Cronistoria della parrocchia di San Giacomo di Lorenzatico - 1937

Causa la malattia diffusasi nei peschi un po’ dovunque con esito rovinoso e che ha preso il nome di acidia, è stato giocoforza abbattere quelli pure degli orti di canonica, trapiantati da pochi anni, e che ne erano gravemente colpiti. Sono stati abbattuti nel gennaio 1937, benchè a malincuore, trattandosi di circa un centinaio di piante, dalle quali si cominciava a ricavare copioso frutto, e più se ne sperava in avvenire.

Nei giorni 8 - 9 - 10 - 11 aprile 1937 ad iniziativa della Gioventù cattolica italiana, presidenza diocesana di Bologna si è tenuta nella nostra parrocchia la Settimana parrocchiale, intesa a far conoscere ai fedeli i loro doveri parrocchiali e a cementare la loro unione alla chiesa e al parroco. Gli argomenti trattati, sono stati ascoltati da numeroso popolo; specialmente la Via Crucis del venerdì 9 riuscì commovente e frequentatissima: uomini e donne, grandi e piccoli col fanalino multicolore in mano hanno preso parte a questa patetica funzione (che si è svolta dalla chiesa per via Biancolina vecchia, il Cristo e ritorno pel palazzo Cà Rossa) con 14 fermate e altrettanti brevi discorsi tenuti da giovani laici, venuti da Bologna a dimostrare la loro viva fede, dando esempio di forte carattere cristiano.

La Gioventù cattolica italiana, fondata nel 1868 dai conti Giovanni Acquaderni e Mario Fani a difesa dei diritti di Dio e della Chiesa, diffusasi in tutta Italia apportatrice di tanto bene alla gioventù, ha vantato sempre numerossissimi giovani, i quali hanno addimostrato che l’amore a Dio e alla Chiesa importa pure, quando è sincero, anche l’amore alla Patria fino al più sublime eroismo: il 22 dicembre 1936, dopo vari mesi di vita militare, decedeva gloriosamente nel cielo di Spagna a bordo di un apparecchio da bombordamento da lui guidato contro i nemici di Dio e dell’ordine sociale il giovane sergente pilota Luigi Nerieri, nato e vissuto nella nostra parrocchia fino al 1935, gloria quindi nostra, fulgido esempio di vita cristiana e di amor patrio.

Nel febbraio 1937 è stato demolito perchè labente il piccolo fabbricato ad uso forno, porcile e pollaio nel fondo Chiesa di questo benefizio parrocchiale, quasi identico a quello demolito nel 1933 nel fondo Gazzo. Si è quindi aggiunta alla casella ivi costruita nel 1921, a mezzodì una luce di portico, dove sono stati fabbricati il forno, pollaio e due comodi porcili, con tramezzo in voltini a poutrelles in ferro. Inoltre vennero chiuse le luci a nord ed est della casella stessa, con pietrinfoglio a mattoni e cemento, rinforzando così il manufatto, risultando il tutto di fattura ottima e assai più comodo. A tutto il fabbricato in parola sono state aggiunte le gronde di zinco. Si è rifatto infine il parapetto del pozzo con tubi di cemento, come nel fondo Gazzo. I lavori, terminati il 10 aprile, hanno importata una spesa di £. 4441.

Va qui registrato a perpetua memoria quanto segue. Nel 1896 venne ceduta dal parroco don Didimo Bortolotti una piccola porzione di terreno a tergo della chiesa parrocchiale, dell’estensione di mq. 400, a tal Zacchini Pietro calzolaio, che vi fabbricò una casa, ampliata in seguito dai nuovi proprietari fratelli Bussolari. E’ da notare che tanto lo Zacchini (il quale fu omicida e morì in carcere), quanto i Bussolari, lasciavano molto a desiderare moralmente e religiosamente. L’estensore di queste note, avuto di più sentore che si pensava di installarvi un’osteria, pensò di acquistarla; ricorse perciò al gran cuore di Sua Santità Benedetto XV, già arcivescovo nostro (Giacomo Della Chiesa) dal 1908 al 1921, il quale ben conosceva le peripezie di detta casa; e lo fece con lettera del 2 giugno 1919, nella quale esponeva lo stato delle cose e domandava la grande carità. Il Santo Padre si degnò postillarla di propria mano colle parole "qual’è il fabbisogno e quanto manca a coprirlo?". Veramente il richiedente aveva lasciato supporre di avere una parte della somma necessaria, ma in realtà si trattava di cifra irrisoria. Per cui, recatosi a Roma unitamente a don Luigi Serra, arciprete di San Biagio di Zenerigolo, molto bene accetto a Sua Santità, il 20 ottobre stesso anno, e accolti in udienza particolare ambedue il giorno dopo, mercoledì 21, il Santo Padre ebbe a manifestare la sua sorpresa; però nella sua bontà e carità proverbiali diede seduta stante la somma di £12.500, promettendo che avrebbe dato ancora se non si fosse riusciti a provvedere altrimenti. E fu purtroppo necessario ricorrere ancora a Sua Santità, e lo fece con altra lettera in data 22 novembre, in seguito alla quale il Santo Padre inviò altre £. 9000 a mezzo di mons. Ersilio Menzani, vicario generale di Bologna. Furono così £. 21.500 date dal gran cuore di Sua Santità Benedetto XV, la cui memoria sarà in benedizione anche nella nostra parrocchia!

La casa in discorso venne acquistata con atto not. Gino Forni di San Giovanni in Persiceto in data 20 febbraio 1920 al prezzo di £. 24.200, somma di parecchio superiore al reale, ma dalla quale non fu possibile far recedere i possessori; e fu intestata al nome dell’estensore di queste note, don Enrico Donati, secondo il consiglio avutone da fonte autorevole. In seguito, essendo stata riconosciuta la avvenuta opportunità di liberarsi di cosa non sua, egli ne fece donazione alla chiesa parrocchiale nostra con rogito del dott. Giuseppe Collina di Bologna in data 19 agosto 1933. Inizialmente, come anche espresso nella prima istanza a Sua Santità, si pensava di servirsene per l’istituzione di un asilo infantile; in seguito si è dovuto riconoscere prematura detta opera, anche perchè la casa in discorso mal vi si presterebbe. E’ stata perciò conservata ad uso di abitazione. Non viene per questo evidentemente menomata la bellezza del grande atto di carità di Sua Santità Benedetto XV°, cui va il memore affetto del parroco nostro e dei parrocchiani.

Col 1° gennaio 1935 è andata in vigore la nuova numerazione del nostro comune, numerazione che mentre dinanzi era progressiva per tutte le frazioni (nella nostra dall’ 1 al 60), ora è propria ad ogni via. Le targhette nuove contengono ciascuna la denominazione del comune, il numero del fabbricato e la denominazione della via.

Il lunedì 16 agosto 1937 verso le 15 un violento acquazzone si riversò sulla zona persicetana: il maltempo incominciò dal mantovano e raggiunse Bologna, con vento impetuoso, pioggia e grandine, la quale colpì una ristretta zona, che da Mantova raggiungeva Corticella presso Bologna, arrecando danni gravi dovunque, ed in certi punti gravissimi, sradicando anche il vento alberi annosi, e rovinando la grandine ogni cosa.
Presso di noi la zona più colpita fu dalla chiesa parrocchiale di Decima a Cento, Pieve di Cento, Argile, nelle quali località fu una rovina. In parrocchia nostra rimasero colpiti alcuni poderi della Tassinara verso la via Levratica, ma non gravemente.

La mietitura nel 1937 è stata molestata da pioggie insistenti e bene spesso abbondanti. Il raccolto, buono (media ql. 7 per tornatura) è stato qua e là menomato qualitativamente dall’umidità causata dalle pioggie. Gli ammassi provinciali (di recente istituzione) hanno rimandato non poche partite di frumento, perchè non abbastanza disseccato. Si è visto in quest’anno quello che mai forse a memoria d’uomo era avvenuto: il frumento disteso ai lati delle strade asfaltate per disseccarlo.
La pioggia torrenziale del lunedì 30 agosto 1937, preceduta da altra ad intervalli nei due giorni precedenti, ma che evidentemente dovette essere abbondantissima nella collina del versante di Samoggia, produsse un improvviso afflusso di acqua, quale mai a memoria d’uomo nelle nostre parti. Verso le 18 di lunedì 30 agosto il torrente Samoggia era già in piena, ma non preoccupante; un paio d’ore dopo l’acqua lambiva il letto del ponte di Loreto. Pur tuttavia non venne ordinata la guardia, e a ciò si dovettero forse i guai che seguirono: solo mezz’ora dopo (ore 20.20) si provvide alla guardia, quando l’acqua superava già il ponte suddetto e scendeva rumorosamente dai lati di esso, mentre già in altri punti l’acqua superava l’argine. Mancando, si è detto, il tempestivo provvedimento necessario in simili frangenti, non ci fu in seguito una direttiva calma e sicura: anzi il custode idraulico, abitante vicino al Samoggia in Bagno, fu accusato, ed è quasi certamente vero, di aver provveduto alla sua parte, trascurando la nostra, dov’era maggiore il pericolo, trattandosi di argine lasciato incompleto nei lavori del 1929, più stretto e più basso del corrispondente. La conclusione fu quale si temeva.
Ecco la cronaca: verso le 21 fu dato colla campana maggiore l’allarme, mentre l’acqua superava l’argine in diverse parti a sud del ponte di Loreto e il ponte stesso. Il superamento dell’argine giungeva fino alla direzione di via Biancolina vecchia in corrispondenza di via Salde in Bagno, appunto dove fino alla costruzione del ponte di Loreto (1886) era il passo del torrente, e dove la piena precipitava abbondantissima. Ci fu un momento in cui il livello dell’acqua si abbassò sensibilmente, e perciò ci si mise un po’ in pace; ma ciò era dovuto alla rottura dei confluenti Lavino e Ghironda. In seguito però l’acqua riprese a crescere. Improvvisamente (erano esattamente le 22.10) fra le case dei poderi San Cristoforo e Sant’Alò (la Motta), ma più vicino a quest’ultimo, con grande fragore l’acqua scalzò l’argine e precipitò con impeto indescrivibile, invadendo in un attimo gli ubertosi poderi: in meno di un’ora raggiunse tutta la parrocchia nostra fino al Condotto (che separa dalla Tassinara), la tenuta Locatello in Zenerigolo, via Biancolina fin quasi al mulino della Chiesuola, la Puja (Zenerigolo), e, superata la via Cento, invase la parte di Amola già valle, andando poi a finire nella parte di nostra parrocchia già coltivata a valle, raggiungendo la via Levratica e fermandosi allo scolo San Pietro al confine colle possessioni San Giuseppe e San Girolamo, rimaste immuni unitamente agli altri poderi San Martino, Santa Maria, San Giovanni, San Pietro e tutti gli altri verso il Condotto dalla stessa parte; cosicchè ben 4/5 della parrocchia rimasero sommersi.
L’acqua raggiunse il cortile a retro la chiesa parrocchiale di Zenerigolo, superò la via omonima a retro della medesima chiesa, lasciando colà pure un discreto deposito di melma. Nella nostra canonica l’acqua arrivò alle 22.25, e vi raggiunse l’altezza di 22 cm., entrando dalle porte laterali e dal vecchio campanile attraverso la sagrestia, pure invasa, mentre alla porta maggiore della canonica stessa raggiunse solo la metà del limitare. La nostra chiesa ne fu salva per soli 3 cm., e fu questa grazia specialissima. I danni furono, relativamente ai frutti pendenti, gravissimi; la canapa ne fu la più colpita: quella che era esposta al sole, dopo la macerazione, in buona parte venne trasportata dall’acqua in quella notte infausta non si sa dove; molta rimase impigliata agli alberi, alle siepi, oppure fra la melma; parecchia ancora nei maceri, anzi quasi tutta quella che era in macerazione, tranne quei postoni che furono trasportati dalla corrente per decine e decine di metri (e si videro poi i coloni lavare la canapa fra la melma!). Il frumentone pure subì gravi danni, e in molti poderi marcì, per l’impossibilità di raccoglierlo. Le barbabietole marcirono esse pure, e così tutti gli impianti ad erba medica e a prato dovunque giunse l’acqua marcirono. Le piante fruttifere pure ne soffrirono assai, specialmente i peschi, ciliegi, albicocchi, noci, che quasi tutti in seguito dovettero soccombere, e ciò nella primavera seguente, in cui ebbero magnifica fioritura e poi inaridirono, compresi altre piante fruttifere. Anche le viti ne soffrirono; e l’uva pel continuare della pioggia e per la difficoltà di raccoglierla marcì in buona parte.
I danni causati ai terreni furono più o meno gravi, secondo che più o meno vicini alla rottura: gravissimi quindi nei poderi San Cristoforo, Sant’Alò, Crocefisso, San Matteo, San Luigi (questi due ultimi della tenuta Zenerigolo), e così pure proporzionatamente rimasero danneggiati i poderi Cà Lunga, Chiesa, Santa Maria di Loreto (nella parte al di qua di via Biancolina), Cà Rossa (dalla stessa parte); e così pure, in minor misura, i poderi Mascellaro, Gazzo, San Riniero. Nei poderi più vicini alla rotta (formati il triangolo delimitato dalle vie Biancolina e Biancolina vecchia) si depositò un alto strato di sabbia, e nelle parti immediate ghiaia, sassi e macigni, per cui da principio si intravide l’impossibilità di coltivarli, almeno per un certo tempo. Per gli altri poderi più lontani e non su nominati il danno fu relativamente assai minore, scemando colla distanza dal Samoggia.Più danneggiati però fra questi ultimi poderi confinanti col Condotto: Sant’Antonio abate, Luogo di mezzo, Possessione grande (tenuta Lorenzatico); e poi San Giacomo Lorenzatico (dei Pii istituti di Bologna), Mascellaro, il Cristo; e poi ancora Gazzo (beneficio parrocchiale) e San Riniero, lasciando nei più vicini al Condotto maggiore strato di melma. Però,eccettuati i poderi vicini alla rotta, e dove lo strato depositato per circa cm.60 è, come si è detto, strato di sabbia, ghiaia, sassi e macigni; negli altri il danno è stato assai minore, trattandosi di melma. A questo proposito non è escluso e, a detta dei competenti, un’utilità pei terreni di qualità scadente.
Cosa da rilevarsi e da ascriversi a manifesto intervento dall’Alto: in tanta confusione e spavento in quella notte infausta, anche per la mancanza di preavvisi tempestivi, in tanta oscurità e gravissimi pericoli, nessuna disgrazia si verificò a persone, e neppure ad animali. Ne sia lodato Iddio e la B.V. Lauretana!
Il lunedì 6 settembre 1937 i proprietari dei fondi maggiormente colpiti furono invitati ad un abboccamento con il Prefetto della provincia nella sede municipale di San Giovanni in Persiceto: vi intervennero sette proprietari, oltre il parroco. Il colloquio ebbe luogo alle 16.30 e fu assai breve, limitandosi alla domanda "se si doveva chiudere la falla subito, col pericolo di nuova rottura in caso di piena, oppure se si preferiva aspettare il giovedi 9, data per la quale l’ingegnere del genio civile, che era presente, assicurava che la falla sarebbe stata chiusa definitivamente e con sicurezza, garantendo però che se nel frattempo si fosse presentato qualche pericolo, avrebbe fatto chiudere tempestivamente" . La risposta unanime fu: "meglio aspettare fino alla chiusura definitiva, e cioè a giovedì." E in tal giorno fu chiusa la falla realmente alle 16.50. In seguito però il maltempo riprese e durò fino al sabato 11 anche in collina; per cui si avverò quel che si temeva: l’abbondanza dell’acqua superò l’opera di fortuna predisposta (un argine chiamato dai tecnici coronella), anzi ne scalzò buona parte, ripetendosi così l’allagamento dei poderi su nominati (ore 23.50). L’acqua riuscì a coprire tutta via Biancolina vecchia, fino a lambire il piazzale della chiesa, cosicchè la domenica seguente non fu possibile ai fedeli accedere alla chiesa per le sante funzioni e solo martedi sera (14) detta via era scoperta e il dì seguente anche il viottolo che dalla chiesa conduce al palazzo Cà Rossa.Però i danni non furono lievi, anche a riguardo della canapa superstite, che in molti luoghi aspettava il sole, e cioè verso il Condotto.
Le strade pure ne risentirono: la via Biancolina vecchia al suo staccarsi dal Cristo, a causa del gorgo dell’acqua immessa dalla corrente impetuosa fra la chiesa e il palazzo Cà Rossa nel Mascellaro per mezzo della chiavica esistente sulla via Biancolina vecchia presso il Cristo, ebbe a soffrire una corrosione: prima di tutto fu divelta dalla impetuosità della corrente parte del terreno; in seguito si formò una fenditura di circa metri due, che poi si ampliò ancora fino a raggiungere il massimo di sette metri: pel passaggio dei pedoni venne perciò dai pompieri di Persiceto messa una passerella di legno.
E non bastò ancora: durante la settimana dal 12 al 19 settembre, dopo un paio di giorni di sereno, si verificarono piogge intermittenti, che il venerdì e sabato ed anche la domenica 19 fino alle 10 raggiunsero maggiore intensità. Il sabato 18 verso le 15.30 l’acqua accennò a crescere e un’ora dopo la si vide far capolino dove meno si pensava: alle 18 era già sommerso il viottolo dalla chiesa al palazzo Cà Rossa. Il livello dell’acqua crebbe ancora a poco a poco, fino a raggiungere la domenica 19 verso le 21 il livello della domenica precedente; poi nella notte accennò a decrescere. Anche in questa domenica, in cui si doveva solennizzare la B.V. Addolorata, i fedeli non poterono accedere alla chiesa. Il parroco celebrò le due ss. messe, ma con non più di 12 persone, numero appena sufficiente ad impartire la benedizione col SS. Sacramento alla fine di ogni messa.
Mentre nella seconda inondazione il viottolo dalla chiesa al palazzo Cà Rossa era rimasto deteriorato all’inizio della via Biancolina vecchia, in quanto la chiavica sotto il ponte, perforata già in un punto dalla pesante autopompa dei pompieri, era resa malsicura pei pedoni, in questa terza alluvione, crollato il volto della chiavica, rimase interrotto il transito, e solo dalle ali del ponte era possibile passare. E così noi fummo tagliati completamente fuori: tolta la passerella sulla Biancolina vecchia presso il Cristo perchè malsicura, impedito il passaggio pel viottolo suddetto, restava solo via Boschi per Zenerigolo, e questa solo fino ad un certo punto, perchè nel tratto da via Biancolina vecchia al cimitero era corrosa, causa la violenza dell’acqua del Mascellaro.
Per le abbondanti nuove piogge la notte di mercoledì 22 settembre verso le 21.30 venne l’annuncio di un nuovo carico d’acqua; venne suonato a stormo: un quarto d’ora dopo l’acqua cominciò a crescere fino a raggiungere quasi il limite della prima alluvione (cm. 10 di meno); essa venne con calma; raggiunse però il ponte della Chiesuola vicino a San Giovanni in Persiceto, aggravando i danni sia alle campagne per l’abbondante melma, sia alle strade, ampliandone le rotture su descritte, specialmente quella presso il Cristo all’inizio di via Biancolina vecchia. Solo il sabato 25 verso sera venne ivi rimessa la passerella in legno.
La domenica 26 il parrocò celebrò la prima messa nell’oratorio della Tassinara e la seconda nella chiesa parrocchiale, dove pure ebbe luogo la funzione vespertina, ma con minimo concorso, fors’anche perchè ricorreva in quel giorno la fiera a San Giovanni.
La notte dal martedì 5 al mercoledì 6 ottobre altra inondazione, che arrivò a lambire il piazzale della chiesa; e poi la sesta alluvione il venerdì 8. Dall’impeto della corrente restò in parte distrutta l’opera di fortuna eseguita per chiudere la falla.
Il sabato sera 9 ottobre la via Biancolina vecchia dalla chiesa al Cristo fu libera dalle acque, e perciò la domenica 10 alla chiesa sono intervenuti i fedeli come d’ordinario; però verso le 10.30 è riapparsa l’acqua, che ha raggiunto il massimo verso le 12, decrescendo poi lentamente: l’acqua ha raggiunto quasi il livello di martedì 5. Alla messa delle 11 hanno assistito i pochi fanciulli della scuola di dottrina e una decina di adulti; gli altri ne sono stati impediti; e così alla funzione delle 16 solo i vicini alla chiesa hanno partecipato.
Finalmente il giorno dopo, lunedì 11 ottobre, verso le 10.30 è stata chiusa la falla riparando la coronella, e l’acqua d’un subito è scemata, grazie alla bonifica, il cui canale ha inizio al Cristo, e che, iniziata nel 1919, è stata la nostra salvezza in sì doloroso frangente. Guai se non ci fosse stata quest’opera idraulica! Alla sera dello stesso giorno c’è stata la minaccia della rottura della coronella; fortunatamente però si è riusciti a vincerla: per tutta la notte si è lavorato a ciò da numerose squadre di operai. E così sperasi che mai più abbia a ripetersi simile disastro.
Nel pomeriggio del 14 settembre è giunto in mezzo a noi da Nonantola (dove trovavasi per le solenni funzioni di S. Croce) mons. Giuseppe Antonio Ferdinando Bussolari, arcivescovo di Modena e abate di Nonantola, per rendersi conto del disastro che ha colpito la sua terra natale. E’ giunto passando per Zenerigolo, essendo interrotto il transito per la Biancolina. A stento l’automobile è giunta davanti alla sua casa natale, superando un largo strato di melma. Poi si è recato in macchina sino al cortile della casa del predio Crocefisso sulla via Biancolina vecchia verso la rotta, dove spaventose sono le conseguenze del disastro. Sua eccellenza ne è rimasto impressionatissimo, ed ha avuto parole di conforto per i colpiti. In seguito, avendo avuto notizia dal parroco delle altre alluvioni verificatesi come sopra, sua eccellenza è ritornato il 12, martedì, verso le 16 per una seconda visita. Ha manifestato il desiderio di constatare de visu la rottura dell’argine e lo stato dei lavori in corso. Dopo una breve visita ai famigliari, alla casa dei quali si è giunti in auto sfidando la melma di molto aumentata dalla prima visita, accompagnato dal suo segretario e dal parroco si è recato in auto fino al cortile del fondo Crocefisso, come la prima volta e molto a stento, e poi a piedi, non essendo possibile proseguire in auto, ci si è recati al luogo della rotta attraverso gli appezzamenti di terreno, calpestando la sabbia, la ghiaia, sassi, scansando qualche macigno. Colà abbiamo avuto la fortuna di incontrarci coll’ing. capo del genio civile, Castiglioni, il quale ha ossequiato sua eccellenza invitandolo a salire sulla coronella, che serviva da argine all’acqua (in attesa della riparazione dell’argine). I numerosi operai hanno accolto rispettosamente sua eccellenza, che è rimasto assai soddisfatto della visita e di avere constatato la grandiosità dei lavori in corso, che si spera avranno esito felice.
Il lunedì 25 ottobre venne riattivato il ponte che dalla chiesa conduce al palazzo Cà Rossa, rimasto, come si è detto, prima deteriorato e poi interrotto dalla violenza delle acque. Il mercoledì 3 novembre venne riattivato pure l’altro ponte, che da detto palazzo immette nella via Biancolina.
Il venerdì 29 ottobre furono incominciati i lavori per chiudere lo squarcio di ben nove metri di larghezza e undici di lunghezza dalla via Biancolina vecchia presso il Cristo: furono messi in opera 12 tubi di cemento lunghi cm. 80, diametro metri uno, per una larghezza complessiva di m. 9.60. Il giovedì 11 novembre potè transitare la prima automobile.
Il giorno stesso 11, la Samoggia fu nuovamente in piena, con gravissimo pericolo di altra inondazione: fortunatamente i numerosi operai, assistiti dagli ingegneri del genio civile riuscirono a contenere la corrente, che aveva raggiunta quasi l’altezza dell’argine cominciatosi a costruire nella parte rotta.
Il 20 novembre alle 17.30 venne tenuta presso il podestà di San Giovanni in Persiceto un’adunanza per l’espurgo dei fossi laterali alle strade comunali: vi intervennero tutti i proprietari interessati, unitamente al parroco. La conclusione fu la seguente: il comune si obbligava alla metà della spesa, l’altra metà era a carico dei proprietari, ciascuno per la parte che lo riguardava. Quanto al materiale estratto: dalla Cà Lunga in qua sarebbe stato versato sul terreno coltivabile; oltre la Cà Lunga verso la Samoggia sarebbe stato trasportato nel cortile del fondo Sant’Alò (la Motta) nella parte prospiciente la campagna, dando al proprietario di detto fondo congruo compenso da sostenersi per metà dal comune e per l’altra metà dai proprietari della tenuta Zenerigolo e del fondo Crocefisso. Si convenne che i lavori sarebbero incominciati subito.
E dopo la cronaca dell’inondazione, non possono nè debbono mancare i commenti, affinchè la verità, che non si è potuto dire, possa almeno in queste pagine trovare albergo e fare le sue giuste vendette.
Il disastro è avvenuto per tre cause incontestabili.
Prima:l’argine dal ponte di Loreto al termine di via Biancolina vecchia (in corrispondenza con via Salde al di là della Samoggia) non era compiuto, essendo stato interrotto il lavoro nel 1929, allorchè venne eseguito lo scavo del letto del torrente; e perciò vennero rifatte le strade laterali, in quanto dov’erano le precedenti furono costruite le banchine attuali, e gli argini nuovi dov’erano le banchine. Non se ne sa il perchè, ma in detto anno i lavori vennero sospesi: si disse perchè la ditta assuntrice dei lavori era andata fallita. Venne indetto un nuovo concorso per asta, e che per la cifra di £. 20000 il genio civile non accettò e non se ne fece più nulla. L’argine, come detto, restò incompiuto, più stretto, e quindi più debole, e più basso del corrispondente, e nemmeno livellato, e perciò di diversa altezza nelle sue parti. E allora, si dirà, come mai il disastro è avvenuto lì e non in altra parte dell’argine incriminato? Ed eccoci alla seconda causa: prima di tutto dov’è avvenuta la rotta l’argine piega verso la chiesa a gomito e quindi la forza della corrente è maggiore; inoltre convien notare che dalla parte opposta esisteva una golena o banchina semicircolare, alta quasi come l’argine di fronte: la corrente quindi, trovando impedimento nella golena, doveva naturalmente fare impeto contro l’argine opposto più debole per giunta, come si è detto, e averne ragione più facilmente.
Terza causa: ma il disastro, pur dati questi due antecedenti di fatto, avrebbe forse potuto essere evitato, se i proposti alla custodia avessero fatto il loro dovere; il che non fu: prima di tutto non venne messa la guardia tempestivamente, quantunque sia stato assicurato che fin dalle ore 15 del 30 agosto venne dato avviso dell’insolito carico d’acqua in marcia; e poi allorchè fu messa la guardia (ore 20), il custode si curò quasi unicamente della parte opposta, dove egli abita. Se invece si fosse invigilato e provveduto dove maggiore era il pericolo, e si fosse fatto ricorso a maggior numero di guardiani, forse la rotta sarebbe stata scongiurata, molti anzi hanno affermato che certamente non sarebbe avvenuta.
E queste osservazioni e critiche furono di dominio pubblico; e se ne parlò e lo si disse anche al prefetto; ma venne fatto intendere che era meglio tacere, per non mettere in pericolo gli eventuali aiuti (che poi sono mancati in via assoluta); e venne la rotta attribuita a forza maggiore. E questo per salvare alti e bassi papaveri, per non voler ammettere il dovere di provvedere al rifacimento dei gravissimi danni, dovuti, ripetiamo, a negligenze colpevoli. Cosicchè noi abbiamo subito i danni, senza neppure la consolazione di poter dire la verità. E il buon popolo di Lorenzatico per ben due terzi, e inoltre molte famiglie di Zenerigolo dalla località Puja alla via Biancolina fino quasi al ponte della Chiesuola (a mezzo chilometro da San Giovanni) sulla via per Cento, hanno avuto le case (e alcune anche i mobili a pianterreno) rovinate dall’inondazione; l’umidità negli appartamenti, rovinati i muri, rovinate pure le strade, specialmente via Biancolina vecchia per tutta la sua lunghezza, e resa assolutamente impraticabile: basti dire che la processione per l’incontro del card. arcivescovo per la s. visita pastorale del 3 maggio seguente (1938) la si dovette fare da via Biancolina pel viottolo del palazzo Cà Rossa. Le famiglie abitanti nella zona dal Condotto alla rotta guazzarono nel pantano (è la vera espressione) fino alla primavera seguente, completamente abbandonate dalle autorità, fatta onorevole eccezione del nostro comune, che nei primi giorni inviò a mezzo dell’autopompa dei pompieri caffè, minestra, pane; poi per due mesi il pane, e, fino a tutto il novembre, l’acqua, essendo rimasti inquinati i pozzi. Venne sì il ministro dell’agricoltura e foreste Cobolli Gigli da Roma nei primi giorni a prendere visione del sinistro, ma venne studiosamente evitato il suo incontro coi proprietari sinistrati, perchè egli non avesse a conoscere la verità per qualcuno compromettente.Anche Tiengo, Prefetto di Bologna venne a constatare, ma in aereoplano, e non si degnò neppure fare un passo con noi sui posti allagati e asoltarci; eppure egli la verità la seppe a mezzo di un memorandum con grafici dell’argine incompiuto, ma inutilmente. Solo degnossi venire il venerdì 11 marzo 1938 e percorrere a piedi i luoghi sinistrati, constatando finalmente de visu la gravità del disastro. La conclusione fu però questa sola: egli avrebbe favorito e inoltrato la pratica per un mutuo a buone condizioni pel riassetto dei terreni colpiti: proposta irrisoria, che nessuno accettò. Ognuno ha dovuto pensare e provvedere da sè. E così siamo rimasti soli, sequestrati, senza strade; i poveri coloni nel pantano per raccogliere l’uva hanno dovuto sostenere fatiche e disagi indescrivibili, per seminare il frumento hanno dissodato il terreno col tridente, qualcuno l’ha seminato sulla pura melma, altri inoltre fin verso la fine di marzo.
L’aiuto però non ci è mancato dall’Alto: inverno mite; in dicembre e ai primi di gennaio freddo intenso con gelo, che ha permessa l’aratura meccanica del terreno, che altrimenti sarebbe rimasto incolto. Solo i poderi vicini alla rotta (San Cristoforo, Sant’Alò, Crocefisso, San Matteo, parte di Cà Lunga, San Luigi) hanno dovuto protrarre la coltivazione al marzo-aprile, anzi i primi tre fondi su nominati fino a maggio-giugno, con dispendio assai grave, fino a £ 1000 per tornatura, trattandosi nei poderi più colpiti di trasportare la sabbia, o di livellarla (secondochè si è preferito), e poi arare il terreno a profondità di cm.70-80 ed anche più.
Queste le industrie umane, veramente mirabili e titaniche. La Provvidenza non ha mancato da parte sua: ha mandato la pioggia a tempo opportuno, dimodochè a giugno quasi dovunque potevano vantare campagne belle e promettenti come altrove o quasi. Possiamo quindi ripetere materialmente il detto scritturale riferito ai predicatori evangelici: "euntes ibant et flebant mittentes semina sua: venientes autem venient cum exultatione portantes manipulos suos".
E questo si deve alla divina Provvidenza; quanto agli uomini, vale anche il detto divino: "maledictus homo qui confidit in homine". E non mancano altre prove dell’insipienza e insensibilità umana davanti alle miserie del prossimo; ed anche nel caso nostro eccone qualcuna: i più colpiti inoltrarono fin dal dicembre 1937 domanda per la sospensione delle tasse, e furono autorizzati a non pagare; ma poi il parroco, uno dei ricorrenti più colpiti, si è sentito dire che non era possibile evitare la multa del 6%, e allora egli, per non sottostare anche a questa, che avrebbe reso più grave il peso, ha dovuto pagare e sottostare alla multa per le rate di febbraio e aprile non pagate a tempo, non solo, ma anche per noi colpiti sono state aumentate le tasse nel 1938: pel nostro beneficio parrocchiale per esempio le voci bonificae scoli hanno subito un aumento complessivo di £ 175.25; ed anche la casa di proprietà della chiesa ha dovuto sottostare al tributo di £ 25.25 per la bonifica. E ancora: da tutti è riconosciuto che il Samoggia richiede lavori straordinari di svasamento, essendo il fondo di esso ostruito e più alto di circa metri 3, e ciò per l’accumularsi ogni anno di materiale trasportatovi dalla corrente; e questa condizione di cose è stata riconosciuta e confessata allarmante; anzi fu cominciato lo svasamento in discorso alla confluenza col Reno, ma poi fin dal gennaio 1938 lo si è sospeso, perchè, si è detto, mancano i fondi! E cosi nel 1929 per 20 mila lire si interruppe un lavoro, causando un grave disastro, e poi, per riparare solo l’argine si è speso più di un milione. Ora per mancanza di fondi non si provvede a un lavoro ammesso come necessario: speriamo non si ripeta il carico d’acqua del 30 agosto, altrimenti poveri noi! E certo anche in tale frangente si avrebbe il coraggio di ripetere che il disastro è dovuto a forza maggiore!
L’estensore di queste tristi note dimenticava quasi di riferire che in mezzo a tanti danni pure qualche utilità c’è stata: per la chiesa è stata accantonata una quantità di sabbia sufficiente alla costruzione del campanile in progetto, sabbia fatta qui trasportare, traendola dal fondo Crocefisso vicino alla rotta, e che misura circa 250 m³, realizzando un utile presunto di £ 3000.
E’ stata poi quella dell’alluvione una circostanza che ha dato guadagno non lieve a molti birocciai, che hanno prelevato dai poderi più colpiti e vicini alla rotta centinaia e centinaia di biroccie di sabbia, e ciò per mesi e mesi, e cioè fino all’agosto 1938. Infine i poveri operai, condannati per la crisi economica all’ozio forzato, hanno potuto per qualche mese lavorare e provvedere così ai più urgenti bisogni della loro famigliuola. E speriamo che ciò sarà anche in seguito, allorchè non mancheranno più i fondi, e si potranno continuare i lavori urgenti del Samoggia, lavori che daranno occupazione e pane a tanti operai, e a noi la tranquillità dopo sì gravi angustie.
Un’ultima osservazione: non sia tentato chi leggerà queste note a crederle esagerate: l’estensore di esse può coram Deo affermare che questa cronaca è di molto inferiore al vero, in quanto egli riconosce e afferma la sua incapacità a descrivere quel che assieme ai più colpiti ha visto immediatamente dopo il disastro e gli è stato riferito dai più vicini alla rotta, nonchè da quelli che dovettero lottare cogli elementi in quella notte spaventosa. Crede anzi poter affermare che nessuna penna potrebbe fedelmente descrivere quello che è avvenuto nella notte dal 30 al 31 agosto 1937, e in seguito fino al mattino dell’11 ottobre, in cui, chiusa definitivamente la falla, potemmo riprendere animo, concepire sentimenti di speranza, di riconoscenza verso Dio, e ripetere col salmista: "transivimus(...) per aquam, et eduxisti, et eduxisti nos in refrigerium". Deo Gratias!
Nei giorni di lunedì-martedì, 7-8 marzo 1938, è stato eseguito l’espurgo del macero del fondo Gazzo di questo beneficio parrocchiale dalla melma trasportatavi dalle 6 alluvioni per lo straripamento del torrente Samoggia. Per tale lavoro si è usata la macchina apposita, che ha impiegato ore 13.30; sono occorse ore lavorative per £ 380.80, senza contare quelle degli affittuari dei due fondi Chiesa e Gazzo, nè il costo del convogliamento della melma dentro e fuori del macero, opere tutte queste date gratuitamente. La melma è stata fatta scorrere attraverso il fosso laterale della cavedagna nella bonifica; e quella che non è stato possibile far giungere fin là si è fatta scorrere lungo il filare accanto al macero, occupando una striscia di terreno coltivabile della larghezza di circa m.2 per una lunghezza di circa 35. La spesa complessiva fra macchinario ed opere è stata di £ 753.05, tripartita fra i due affittuari e il parroco, il quale ha perciò speso £ 250.70.
Il parroco ha dovuto curare anche l’espurgo dei fossi e scoline dei due fondi prebendali e del cortile della canonica, incontrando una spesa di £ 784.25, senza contare l’importo delle opere prestate dai due affittuari, altrimenti la spesa sarebbe stata molto più forte. Ha dovuto pure provvedere all’espurgo dei pozzi dei due fondi beneficiarii e di quello di canonica per una spesa complessiva di £ 131. L’espurgo fu reso necessario per l’inquinamento dell’acqua a causa della melma in gran quantità depositatavi specialmente dalla prima inondazione, e un po’ anche dalle seguenti; e fu imposto dall’autorità comunale dietro parere dell’ufficiale sanitario.