I kolkoz comunisti

    Dopo due anni dalla divisione dei terreni, il governo fece incominciare la piccola collettivizzazione che sta ancora progredendo verso la grande collettivizzazione. Tutti gli operai agricoli vengono inquadrati e sottoposti al controllo del governo perdendo tutti i benefìci della proprietà privata e perdendo soprattutto la libertà. Si vien spinti al lavoro come branchi di bestie. Dopo aver lavorato senza gusto e senza impegno sotto gli ordini severi e spietati dei commissari soprintendenti, al ritorno dall'estenuante fatica debbono ascoltare per ore e ore i discorsi degli istruttori politicoagrari, che vorrebbero sforzare il cervello di quei poveri agricoltori ed apprezzare il nuovo sistema economicoagrario. Ma — a quanto ho potuto vedere e sapere da quelli che avevano ancora il coraggio di manifestare le loro angosce ed il loro disappunto — il popolo cinese sa solo di essere stato ingannato. Specialmente scontenti sono i vecchi proletari i quali, già gongolanti di gioia per il terreno loro diviso, si son visti aggiogati duramente ad un lavoro non libero con grandi responsabilità dinanzi al governo che, come loro benefattore, pretende più da loro che dagli altri; infine, quando si son visti praticamente espropriati di tutti gli averi loro toccati con la divisione, la loro disillusione è stata ancora più grande. Ecco i discorsi che si sussurrano: «I comunisti sono specchi di spudorata falsità»; «Bisogna dire non quel che si pensa, ma quel che vogliono quei cani»; «Sono diavoli usciti dall’inferno per tormentarci»; «A noi il lavoro, a loro il raccolto; a loro la farina, a noi la crusca»; «Sotto i nazionalisti eravamo poveri, ma liberi; sotto i comunisti siamo diventati poveri e schiavi, misere bestie»; «Chi non sa dire il falso non è un bravo comunista»; «Quando finirà questa oppressione? Quando ritroveremo la libertà di pensare noi stessi ai nostri affari? Con la scusa di venirci ad istruire nell'agricoltura, loro che non hanno mai messo mano alla zappa, ci tormentano in tutti i modi e senza posa, noi che siamo agricoltori nati, che lavoreremmo tanto meglio se ci lasciassero stare e se sapessimo di fare un poco anche i nostri interessi invece di fare solo i loro»; «Ci stanno sempre addosso per controllare tutto. Sono troppi a mangiare la torta a nostre spese: commissari, istruttori, poliziotti, conferenzieri, propagandisti, agenti di cooperativa, accaparratori del governo, ecc.»; «Più essi aumentano, più diminuisce la nostra razione»; «Padre, ora è l’età dell’odio, bisogna odiare, bisogna sol dire male del prossimo, bisogna accusare qualcuno per essere considerati bravi cittadini. Chi sa raccogliere le infrazioni altrui e riferirle, quegli è un servo fedele del regime»; «La concordia e l'amore scambievole è una cosa riprovevole in regime comunista», «Il partito sa bene di far dei torti al popolo, perciò non è mai tranquillo; ha sempre paura di qualche sommossa o congiura, cosicché sta sempre all’erta e cerca di seminare la divisione e l’odio fra i cittadini».
    La divisione poi seminata e voluta dal comunismo veniva a sovvertire l’istituzione più intima e più sacra dell’umanità: la famiglia. Il divorzio non è solo tollerato, ma inculcato; tanto che chi volesse far opera di pacificatore nei dissensi coniugali viene considerato come un reazionario. La facilità specialmente per le donne di poter divorziare va demolendo i cardini della moralità tradizionale dei cinesi; il divorzio scava profonde ferite di dolore nella cosiddetta nuova società. La donna cinese, che nel passato non oltrepassava mai i limiti dell’ambito familiare, ora ne è uscita come una foglia sbattuta da tutti i venti, in balia delle passioni più basse. Da qui tutta l'immoralità che provoca penose situazioni di discordie e di disgregazione familiare, donde i figli ne vengono a portare il peso più doloroso; perdono il padre e trovano un patrigno; perdono la madre e trovano una matrigna. I vincoli più naturali e consolanti vengono rotti per essere sostituiti dai vincoli del terrore familiare, a scapito della più elementare educazione morale e civica. Anche nella organizzazione familiare non è più l'amore, ma l'odio che prevale. È logico, del resto, giacché in regime comunista non trova posto l'amore. L’epidemia dei divorzi è così estesa che, almeno nella zona dove mi trovavo, di dieci famiglie difficilmente se ne troveranno due rimaste fedeli al primo vincolo. I cristiani sono più forti; ma anche tra di loro già si notavano delle incresciose separazioni. Ricordo che il vescovo Focaccia piangeva quando veniva a sapere che anche qualche famiglia cristiana veniva travolta dagli odi familiari abilmente seminati da commissari segreti della polizia, specialmente fra le operaie del cotonificio di Yutze, come in tutti gli stabilimenti industriali. Ma anche fuori dei pubblici stabilimenti lo sfacelo è impressionante. Molte giovani spose vengono tentate ed ingannate dai cosiddetti agenti della pubblica sicurezza, i quali girano e girovagano di casa in casa a titolo di ispezione e d’informazione, sfruttando tutti i più piccoli screzi familiari venuti a loro conoscenza, per gettare legna sul fuoco e provocare facili incendi. Essi, ben vestiti e ben pasciuti e pieni di boria per il loro ufficio di agenti governativi, fanno presto presa sul cuore delle giovani e incaute donne con le quali si intrattengono di preferenza, prestando loro anche l’opera di paraninfi. E una cosa veramente abominevole, di cui il popolo sente orrore ed indignazione; ma nessuno osa parlare ad alta voce. Quando si sa che una giovane sposa frequenta od è frequentata da qualcuno di quei figuri, in famiglia entra il terrore e nessuno osa più fiatare per tema di rappresaglie, sotto forma di accuse o calunnie. I sacerdoti bisogna che usino una cautela straordinaria nell'ammonire e nel fare opera di concordia. Ci sono stati alcuni casi dei quali il divorzio è stato decretato appunto perché la parte femminile accusò la parte maschile di non voler il divorzio per consigli ricevuti da qualche sacerdote. In questi casi vari mariti, oltre al divorzio, dovettero subire anche le aggravanti di connivenza coi cosiddetti retrogradi reazionari, venendo poi anche tenuti in sospetto e sottoposti a vigilanza con pregiudizio alla loro economia familiare. Alcune comunità cristiane vennero pubblicamente biasimate come reazionarie perché non avevano potuto registrare alcun divorzio fra i loro cristiani.
    Per ottenere il divorzio più alla svelta, talune spose corrotte non temono di fare accuse o calunnie per cui dopo il divorzio esse passano a seconde nozze ed i loro mariti vengono gettati in carcere. Mi sono trovato in due casi di divorzio presso l’ufficio di stato civile rionale: una donna portava come ragione della sua volontà di divorzio il fatto che quando andava in collera e sgridava il marito, questi non reagiva, ma rimaneva taciturno come un'oca. «Fa lo stupido, perché lui in cuore ha dei pensieri reazionari che non osa manifestare!» — andava ripetendo. «Ah, sì? Quando è così, subito: segnate divorzio!» rispose l’ufficiale. L’altra donna diceva che essa era andata sempre d’accordo col marito e che avrebbe continuato, essendo una donna onesta come nessuna altra al mondo; ma siccome la notte addietro egli si lamentò del presente regime e disse che stava meglio prima, allora essa prorompendo in pianto disse: «Io non posso stare più con un retrogrado reazionario, io voglio divorziare!». Il marito redarguì nervoso: «La ragione vera è che tu hai già trovato da tempo con chi amoreggiare!». Intervenne il funzionario: «Fa silenzio, tu; oltre ad oltraggiare il governo vorresti anche far ingiurie a questa brava cittadina? Si segni divorzio! Gli altri conti li salderemo poi a suo tempo!». Così le due coppie divorziate se ne tornarono ai loro affari: le donne a prepararsi a nuove nozze, ed i mariti ad aspettare la tempesta che avrebbe infuriato sul loro capo.