Di che si tratta

    Il 12 novembre 1949 lo scrittore francese David Rousset, ex comunista e reduce dai campi di concentramento nazisti, pubblicò sul «Figaro Litteraire» una lettera aperta in cui denunziava al mondo intero il metodo dei «campi di concentramento» e, propugnava una inchiesta internazionale in tutti i paesi ove ne esistessero, specialmente in Russia, Jugoslavia e Spagna.
    Il motivo che lo aveva spinto a questa pubblica denuncia non era motivo politico; non un atto d'accusa diretto contro l'URSS; ma un grido umano d'orrore e di indignazione per la inumana disavventura di milioni di uomini che soffrono cose indicibili. Era comunque naturale che la inchiesta iniziale si orientasse d'istinto verso l’URSS: il sipario di ferro col suo controllo minuziosissimo e la impossibilità di visitare liberamente il territorio dell’URSS legittimava tale inizio e quasi confermava lugubremente le mille voci che un po’ dovunque si levavano ad accusare.
    Le successive testimonianze e i documenti che David Rousset pubblicò sui «campi di lavoro» in Russia provocarono il risentimento del settimanale comunista francese «Lettres Françaises». È questo un noto settimanale che si butta sempre a capofitto quando si tratta di difendere la Russia. Già condannato al famoso processo Kravchenko, tale settimanale uscì in un violento editoriale contro David Rousset accusandolo di avere inventati o falsificati i documenti in parola. Ne nacque così un nuovo processo: David Rousset infatti intentò querela al settimanale con ampia facoltà di prova. Fu un processo a sedute settimanali e anche tumultuose; iniziatosi verso la fine del 1950 a Parigi (esattamente nella stessa aula ove s'era svolto il processo Kravchenko) si concluse la prima decade del gennaio 1951 con una nuova condanna di «Lettres Françaises».
    Durante il processo la sfilata dei testi sviluppò un impressionante documentario delle inaudite sofferenze, del numero dei campi, dei milioni di uomini che vi crepavano di fame e di stenti. Si toccarono anche i metodi in uso in tali campi.
    Furono comunque elementi non ancora sufficienti a cogliere la natura strutturale dei detti campi in tutto il suo angoscioso significato.
    Frattanto la straordinaria risonanza della lettera che David Ronsset aveva pubblicata sul «Figaro Litteraire» aveva condotto alla costituzione di una Commissione Internazionale contro i campi di concentramento (C.I.C.R.C.), cui oltre centomila ex deportati in tutti i campi di concentramento elevati dalla guerra donarono la loro adesione.
    Lo spiraglio di luce gettato dal processo «David Rousset - Lettres Françaises» sulla notte dei «campi russi» spinse a continuare la inchiesta.
    Il C.I.C.R.C, chiese subito al governo sovietico di potere svolgere entro i suoi confini una inchiesta sul regime di vita dei campi di «rieducazione» allo scopo di appurare quanto di vero e di falso vi sia sul preteso regime di terrore che in esso regnerebbe. La richiesta venne respinta.
    In sostanza, preso atto che i campi di rieducazione esistono, restava da stabilire:
    1° - quanti campi di «rieducazione» vi sono in Russia e quante persone vi sono internate;
    2° - quale legislazione regolamenta l'assegnazione a tali campi e quali siano i motivi per i quali può essere comminata tale pena;
    3° - quale è il regime di vita in tali campi ed in particolare quale il nutrimento e il salario che i detenuti ricevono.
    Dal governo sovietico non si è mai riusciti ad avere una risposta a queste domande e le risposte, date sin'ora dai pochi evasi non consentono un quadro completo della situazione sia perché limitate alla loro piccola esperienza personale, sia perché provenienti in massima parte da polacchi e tedeschi o da anticomunisti.
    Il C.I.C.R.C. ha allora pensato di celebrare un grande processo nel corso del quale venissero chiamati a deporre tutti coloro che potessero fornire informazioni sul regime dei campi sovietici e consentissero perciò ad una corte internazionale di rispondere ai sopraddetti quesiti e di esprimere un giudizio complessivo.
    Il C.I.C.R.C. ha perciò nominato una Corte ed ha chiamato a farvi parte sette giudici rappresentanti tutti i paesi aderenti ad esso e di tutte le tendenze politiche.

Il Tribunale e la Corte

    Presidente della Corte è stato nominato il professore francese Balachowsky; giudici il belga dottor G. André, l'olandese Stomps, la francese signorina G. Tillion, il tedesco Franz Ballhorn, il belga Martin Dehousse e lo spagnolo José Domenech.
    La Corte è assistita da quattro esperti di Diritto Internazionale. L'accusa è portata da David Rousset, assistito dall'avvocato francese Theodore Bernard e dall'avvocato belga de Beer De Laere. Tra i testimoni d'accusa sono tutti coloro dei quali da qualche anno si sono potuti leggere i racconti orribili sui campi sovietici: la signora Euber Neumann, Elanor Lipper, Jules Marjoline e altri.
    Per celebrare il processo si è scelto, a Bruxelles, un'aula del Palazzo del Conte d’Egmond, di severa architettura cinquecentesca. (Il Conte d’Egmond fu decapitato dal Duca d'Alba per avere difeso i diritti umani della sua gente).