Quinta udienza

(mercoledì 23 maggio, ore 10)

Un professore d'Università ucraino

    Primo teste chiamato a deporre è Boris Podoliak di 48 anni, professore di storia della letteratura nella Università di Carcov. È un tipico rappresentante della classe colta ucraina benché figlio di contadini.
    Il teste fu arrestato nel novembre 1935 a Kiev; condannato d'ufficio per pretesa attività antisovietica a cinque anni di detenzione, che passò nel campo di Vorkuta, fu liberato nel 1940 al termine della pena.
    La deposizione verte principalmente sulle condizioni di lavoro nei campi che sono particolarmente dure per gli intellettuali, della cui cultura non si tiene assolutamente conto facendoli lavorare anche come minatori.
    Il teste passa poi a descrivere più particolarmente le condizioni di lavoro nel campo di Vorkuta e ciò senza far ricorso ai suoi appunti, avendo la Corte deliberato di non consentire che i testi si aiutino con scritti.
    La giornata di lavoro è di 10 ore durante i 365 giorni dell'anno, senza alcuna vacanza. La giornata non prevede interruzioni per il pasto ed il cibo viene distribuito alla fine di essa; il pasto consiste in una focaccia che anche i meno delicati non riescono sempre a sopportare.
    I vestiti non sono cambiati che quando quelli che i detenuti portano sono caduti in brandelli. Il teste passa poi a descrivere l'episodio dello sciopero della fame del campo di Vorkuta nell'ottobre 1936. Si trattò di una protesta contro il terrorismo esercitato all'interno del campo dai criminali comuni; ad esso presero parte più di 400 detenuti politici che resistettero per tre mesi e mezzo, fino al febbraio 1937, sino a quando cioè i risultati della fame non si fecero sentire. Centinaia di prigionieri non sopravvissero alla prova. Alla fine del 1937 un'ondata di arresti piombò sul campo e la maggior parte dei detenuti furono condannati ad una ulteriore pena di un anno. Numerosi prigionieri, fra i quali gli istigatori dello sciopero, nella notte memorabile dall'8 al 9 luglio furono fucilati in massa. Queste esecuzioni segnarono definitivamente nella storia dei campi la supremazia incontestata dei criminali comuni sui detenuti politici.
    Il teste parla poi dei numerosi casi di pazzia dovuti al terrore ispirato nei prigionieri ed infatti solo chi abbia i nervi particolarmente agguerriti può resistere a quelle condizioni psicologiche e inorali.
    Prima di lasciare la prigione di Jaroslav, dove il teste fu trasferito all'atto della liberazione, egli incontrò centinaia di soldati dell'armata rossa che la Finlandia aveva scambiato coi prigionieri finlandesi. Tutti i militari sovietici scambiati a questo modo furono immediatamente condannati secondo il loro grado: gli ufficiali superiori alla pena di morte, gli ufficiali subalterni e i soldati a 8 o 10 anni di concentramento. Secondo le leggi sovietiche essi, piuttosto che lasciarsi prender prigionieri, avrebbero dovuto uccidersi. Non avendolo fatto essi erano passibili delle più gravi pene.

Un operaio sovietico

    È già mezzogiorno quando viene introdotto il secondo teste Stefan Beketoff, di 28 anni, nato a Leningrado, fabbro ferraio e figlio di operai.
    Egli faceva parte di una organizzazione paramilitare legale e, insieme ad alcuni compagni, rubò tre fucili di piccolo calibro. Accusati di furto furono tutti condannati a tre anni di detenzione nei penitenziari minorili e inviati nella colonia penitenziaria di Svergloss.
    Nel 1943 il teste fu arruolato in un battaglione disciplinare dell'armata rossa. Fu fatto prigioniero nei Balcani ma riuscì a fuggire ed a raggiungere i partigiani di Graga Mikhailovitch; ripreso passò cinque anni nei campi di concentramento jugoslavi.
    Tornando ai penitenziari sovietici il teste racconta la brutalità della «rieducazione» cui erano sottoposti dai guardiani. Durante una protesta collettiva sette giovani furono fucilati immediatamente ed egli stesso rinchiuso in una camicia di forza ed appeso ogni giorno per sei ore al soffitto. Il resto del tempo veniva rinchiuso in una nicchia di cemento molto stretta e guarnita di triangoli di ferro che impedivano sia di stendersi che di sedersi. Egli tentò di uccidersi senza riuscirvi, ma molti dei suoi compagni sono morti in seguito alle torture e ai colpi ricevuti, oppure di debolezza e di fame. Egli ha perso otto denti in seguito ad una bastonata.
    Il teste ha sentito dire che il trattamento nei campi per ragazze era ancora più feroce; le visite ed i pacchi erano proibiti; si potevano ricevere lettere ma non rispondervi; in caso di morte dei detenuti le famiglie non venivano informate.
    David Rousset chiede alla Corte che il teste stabilisca dei confronti tra i campi jugoslavi e quelli sovietici, ma il Presidente del Tribunale si oppone alla richiesta che esce dai limiti dell'attuale processo tendente ad appurare il solo regime dei campi di concentramento sovietici e, malgrado le insistenze di David Rousset, non consente un simile allargamento del dibattito.