Vi è un Piano regolatore generale della città di Bologna, del 1889. Com'è noto, ogni piano generale è attuato a mezzo di piani particolareggiati di esecuzione, soggetti all'approvazione governativa. Per la zona in questione, abbiamo il Piano particolareggiato 7 giugno 1935 che è seguito, a distanza di tre anni, dal Piano di risanamento 1° ottobre 1938 approvato con decreto interministeriale 17 ottobre 1940. Fra questi due piani, che prevedevano entrambi l'esproprio degli immobili in angolo fra le vie S. Felice e Lame, si inserisce la convenzione Comune-Orlandini del 21 dicembre 1936; la quale, secondo la tesi della maggioranza, avrebbe reso nullo l'esproprio che, almeno in parte, era già stato accettato dall'Orlandini con la consegna del primo stabile.
Il Piano di risanamento, basato in gran parte sull'esito di un precedente concorso nazionale, prevedeva l'allargamento dell'imbocco di via S. Felice da metri 5,90 a metri 12. Ma, dopo questo Piano, l'amministrazione podestarile tentò di varare nel 1941 — cioè durante la guerra — un più complesso piano particolareggiato interessante tutte le zone del massimo centro cittadino. Questo Piano non fu approvato dal Ministero ed è quindi da considerare definitivamente caduto; pure, la nostra amministrazione ce lo presentò nel 1946 come piano legittimo e definitivo, al quale si era attenuto il piano di ricostruzione. Il Consiglio cadde pertanto in errore, deliberando all'unanimità, io compreso, l'approvazione del detto Piano di ricostruzione; piano che ottenne le superiori sanzioni, con lo stralcio però della zona ora in questione, perché già compresa nel predetto Piano di risanamento. Gli uffici comunali ignorarono ciò, e diedero alla zona una definizione basata sull'invalido piano del 1941. Non solo, ma continuarono in ogni occasione a presentare questo Piano come legittimo e definitivo, fondando su di esso la validità degli atti successivi, e tale da poter risolvere la convenzione Comune-Orlandini in favore di quest'ultimo, per cui riconsegnarono agli Orlandini stessi, in due tempi, tutta la loro ex proprietà.
Ai primi rilievi da me fatti allorché si trattò di sclassificare una striscia di suolo pubblico già consegnata a privati oltre un anno prima, si rispose con la nomina di una Commissione, della quale io pure facevo parte. Poiché la Commissione era composta di tecnici, io, come medico, ritenni di poter lasciare ad essi il compito delle indagini: ma purtroppo la Commissione non si avvide neppure che il Piano del 1941 era nullo e concluse che, sostanzialmente, tutto andava bene.
Un anno dopo, il 20 ottobre 1942, si scopriva il verbale falso e si addiveniva alla nomina di una seconda Commissione, con due compiti distinti: 1) quello di enucleare dalla pratica il documento incriminato; 2) il compito di indagare su tutte le irregolarità da me denunciate. Il primo compito fu assolto in pochissimi giorni, si affermò che il documento incriminato poteva benissimo venire ignorato e si mandò prontamente all'Autorità Giudiziaria — che intanto aveva sequestrato il documento — un riferimento col solito: «tutto bene sostanzialmente, danni niente».
Il secondo compito della Commissione sta per terminare, anzi la maggioranza ritiene d'averlo già assolto da tempo e la conclusione è ancora la stessa: «tutto bene sostanzialmente, danni niente». Anche questa volta è già partito, diretto all'Autorità Giudiziaria, fino dal mese di agosto, un riferimento che a me non è dato conoscere. Si può comunque ritenere che esso avrà ripetuto «tutto bene sostanzialmente, danni niente».
Ecco in sintesi l'oggetto della discussione che dobbiamo affrontare.