Nona udienza

(venerdì 25 maggio, ore 10)

    All'inizio dell'udienza il Presidente fa presente che la Commissione ha dovuto chiamare il più gran numero di testimoni in grado di portare qualche luce sulla questione in esame: non si è badato ai loro precedenti, se cioè essi erano stati lupi, agnelli o pastori. Pertanto è evidente che il Tribunale non è responsabile in alcun modo delle loro opinioni, del loro atteggiamento e della loro attività passata.

Un ufficiale cecoslovacco

    Jean Sad, di 34 anni, ufficiale cecoslovacco, figlio di contadini, fu arrestato nel 1945 dai sovietici e deportato nel bacino carbonifero del Donbas. Lavorò nelle miniere e fu liberato nel 1948.
    Nel suo campo vi erano molti stranieri e tra essi spagnoli, greci, olandesi, rumeni e ungheresi. Arrivando avevano già arti congelati così che il medico del campo diceva loro: «Fareste meglio a morire subito». I cadaveri erano seppelliti sotto le scorie dopo che erano stati loro tolti i denti d'oro; vi erano molti suicidi soprattutto tra le donne.
    Il giudice Domenech insiste anche con questo teste per sapere se i detenuti spagnoli non fossero soldati della «divisione azzurra», ma anche questo teste è esplicito: erano tutti repubblicani spagnoli deportati dalla Francia dai nazisti nelle miniere della Slesia, come del resto gli olandesi.

Un bibliotecario polacco

    Massimo Stoikine, polacco, di origine ebrea, di 46 anni, fece parte del Bund sin dal 1923. Fu deportato dai sovietici, dopo lo spartimento della Polonia, nel campo di Soukhobezvodnoie, vicino a Gorki, e liberato con Sikorschi in occasione dell'amnistia generale per i detenuti polacchi.
    Il teste conferma in tutto ciò che il dottor J. Margoline aveva già rivelato nel suo libro «La condition inhumaine» sulla tragica odissea degli ebrei che fuggivano davanti all'invasione hitleriana. La maggior parte di essi erano infatti accusati sia di aver passato clandestinamente la frontiera, sia di essere fuggiti davanti alle truppe «alleate», sia ancora di essere delle spie dei nazisti. Molti, soprattutto se socialisti, erano fucilati; gli altri condannati dalla N.K.V.D. e avviati verso l'estremo nord siberiano dove infatti su 700.000 detenuti polacchi, 300.000 erano di origine ebrea. Il teste tuttavia precisa che gli ebrei non erano arrestati in quanto tali, ma semplicemente come «sospetti» provenienti dall'Occidente.

Un ingegnere architetto russo

    Nicola Antonoff, di 56 anni, ingegnere architetto, russo, è venuto appositamente da New York a deporre come già il precedente teste Irgnizoff. Egli è già stato due anni fa uno dei testi più importanti al processo Kravchenko.
    Antonoff fu arrestato due volte; condannato a 5 e poi a 10 anni di lavori forzati, è stato in 5 campi ed è stato liberato prima del termine a causa della sua capacità. Infatti cominciò la carriera di detenuto in qualità di semplice manovale e la terminò in qualità di ingegnere capo della centrale elettrica di un cantiere destinato al taglio di un canale dal Baltico al Mar Bianco. Egli ha quindi in 5 anni, dal 1930 al '35, conosciuto tutti i gradi gerarchici dell'amministrazione dei campi.
    Il campo contava 260.000 detenuti quando il teste vi arrivò, più di un milione quando lo lasciò. Il costo della costruzione del canale in vite umane può essere valutato a 700.000, in media 700 al giorno. Convogli quotidiani portavano da mille a millecinquecento nuovi prigionieri il cui regime era particolarmente severo. Le donne, soprattutto quelle che avevano la disgrazia di piacere all'amministrazione della N.K.V.D., vivevano in una condizione particolarmente degradante.
    Su richiesta del tribunale Antonoff passa a descrivere la struttura amministrativa del campo. Si apprende che tutti i tecnici responsabili del compimento del piano erano detenuti; il teste per esempio, aveva ai suoi ordini 5.300 detenuti dei quali 272 aiuto ingegneri. Il sistema di delazione nei campi era molto efficace.
    Il Presidente del tribunale osserva a questo proposito che la libertà di coscienza e di espressione nei campi sovietici è infinitamente minore di quella che i detenuti godevano nei campi nazisti.

Un Comunista bulgaro

    Ivan Minichki, bulgaro, comunista militante che ha studiato alla Accadamia Militare di Mosca, fu arrestato nel 1938 in occasione della grande epurazione e condannato a 8 anni di lavori forzati.
    L'istruzione giudiziaria fu feroce: interrogato durante dieci giorni, talvolta per 24 ore consecutive, era stato ridotto ad una debolezza tale che si vide costretto a firmare l'atto di accusa e a riconoscere, contrariamente alla verità, di aver fatto parte di un gruppo di terroristi.
    Al campo di Gargopol ha conosciuto tredici militanti comunisti bulgari, tra cui una donna. Una particolarità del loro caso fu che questi comunisti bulgari, condannati per i motivi più fantastici, una volta liberati sono stati proposti a importanti posizioni nell'amministrazione della Repubblica popolare bulgara. Anche il teste si vide proporre di riprendere a lavorare per conto del Comintern, ma oramai egli ne aveva abbastanza. Alcuni dei suoi compagni di prigionia, invece, occupano posti di grande importanza come Ferdinando Kozovski presidente del parlamento bulgaro, Assen Grekoff capo di stato maggiore dell'esercito bulgaro e Anton Nedelkoff (alias Volodine), capo del protocollo del ministero degli affari esteri bulgaro e precedentemente ministro plenipotenziario presso il Governo argentino.
    Rousset vuole sottolineare questo fenomeno di «normalizzazione» del sistema concentrazionario in quanto consente di vedere sotto una nuova luce cosa esso rappresenti nello stato sovietico.