Nona udienza

«L’Alba»

    1 giugno 1949 - Il protagonista della seduta odierna è stato un ex collaboratore del settimanale «L'Alba», stampato in Russia per i prigionieri italiani, il cap. Emilio Lombardo, ufficiale in servizio permanente effettivo, attualmente collocato a disposizione, il quale depone subito dopo il sergente maggiore del 52 reggimento artiglieria della Divisione «Torino», Giovanni Troia, che in sostanza ha riaffermato quanto già avevano detto i precedenti testimoni.
    Troia: — Subito dopo il 25 luglio 1943 fu costituita una scuola di antifascismo che chiesi di frequentare, unitamente ad altri 150 prigionieri italiani.
    Presidente: — Chi era il comandante della scuola?
    Troia: — Un ufficiale russo, ma vi erano anche istruttori italiani come Robotti e Vella che noi chiamavamo compagni.
    Avv. Taddei: — Che uniforme indossava il Vella?
    Troia: — Quella russa. Ci illustravano che cosa fosse veramente il fascismo in contrapposizione con l’idea antifascista.
    Al termine del corso venne D'Onofrio, il quale si trattenne alcuni giorni e parlò ai prigionieri con parole ispirate ad alto sentimento di italianità.
    Giurai fedeltà al popolo italiano e alla causa antifascista. Personalmente finito quel corso chiesi di passare ad un’altra scuola.

    P. M.: — Già una specie di università, dopo la scuola media...
    Troia: — Rimasi in questo campo fino al maggio del 1945 e successivamente fui trasferito a quello di Taskent di dove venni rimpatriato. Rividi D'Onofrio nel secondo campo-scuola che frequentai.
    Avv. Taddei: — Come spiega il teste il fatto di aver veduto il D'Onofrio nel 1945 se l’attuale querelante aveva fatto ritorno in Italia fino dal 1944?
    Teste: — Può darsi che abbia fatto confusione nelle date. Certo è però che io parlai con il D'Onofrio al secondo corso che frequentai. Anzi, siccome il corso era anche per gli ufficiali, ebbi modo di parlare del D'Onofrio con molti di essi i quali mi dimostrarono apertamente i loro sentimenti di affettuosità e di simpatia verso di lui.
    L'ingresso del cap. Emilio Lombardo è salutato dai mormorii del pubblico e da un immediato attacco dell’avv. Taddei il quale rivolgendosi al Presidente chiede che, prima che il teste sia inteso, gli si domandi se gli risulti di essere sotto inchiesta per delazione e per vessazione dei suoi compagni di prigionia.
    La richiesta della difesa è stata prontamente rimbeccata dagli avvocati di parte civile.

Cordialità pelosa

    Non si può dire certamente che la deposizione del teste sia stata di quelle tranquille; anzi si è svolta sotto un intenso fuoco di fila di interruzioni e di battibecchi e punteggiata dai sorrisi ironici degli imputati.
    Il teste esordisce affermando come al momento della resa, nel dicembre del 1942, abbia seriamente pensato al suicidio per non cadere in mano dei russi, che gli erano stati dipinti come soldati feroci e crudeli.
    Ma la realtà era molto diversa. I sovietici non fucilavano i prigionieri e i comandanti russi stringevano la mano ai nostri ufficiali superiori cordialmente...
    Avv. Taddei: —... E per caso rimase loro in mano un orologio...
    L'interruzione provoca addirittura un finimondo. Per qualche minuto è un incrociarsi di vivaci invettive fra gli avvocati delle due parti, fra il rumoreggiare del pubblico e a stento si riesce a ristabilire la calma nell’aula, ove. l'atmosfera è veramente arroventata.
    Il pubblico e il collegio di difesa ridono clamorosamente. La parte civile interviene per deplorare il contegno degli imputati, che sorridono mentre ad essi è vietato commentare in alcun modo le deposizioni dei testi d'accusa.
    Avv. Paone: — Voi venite qui ben pasciuti ad insultare quelli che vi hanno salvato la vita!...
    La frase è accolta da un lungo mormorio del pubblico, mentre uno degli imputati grida: «Lo conosciamo bene, noi, il capitano Lombardo!...».

«Bombe a mano contro i partigiani sovietici»

    Lombardo: — Durante la lunga, snervante marcia a piedi verso il campo di concentramento di Tamboff, i soldati — qualche migliaio — a differenza degli ufficiali, non furono subito perquisiti e disarmati. Qualcuno, colto da improvvisa pazzia, per la spossatezza, si dette a lanciare bombe a mano, una notte, contro i partigiani sovietici che scortavano la colonna. I russi reagirono immediatamente e perquisirono tutti: coloro che furono trovati in possesso di rivoltelle o di bombe a mano furono fucilati sul posto. Poi il viaggio nella steppa riprese, finché un congelamento ai piedi, durante il cammino, mi costrinse ad una lunga permanenza in un lazzaretto.
    A Tamboff, subito dopo l'arrivo di uno scaglione di ufficiali alpini catturati, si manifestò una grave epidemia di tifo petecchiale. Il comando del campo provvide immediatamente ad isolare tutte le baracche da quella dove erano stati alloggiati i nuovi arrivati, ma qualche contatto rimase colla baracca degli ufficiali contagiati per barattare del pane bianco. Si creò così un veicolo di infezione.

    Avv. Taddei: — Quanti furono i morti?
    Lombardo: — Molti, moltissimi anzi. La mortalità toccò una percentuale del 60 per cento nonostante il buon trattamento che ci veniva fatto dai russi, i quali subito dopo aver provveduto all'isolamento dei malati, inviarono nel campo sanitari e infermiere, una delle quali, contagiata, morì nel campo.
    Presidente: — Dove ha conosciuto D'Onofrio?
    Lombardo: — Lo vidi per la prima volta al campo di Oranki. Egli mi mandò a chiamare insieme al cap. Angelozzi. Non si trattava però di un interrogatorio: egli mi rivolse alcune domande per sapere cosa ne pensassi dell'andamento del conflitto, subito soggiungendo che, se non volevo, potevo anche rifiutarmi di rispondere.
    Presidente: — Lei faceva già parte del gruppo antifascista?
    Lombardo: — Sì. Assistetti anche alle conferenze di D'Onofrio. Quanto al famoso ordine del giorno proposto dal querelante dopo il 25 luglio 1943 esso fu prima esaminato dal gruppo antifascista e poi approvato da tutti perché era molto moderato.
    Passai successivamente al campo di Skit.

«Formazioni Garibaldine»

    Presidente: — Secondo lei, che cosa si proponeva D'Onofrio?
    Lombardo: — Secondo me voleva sapere se gli italiani intendevano continuare o no a combattere a fianco dei tedeschi. E infatti fu costituita nel campo una formazione garibaldina alla quale aderirono anche due degli attuali imputati...
    Avv. Taddei: — Ciò avvenne prima o dopo l’8 settembre?
    Lombardo: — Dopo l’8 settembre.
    Avv. Taddei: — Già. Come si vede è tutt’altra cosa.
    Anche il cap. Lombardo fu allievo della scuola di antifascismo che sorse nei pressi di Mosca. In essa, ha dichiarato il teste, si tenevano lezioni su problemi sociali, economici e filosofici nonché sulla organizzazione della nazione sovietica.
    Nella scuola vi era ampia facoltà di critica...
    Avv. Mastino Del Rio: — Ma davvero?!?!...
    Lombardo: — Certamente. Il giuramento che si pronunciava alla fine del corso non era affatto quello riferito dal teste indotto dalla difesa, ma con esso si giurava soltanto «fedeltà al popolo e al proletariato italiano». Un ufficiale non poteva trovare nulla in contrario a firmarlo (!!!).
    Avv. Taddei: — Il teste sa se prima della sua cattura siano stati distribuiti nelle file dell’esercito italiano manifesti russi?
    Lombardo: — Sì. Effettivamente alcuni aeroplani gettarono sul nostro fronte volantini nei quali si assicurava che i prigionieri italiani erano trattati con la massima cura. I volantini erano firmati anche dall’imputato Avalli che era stato già catturato a quell'epoca.
    Fui anche nel campo di Susdal, per qualche tempo. Lì ogni domenica si celebrava la messa e i sovietici non facevano alcuna difficoltà. Nella ricorrenza del Natale, anzi, fu allestito un presepe artistico dai prigionieri e fu celebrata anche una solenne messa cantata. Il comandante russo del campo e parecchie autorità e funzionari sovietici vennero a vedere il presepe.

    Avv. Taddei: — È vero che un funzionario sovietico, vedendo il presepe esclamò: «Napoli bella...»?

Traditori dei propri compagni

    La domanda rimane senza alcuna risposta, ma in compenso, a questo punto, siamo quasi alla fine dell’udienza, si scatena l'ennesimo incidente della giornata.
    Avv. Taddei: — Sa spiegarci lei, perché al rientro dalla prigionia, appena varcata la frontiera di Tarvisio, alcuni ufficiali furono schiaffeggiati da altri loro compagni di prigionia?
    Lombardo: — Fra gli aggrediti ero anche io. Fummo malmenati perché avevamo fatto parte del gruppo antifascista...
    Avv. Taddei: — O non piuttosto perché il teste fece parte al campo di Sighet, in Romania, di una commissione la quale ordinò che 50 nostri prigionieri fossero trattenuti, come lo furono, ancora per un mese?
    Lombardo: — È assolutamente falso.
    Avv. Taddei: — Il cap. Lombardo, può dire, in tutta lealtà, se egli è attualmente sottoposto a sanzioni disciplinari?
    Avv. Sotgiu: — Mi oppongo alla domanda!
    Avv. Taddei: — Allora faccio istanza formale, perché il Tribunale richieda al Ministero della Difesa l'elenco degli ufficiali sottoposti ad inchieste disciplinari per crimini commessi nella loro qualità di prigionieri di guerra. E ciò per vagliare la attendibilità di certi testimoni.
    Avv. Sotgiu: — Ritengo infondata la richiesta della difesa. Essa non contribuirebbe a chiarire nessun elemento del processo.
    P. M.: — Mi associo alla domanda dell’avv. Taddei purché tale elenco sia accompagnato da notizie riguardanti l'esito di tali inchieste.
    Avv. Sotgiu: — Dichiaro fin d'ora che, se la domanda viene accolta, il processo dovrebbe essere sospeso finché non sia stato reso noto l'esito definitivo dell’inchiesta.
    Il Presidente toglie la seduta dopo che il Tribunale ha stabilito di prendere un provvedimento una volta escussi tutti i testi. E il seguito è rinviato a lunedì.

Le udienze
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