Don Giuseppe Rasori

La congiura contro il «Parroco armato»

foto Don GIUSEPPE RASORI

  Nato il 23 giugno 1881 a Bologna, fu ordinato dal Card. Svampa il 2 febbraio 1904. Cappellano a Pragatto per 4 anni, fu poi nominato Parroco di S. Martino in Casola il 31 novembre 1908. Ivi fu assassinato il 2 luglio 1946.

  Il sole accecante del meriggio, alto sul cielo, dardeggia le strade polverose, fiacca le foglie degli alberi che si afflosciano, riverbera sui tetti affocati e sulle campagne screpolate. È finita la mietitura anche sulle alture di S. Martino in Casola e, alle 15,30, sotto lo stridore delle cicale frenetiche di calura, gli uomini si assopiscono sdraiati all'ombra delle quercie e dei pagliai: solo segno di attività, giunge dalle vicinanze del paese il rombare uguale e monotono di una trebbiatrice, attorno alla quale si affannano uomini scamiciati e donne polverose sotto l'ombra degli ampi cappelloni di paglia. È il 2 luglio 1946.
  In quell'ora il parroco, don Giuseppe Rasori, si è ritirato nella penombra del suo studio, ove si può godere lo spirare di un'aria più fresca, e si è sprofondato nella sua poltrona con un libro in mano. In canonica, attorno a lui, regna la più alta quiete: la vecchia serva, la settantenne Maria Golfarini. mezzo sorda e con la vista già un po’ annebbiata, sta ancora rigovernando le stoviglie nel secchiaio oltre il salotto e la cucina; la cugina, Adele Frascaroli, anch'essa settantenne e ospite della canonica fin da quando rimase vedova, sta nello stanzone accanto allo studio, che serve un po’ da ripostiglio, e lavora pazientemente con l'ago a riattare i sacchi che debbono racchiudere il grano nell'imminenza della trebbiatura; la figlia dell'Adele, Alessandrina Frascaroli, che vive con la madre, è uscita poco prima per portarsi al poderetto vicino, eredità lasciatale dal padre, ove la macchina sta trebbiando, diffondendo, a ondate col vento, il ronzio dei vagli e i colpi secchi della pressatrice. Tutto è tranquillo: solo il vento da un po’ di tempo si è fatto più strapazzone, costringendo il parroco ad alzarsi per assicurare i vetri che sbattono.
  In quella quiete si svolge, rapido e impensato, il dramma sanguinoso.
  Una scampanellata all'uscio di servizio che da direttamente sul secchiaio si ripercuote nella casa, giunge allo studio e scuote don Rasori, che si alza per andare a vedere chi è. Passa per la saletta dell'ingresso principale, attraversando la cucina depone gli occhiali sul tavolo, e giunge all'uscio. La Maria Golfarini, che stava uscendo dal secchiaio anch'essa per andare ad aprire, si ferma sull'uscio e lascia passare il parroco.
  Don Rasori guarda fuori e vede ai piedi della breve gradinata che porta all'ingresso, due giovani ciclisti che hanno appoggiato la bicicletta al muro: il cortile, ove abitano altre famiglie, in quel momento è deserto.
  — Che volete? — domanda.
  — Scusi: è lei il parroco? — risponde uno di loro.
  — Sì, sono io. Avete bisogno?
  — Cerchiamo della legna. Non ne ha lei da vendere? — e intanto il giovanotto ha salito i gradini e si trova faccia a faccia col prete.
  La Maria, stando nella penombra, aguzza lo sguardo per vedere chi è: vede uno sconosciuto e rimane nell'ombra in ascolto.
  Intanto il giovane si guarda attorno, chiede ancora dove fosse possibile trovar legna, poi, accertatosi che nelle vicinanze non c'era nessuno, si fa più avanti sulla soglia e dice a bruciapelo al sacerdote:
  — Lei tiene una rivoltella. Deve darmela! —
  Don Rasori ha un lampo di intuizione a queste parole: è un tranello che gli vien teso; il pericolo è imminente. Sfruttando la sua prestanza fisica, ancor energica a 65 anni, si raddrizza sulla soglia e, puntando le mani sul petto di quel losco figuro, cerca di spingerlo fuori per richiudere l'uscio. Ma non riesce nel suo intento: quello gli guizza di sotto le mani, estrae rapidamente la rivoltella, spara a bruciapelo e subito si precipita già dai gradini ove il compare l'attende, e assieme fuggono giù dal paese per la via deserta.
  Don Rasori intanto, rimasto colpito a destra fra il petto e la gola, barcolla, si appoggia un istante al muro, attraversa la cucina premendosi le mani sul petto, mentre dalla sua gola gorgoglia soffocata l'invocazione: «Mio Dio! mio Dio!».
  Giunto alla saletta dell'ingresso principale, si aggrappa disperatamente al muro, e infine stramazza al suolo, ove, dopo pochi istanti, giace esanime. La donna di servizio assiste alla tragica vicenda senza rendersi conto della gravità della situazione: lo segue smarrita, chiamandolo per nome: «Signor Curato! Signor Curato».
  Solo quando lo vede cadere di schianto nella saletta, ha la sensazione della tragedia e si butta ad urlare con un pianto straziante.
  La cugina, la vecchia Adele Frascaroli, che non aveva potuto sentire lo sparo perchè chiusa nel camerone dalla parte opposta, sente questi urli e si precipita ansimante: vede il cugino a terra già cadavere, e cade in ginocchio al suo fianco in una crisi di pianto.
  Intanto anche dalle case vicine si sono avvertiti quei rumori insoliti e accorrono le donne: in un baleno la notizia si sparge nel piccolo paese e porta ovunque la costernazione: Don Rasori, il parroco buono e zelante, che per 38 anni li ha guidati, operoso e sagace, sulla via della virtù verso la vita eterna! Don
  Rasori, che non aveva mai avuta altra ambizione che il decoro della casa di Dio e il bene dei suoi fedeli! Don Rasori non è più! Una mano sacrilega si è levata contro di lui ed ha stroncato la sua attività apostolica!
  La costernazione dilaga per la diocesi con il diffondersi della notizia del suo assassinio: da S. Em.za il Card. Arcivescovo che gli voleva bene e sommamente lo stimava, fino ai numerosi suoi colleghi che onoravano in lui la mente quadra ed equilibrata, il compagno piacevole di discussioni animate e convinte, il generoso ricostruttore che, dopo i disastri del terremoto del 1929, anche col proprio, generosamente aveva riedificato per il decoro del tempio e della casa del parroco; tutti rimasero muti di doloroso stupore:
  — Don Rasori ucciso?! Ma perchè? —
  È ancora la stessa domanda che assilla le nostre menti e che batte insistente al nostro cervello: — Perchè? —
  Abbiamo cercato, attraverso indagini sul luogo e presso i parenti più prossimi, di riuscire a fare un po’ di luce sulle cause della sua morte, e purtroppo dobbiamo confessare che non siamo riusciti a trovare una ragione che ci appaghi, se non ricadendo ancora su motivi politici. E sembra assurdo affermar ciò, perchè don Rasori di politica non ne ha mai voluto sapere, e certo nessuno potrà mai accusarlo di aver avuto, nei suoi scheletrici vangelini, accenni anche solo lontani a guerre, a partiti, ad elezioni, o simili.
  Ciò non toglie che avesse anche lui le sue idee politiche, come ogni uomo che ha testa e cervello, ma non ha mai ostentato i suoi principi in faccia ad altri e tanto meno ha fatto oggetto di attacchi le idee avversarie.
  Eppure abbiamo potuto appurare i seguenti fatti:
  In data 23 Maggio 1946, nell'imminenza delle elezioni, un certo Orlandi, suo ex-parrocchiano, fece una denuncia scritta contro di lui all'autorità civile, accusandolo di detenere numerose armi nascoste in canonica e perfino sotto l'altare in chiesa: contemporaneamente un'altra persona della zona era denunciata con la stessa imputazione.
  Il 25 Maggio, la Questura giunse a S. Martino per fare una perquisizione. Don Giuseppe cadde dalle nubi per lo stupore, e l'accusa gli recò anche gran dispiacere: «Lui armi?! e perfino in chiesa?! Pazzie». Infatti la perquisizione risultò completamente negativa, e uguale esito ebbe l'inchiesta in casa dell'altra persona accusata.
  Ma come dunque in paese si sparse la voce del «Parroco armato», come molti dei dintorni lo designavano?
  Dobbiamo dire che don Giuseppe era effettivamente armato di una rivoltella fin dal gennaio, ma questa era regolarmente denunciata ed egli era munito del relativo «porto d'armi». L'aveva acquistata in seguito a fatti incresciosi.
  Nell'agosto del 1945 una sera si accorsero di aver la casa controllata dai banditi, che certo dovevano essere intenzionati a farvi una razzia; ma vedendosi scoperti, avevano poi desistito dall'impresa. Un secondo attacco subì la sera del 16 Gennaio 1946. Presente anche il contadino della chiesa, due individui, riusciti a penetrare in canonica, si dichiararono fascisti perseguitati (era poi vero?) e chiesero 50.000 lire per poter continuare a vivere alla macchia. Infine, convinti di non poter avere di più, si accontentarono di 2000 lire e se ne andarono.
  Da quel giorno don Rasori pensò fosse necessario avere in casa un'arma per ogni evenienza, e fece acquisto della rivoltella in questione.
  Ma forse quando i popolani dicevano il «Parroco armato», non volevano alludere a questo mezzo di difesa, ma alla denuncia del comunista Orlandi, che gli scagliava addosso la più infame delle calunnie, presentandolo come un finanziatore d'armi ai partiti avversi al suo.
  Tanto più che, quasi contemporaneamente, nei comizi locali dei partiti estremisti, si cominciò ad inveire con violenza contro questo sacerdote che veniva accusato di aver sovvenzionato i partiti contrari al comunismo con generose offerte (si parlava di 10.000 lire!), e il popolo, come sempre, se la beveva senza discussione.
  A noi la mossa pare evidente.
  Non si poteva accusare don Rasori di collaborazione, lui che l'8 settembre 1943 aveva dato ordine al campanaro di suonare «doppi» di festa, in segno di giubilo per la fine della guerra; lui che, coi tedeschi in casa aveva aiutato i partigiani fino a nascondere qualcuno di loro nella guglia del campanile! Non poteva essere accusato di politicante: lui che sentiva ripugnanza a parlare in pubblico e perfino i vangelini domenicali li scriveva e poi in chiesa li leggeva ai suoi fedeli! Non poteva scagliarsi contro di lui una vendetta personale: perchè a noi sembra impossibile che l'unico atto, del resto legittimo, che ha suscitato rancore in una persona, il fatto cioè di aver rifiutato il premio di partigiano al figlio del suo contadino, prima di tutto perchè non partigiano riconosciuto, poi perchè non lavorante sul fondo colonico ma in proprio: ci sembra impossibile, dicevamo, che possa questo legittimo rifiuto essere stato causa di rappresaglia tanto folle da portare fino al delitto.
  E allora?
  Dato che don Rasori doveva perire, si è ordita attorno a lui l'infernale montatura: si è fatto del mite pastore il «prete armato», si è trasformato il pacifico cittadino in un finanziatore di armamenti segreti, si è scorto nel modesto seguace e assertore dei principi cristiani contro il comunismo ateo, condannato da Pio XI, la sagoma dell’irriducibile nemico del popolo, e si è precipitati fino al delitto più infamante: il sacrilegio.
  Quando S. Em.za il Card. Arcivescovo di Bologna accorse all'ombra dell'aguzzo campaniletto di Casola, il pomeriggio del 3 Luglio, e sostò in preghiera accanto alle sue spoglie mortali, ebbe ben chiara l'impressione che l'uccisione di don Rasori fosse ancor una delle maglie di quella ostinata rete di intrighi e di persecuzione che da troppo tempo si stringe attorno al nostro clero. Ecco perchè, intimando, il giorno dopo, la scomunica ai sacrileghi assassini, affermava: «Ci chiudiamo sgomenti nel triste pensiero che i castighi di Dio non debbano cadere terribili su tutti, se la sete di sangue di menti sconvolte e traviate dovesse continuare a seminare vittime e se non ci levassimo concordi a farla cessare».
  Vogliamo, sì!, chiudere l'elenco dei delitti «che gettano così sinistra luce sul nostro povero paese», e ci auguriamo che il nostro buon don Giuseppe Rasori suggelli col suo sangue la troppo lunga serie di vittime sacerdotali innocenti.
  Che l'Autorità possa trovare la via luminosa della giustizia, la forza decisa che ferma inesorabile la mano all'assassino!