Undicesima udienza

Un ennesimo incidente

    7 giugno 1949 - A metà dell’udienza, quando già era stato ascoltato l'ultimo teste d’accusa, e prima che si presentasse ai giudici il primo della seconda serie di quelli a discarico, si è scatenato un grosso ennesimo incidente. L'avv. Taddei ha annunciato al Tribunale che, allo scopo di vagliare l'attendibilità di certi testimoni, aveva intenzione di esibire una lettera pervenutagli. La parte civile, sempre in preallarme per le uscite improvvise della difesa, si è opposta alla lettura invocando la irregolarità della procedura, ma il P. M. ha dato lo stesso lettura dello scritto che ci piace riprodurre integralmente.
    P. M.: — Avendo appreso dai giornali la deposizione fatta nel processo D'Onofrio dal sergente maggiore Giovanni Troia, dichiaro che il Troia nel periodo delle elezioni del 2 giugno fece una offerta di L. 10.000 a mia madre se gli cedeva il certificato elettorale di mio fratello Vito Buccellato, disperso in Russia, come era a conoscenza del Troia. La lettera è firmata da Nicoletta Buccellato abitante in Roma, viale delle Provinole, 2. —
    C'è mancato poco che la baruffa verbale si trasformasse in un pugilato. L'avv. Paone, rosso di collera, è scattato in piedi e ha fatto atto di lanciarsi contro l'avv. Taddei, gridando che questa non era altro che una mossa politica per tentare di ristabilire l'equilibrio spezzato dalla presentazione, da parte dell’accusa, di una circolare che l’Unione dei Reduci dalla Russia inviò, a suo tempo, ai suoi iscritti per raccogliere deposizioni.
    L’avv. Taddei ha gridato qualche cosa che, nella confusione sfugge alle orecchie degli ascoltatori, ma deve essere bene inteso dal suo avversario che prontamente lo ha rimbeccato.
    Avv. Paone: — Sei un fascista. Tu cerchi così di rifarti una verginità. Tu fai il gioco dei democristiani...

«Avete fatto votare anche i morti!»

    Avv. Taddei: — Ma stai zitto! Voialtri avete fatto votare anche i morti!...
    Avv. Paone: — Smettetela. Questo non è un giuoco leale...
    P. M.: — Ora basta, avv. Paone.
    Avv. Paone: — Ma io sono stato provocato.
    Il Presidente tronca l'incidente sospendendo la seduta. Paone e Taddei si allontanano insieme dall'aula per rifare la pace davanti ad una tazzina di caffè.
    Quale ultimo teste d’accusa, depone il sottotenente di fanteria Esterino Montanari.
    Montanari: — La marcia dal luogo della cattura al campo di concentramento fu estenuante, ma arrivati a destinazione le condizioni di vita migliorarono. Il vitto sarebbe stato sufficiente se la salute dei prigionieri fosse stata buona. Scoppiò una epidemia di tifo petecchiale e l'assistenza medica non fu delle migliori tanto che quasi tutti i malati morirono.
    A domanda dell’avv. Mastino del Rio circa l'assistenza medica, il Presidente chiede se nel campo c'erano ufficiali medici italiani.
    Montanari: — Nei primi tempi dell’epidemia non fu dato ai malati alcun medicinale, poi, in seguito, vennero distribuite delle pasticche di permanganato. Quanto ai medici italiani, nel campo ce ne erano sei ma erano tutti contagiati. Funzionava una infermeria dove prestavano servizio un infermiere croato e una infermiera russa.
    Fui poi trasferito in un campo degli Urali dove trovai condizioni di vita ancora migliori. I prigionieri erano trattati così bene che non appena giunsero fecero fare loro un bagno di disinfezione. Trasferito nel campo di Susdal, conobbi il fuoruscito Roncato e seppi da lui che era stata costituita una scuola di antifascismo nel vicino campo n. 2; chiesi di frequentarla e fui ammesso ai corsi.
    Istruttori erano due italiani: Robotti e Carato. Qui feci la conoscenza con il D'Onofrio, il quale venne per l'inaugurazione del corso e lasciò in tutti una favorevole impressione: era riuscito a guadagnarsi le simpatie di tutti.
    D'Onofrio tornò poi al campo-scuola e prima di partire per l'Italia, ci chiese l'indirizzo delle nostre famiglie per poter far loro giungere nostre notizie. Noi continuammo il corso al quale potevano partecipare tutti coloro che professassero idee antifasciste. È assolutamente falso che dalla scuola si uscisse comunisti; tanto è vero che la frequentavano anche antifascisti cattolici...

Seminario e... «I Promessi Sposi»

    Avv. Mastino Del Rio: — Infatti, si trattava di un seminario dove si insegnava il dogma cattolico...
    Montanari: — Io, ad esempio, sono uscito dalla scuola con idee socialiste.
    Ma il teste non specifica se si tratti di idee socialdemocratiche o socialfusioniste. Una nuova battuta dell’avv. Mastino del Rio provoca il primo violento battibecco fra i patroni delle due parti.
    Avv. Mastino Del Rio: — Ieri ci avete detto che si studiavano «I Promessi Sposi», oggi ci dite quasi che si studiava il dogma cattolico. Ma insomma tutto ciò è perlomeno umoristico: cercate di salvare il pudore.
    È stata questa la frase che ha fatto andare su tutte le furie l'avv. Paone il quale, rivoltosi eccitatissimo al collegio di difesa, ha pronunciato violenti parole dalle quali è nato il tumulto.
    Avv. Mastino Del Rio (superando con voce tonante il frastuono dell’aula e puntando il dito contro la parte civile): — Voi vi vergognate di dire che era tutta propaganda comunista; nient'altro che propaganda comunista!
    Ristabilita la calma, il teste ha voluto ribadire al Tribunale come D'Onofrio si fosse vivamente interessato perché ai suoi familiari giungessero notizie del congiunto prigioniero.
    Montanari: — I miei, infatti, ricevettero una lettera, credo del D'Onofrio, in cui si davano notizie della mia salute.
    Avv. Taddei (di rimando): — La conosco. Era una circolare ciclostilata. Anche i miei la ricevettero.
    È evidente che anche i testi a carico non riescono a celare la tremenda tragedia dei prigionieri italiani, malgrado gli sperticati elogi e i non richiesti ringraziamenti per D'Onofrio.
    Salvatore Pontieri, tenente dei bersaglieri in servizio permanente, ha aperto la seconda sfilata dei testi a discarico.

«Abituatevi a battere i piedi»

    Pontieri: — Al campo di Tamboff, dove trascorsi i primi tempi della prigionia, conobbi la signora Torre. Molti internati si rivolgevano a lei per avere qualche indumento pesante che li riparasse dal freddo intensissimo di quella zona. Ma la fuoruscita ad ogni richiesta del genere rispondeva invariabilmente: «Avete battuto tanto le mani fino a ieri, ora abituatevi a battere i piedi».
    Questo lo spirito satanico delle donne italiane in Russia, se pur il nome di donne e di italiane si conviene a queste male femmine comuniste.
    Nel luglio 1943 il querelante tenne due conferenze al campo di Skit.
    Presidente: — Venne mai interrogato, lei, dal D'Onofrio?
    Pontieri: — Sì. Fu la sera stessa della seconda conferenza. Appena entrato nel suo ufficio, mi chiese per quale ragione non mi fossi iscritto alla scuola antifascista e aggiunse, senza aspettare risposta, che era stata proprio la mentalità come la mia a spingere i soldati italiani a venire a far la guerra contro la Russia. Io risposi che avevo fatto soltanto il mio dovere di ufficiale, al che D'Onofrio replicò: «Altro che dovere. Voi siete venuti in Russia per rubare e per commettere delle atrocità e state attenti perché il vostro atteggiamento può portare a gravi conseguenze».
    Le stesse minacce il querelante rivolse al cap. Magnani e al ten. Ioli, i quali due giorni dopo furono trasferiti in un campo di punizione.

    A proposito del Magnani il teste, su richiesta del tribunale, ha detto che era una bella figura di ufficiale, di cui tutti avevano la massima stima. Dopo l'interrogatorio del capitano, il teste ha poi dichiarato di aver inteso il D'Onofrio che diceva: «A Magnani ci penso io».
    Presidente: — Ma lei è sicuro che fosse proprio D'Onofrio?
    Pontieri: — Sicurissimo: ne riconobbi la voce. E del resto quando lo rividi, Magnani mi disse che la responsabilità del suo trasferimento era tutta di D'Onofrio.

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