte per ogni infrazione ai dictat militari o politici, l’incertezza di ogni giorno e di ogni ora.
In questo quadro, si colloca l’iniziativa della Chiesa bolognese durante e dopo la tremenda prova storica.
La Chiesa bolognese - ha proseguito Manzini - operò la pace anche durante la guerra, con la carità, con la partecipazione ai dolori, ai bisogni, alle tragedie di un popolo, con il richiamo ai persecutori ed ai violenti cui tentò, con l’opera dei suoi pastori, di sottrarre vittime innocenti, designate dalla barbara riapparizione di metodi selvaggi di lotta. Ciò da parte del suo pastore, il Cardinale Arcivescovo Nasalli Rocca, dei suoi parroci, dei suoi cappellani, in situazioni di tremenda solitudine indifesa, nei piccoli centri rurali, sull’Appennino, teatro della lotta partigiana per la liberazione e di rappresaglie cieche e crudeli.
In questa assistenza, i pastori furono sempre accanto al loro gregge, che mai abbandonarono, ma soprattutto coprirono e difesero con la loro vita. La Chiesa bolognese operò la pace con la testimonianza del sangue, il sangue dei suoi ministri sacrificati dalla tracotanza dell’invasore e del suo alleato, talvolta soltanto per aver ammonito contro la sopraffazione o difeso dei condannati.
Manzini ha richiamato immagini ed episodi: i parroci rurali che accompagnavano a bologna "città aperta", alla testa di pietose processioni, le loro popolazioni; i soldati polacchi, vincitori della battaglia appenninica, inginocchiati davanti al Cardinale Nasalli Rocca; il discorso del presule dall’alto della gradinata di S. Petronio, con l’invocazione di pace, concordia, resurrezione e vita; l’istituzione di organismi operanti, un cappellano assistente per ogni centro profughi, l’offerta dei due seminari per ospitare i feriti e i senza tetto, la creazione di una commissione ecclesiastica di assistenza. I parroci urbani collegarono tutte le loro energie per una proficua assistenza alle proprie popolazioni, distribuendo in larga misura cibarie e indumenti.
Uno dei capitoli più commoventi fu quello dell’Onarmo, nell’attività a favore dei rastrellati, più di 35 mila nella nostra zona. I tedeschi li chiamavano "liberi lavoratori". Denutriti e maltrattati, erano costretti a scavare trincee sui colli di Paderno o da altre parti, in canottiera nel freddo dell’inverno. I cappellani riuscirono a confessare più di settemila persone sulla linea del fuoco. Un’altra immagine indelebile è quella del dopoliberazione, con la partenza dei superstiti, su 60 pullman, da piazza S. Domenico, finalmente diretti alle loro case.
Manzini ha anche ricordato le iniziative politiche dei cattolici. Le nuove generazioni, che per la loro età non avevano potuto fare esperienza politica, guardarono sempre con maggior interesse - direi con venerazione, ha aggiunto il relatore - a tutti coloro che erano stati banditi dal fascismo e non si erano piegati, a costo di ogni sacrificio, al prepotere fascista: l’on. Fulvio Milani, il Conte Filippo Cavazza, l’on. Giovanni Bertini, mons. Emilio Faggioli, padre Samoggia, padre Beati, padre Casati. La loro azione, ispirata con coraggio e con abnegazione, ebbe un peso determinante per innamorare le coscienze giovanili ai grandi ideali di libertà, di giustizia, di democrazia e prepararli alla lotta.
Manzini ha infine rievocato l’attività svolta dai cattolici nei comitati di liberazione e la funzione svolta dall’Avvenire d’Italia nei momenti della guerra e dopo la liberazione.

Mons. Dardani, nel sottolineare che ogni esperienza, umile e nascosta o pubblica e clamorosa, rappresenta un valore che meriterebbe di un essere disperso, ha auspicato che anche nella diocesi di Bologna si proceda a una raccolta diligente e sistematica delle testimonianze e dei documenti relativi all’attività dei sacerdoti durante la guerra e la Resistenza. Ad uno ad uno, sono stati scanditi i nomi delle vittime della violenza.
Quando più tremenda scoppiò la tempesta - ha ricordato Mons. Dardani - non poche autorità abbandonarono il campo. Non così i "pastori". Modesti e meravigliosi, essi rimasero al loro posto: allo scoperto, non imboscati; in mezzo al gregge, inermi ma decisi a qualsiasi rischio pur di evitare alla loro gente peggiori sopraffazioni e sventure.
E proprio per quanto fatalmente esposti a pagare di persona il prezzo alla loro fedeltà pastorale, che metteva il bene e l’incolumità del gregge al di sopra di tutto.
Nel momento del grave pericolo comune, sacerdoti e popolazioni si strinsero insieme. Passavano in seconda linea le diversificazioni politiche in favore dei valori fondamentali dell’esistenza.
Fu proprio in quel clima che la nostra buona gente soffrì il suo calvario, vivendo con fortezza la propria scelta, scelta cristiana per la difesa dell’uomo e dalla sua libertà, per la solidarietà e la partecipazione ai pesi e alle responsabilità del vivere comune, opponendo con fierezza la propria resistenza morale al dilagare dei rastrellamenti, degli arbitrii violenti e delle stragi.
La Resistenza - ha sottolineato il Vescovo di Imola - fu innanzitutto un atteggiamento morale, una rivolta interiore contro ogni prevaricazione, ogni violenza eretta a sistema, ogni sopruso, ogni ingiustizia, ogni ricatto. Fu tenace affermazione dei diritti dell’uomo; fu volontà di pace nella libertà; fu testimonianza di solidarietà umana al disopra di ogni egoismo o discriminazione, fu una sfida dell’amore all’odio, della fede alla disperazione, della vita alla morte.
Certo - ha concluso Mons. Dardani - la Resistenza fu vissuta da uomini, fu fatta da uomini che avevano il loro carico di difetti, di passioni e di errori; anche la Resistenza ha avuto alcuni frutti bacati e caduchi, ma ha espresso anche tanta forza d’animo e capacità di coerenza cristiana sino al sacrificio. E questo è il frutto più prezioso che resta: tanto più puro e valido in quanto è sofferta testimonianza di chi ha subìto violenza per la giustizia, ma non ha usato violenza mai.

Sul ricordo dei sacerdoti uccisi in azioni di guerra, o a causa dei bombardamenti, o vittime dell’odio di parte, il Card. Arcivescovo si è soffermato anche nel corso dell’Omelia da lui tenuta durante la concelebrazione seguita la commemorazione.
Il Signore - ha detto l’Arcivescovo - dia la grazia del pentimento, che possa preparare i colpevoli al perdono; dia la corona e il premio, nella gloria del suo regno, a coloro che subirono atroci tormenti e la morte.
Il loro sangue sia davvero "pioggia di mite lavacro". E imprima fortezza e generosità di dedizione a tutti noi, chiamati a continuare il lavoro apostolico in un periodo che non presenta un orizzonte tranquillo.
Si richiede da noi - ha proseguito - serenità di giudizio, e il necessario discernimento per individuare le insidie che possono inquinare la visione di fede. Sono necessarie rinnovate energie per superare le difficoltà.
La grazia del Signore ci ottenga un’infinita pazienza nell’ascolto e nel conforto, una chiara decisione nelle scelte; una notevole capacità di convergenza, una forte volontà di camminare insieme, con amore fraterno, nella via che il Signore ci ha indicato.
Siamo certi - ha concluso il Cardinale - che, nel nostro cammino pastorale ci attende, ci guida e ci sostiene l’amore materno della Vergine Immacolata.

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