Parla la mamma

    «Mi parli di Cesarino», chiedo alla mamma. Essa, ancora con gli occhi infossati per le lacrime versate, mi guarda e volentieri apre tutto il suo cuore sul bimbo adorato.
    Sono istanti per una madre quelli del dolore sulla bara della creatura che si ripercuotono su tutta una vita che Dio soltanto sa alleviare e purificare. Essa però, con fede granitica, ha accettato la sventura ed ora tiene accesa la fiamma di tanto prezioso ricordo perchè lo si annoveri a retaggio di salvezza per le anime traviate.
    Ritorna col pensiero all'età della culla del suo bimbo e racconta:
    «Cesarino venne alla luce alle ore 22 dell’8 agosto 1934 ed al mattino seguente veniva portato al Fonte Battesimale. Per una grazia speciale della Madonna ebbe salva la vita, perchè nei primi venti giorni per un disturbo sconosciuto, rifiutava il latte materno.
    Circa gli otto mesi cominciò a muovere i primi passi con frequenti ruzzoloni per terra, sicchè quasi di continuo doveva portare cerotti e fasce nella testa e nelle gambe...A tre anni
    Quando lo portai a circa 4 anni all'asilo parrocchiale, mi si dimostrò molto attaccato: infatti, allorchè le Suore lo accoglievano con tanti complimenti per invogliarlo, non si voleva distaccare da me e piangeva dirottamente tanto che dovetti sospendere di mandarlo all'asilo».
    Via via che la discussione si inoltra su tutti i particolari della vita del Nostro, essa ha sospiri di nostalgia e di tenerezza.
    La scuola, il soggiorno al mare nei periodi estivi, le passeggiate col piccolo, le scene familiari nella intimità di qualche ricorrenza, tutto le si presenta quasi come una rimembranza lontana, sfuggita come d'incanto al suo cuore materno.
    Nel Natale del 1946 Cesarino così Le scriveva:

    «Cara Mamma,
    oggi è Natale. In questo Santo giorno di pace e di amore io sento il desiderio di dirti che ti voglio tanto bene.
    Se anche qualche volta sono un po' biricchino, capisco i sacrifici che tu hai fatto per me e Paolino e come la tua vita sia tutta dedicata a noi.
    Vedo quanto sei buona e quando sarò grande cercherò di dimostrare la mia riconoscenza, ricompensando i sacrifici che compi continuamente. Per ora non posso fare altro che promettere di essere sempre più buono, di studiare e di ottenere un buon profitto a scuola.
    Questa mattina in Chiesa, ho pregato Gesù che ti faccia vivere tanti anni ancora serena e felice.
    Desidero che gli auguri più belli che oggi ricevi siano i miei, perchè te li porgo con tutto il mio cuore.
    Un forte abbraccio dal tuo Cesarino».

    Al babbo, in occasione dello stesso Natale, scrive in questi termini:

    «Caro Babbo,
    In questo lieto giorno in cui tutti si riuniscono nella dolce pace e serenità della casa, mentre siamo qui insieme, uniti da un grande affetto, sento il desiderio di dirti che ti voglio tanto bene.
    Tu fai molti sacrifici per noi bimbi, lavori tutto il giorno e non conosci riposo purchè non ci manchi nulla. Ti sono grato di tutto quello che fai e del bene che ci vuoi, e quando sarò grande verrò io al posto tuo, per farti riposare.
    Per ora non posso fare altro che prometterti di diventare un bambino bravo e buono perchè voglio la tua consolazione e per l'esempio che devo dare al mio fratellino.
    Ho pregato Gesù Bambino che ti aiuti sempre, ti dia la serenità e la soddisfazione nel tuo lavoro.
    Ti porgo molti auguri di buon Natale e saluti affettuosi dal tuo Cesarino».

A Cattolica nell'estate 1947
    Le ultime vacanze estive le passammo a Cattolica. E sarebbe stato un soggiorno lieto e tranquillo se il costante pensiero dell'esame non ci fosse tornato spesso alla mente.
    Cesarino era sempre vicino a me, al fratellino e alla nonna. La sua gioiosa compagnia rallegrava il mio cuore nelle gite sul mare e al castello di Gradara. Salendo vedevamo il mare tanto calmo e tranquillo quasi rispecchiasse la nostra felicità esultante.
    Ma si dovette presto far ritorno a Bologna per la preparazione imminente all'esame.
    Mi misi in contatto con l'Insegnante della scuola che mi indicò per le ripetizioni un professore di sua conoscenza, che purtroppo non potè, per molteplici altri impegni, dare tutta l'assistenza necessaria per il bambino. Dovetti per questo pensare, non senza affanno, ad una migliore sistemazione.
    Cesarino trovandosi per la strada si imbattè con il Sacerdote D. Guerrino Ghelfi, lo invitò a salire in casa. A lui manifestai la mia preoccupazione ed egli si offerse a farlo andare ogni giorno a Ceretolo per seguirlo personalmente nella preparazione.
    La mano della Divina Provvidenza così guidò gli avvenimenti fino al loro doloroso termine!
    Cesarino riprese la sua preparazione sotto la guida del Sacerdote che affettuosamente venerava.
    Non mancò durante il periodo di lavoro e di ansia per lui e per me un momento di sosta spirituale nei giorni delle sante Missioni indette nella Cattedrale.
    Forse così, nell'udire la parola piena di Fede dei Missionari, sotto lo sguardo materno della Vergine di S.Luca, esposta solennemente nel Tempio, il buon Dio preparò il mio e il suo spirito agli imperscrutabili disegni suoi.
    Partecipammo con fede alle feste della venerata Immagine della Madonna e l'accompagnammo nella trionfale processione notturna dalla Cattedrale alla Certosa, unendo le nostre preghiere a quelle di migliaia di fedeli che la esaltavano.
    Ci eravamo prima accostati alla Mensa Eucaristica insieme, durante la S. Messa di mezzanotte celebrata dall'Em.mo Cardinale Arcivescovo.
    Così le medesime sacre mani che lo cibarono per la prima volta del Pane degli Angeli, depositarono anche per l' ultima sul suo labbro l'Ostia Santa.
    Dolce Viatico ricevuto sotto lo sguardo della Vergine Santissima. Il mio cuore di mamma aveva spesso consacrato a Lei i miei tesori più cari e la sera del suo trionfo la Mamma Celeste certo guardò con predilezione Cesarino sapendolo presto suo per sempre, esaudendo così la mia preghiera. E colse quel puro fiore prima che la malizia degli uomini lo contaminasse.
    Anche il timore dell'esame era quasi svanito nella certezza dell'aiuto della Madonna. La, prova riuscì bene e me lo disse il suo viso sereno quando, a mezzogiorno del 20 settembre, fu di ritorno dall'esame.
    Alla mia domanda come era andato l'esame rispose: «Mamma, mi pare di avere fatto bene!».
    Poi subito con insistenza mi chiese che lo lasciassi andare a Ceretolo. Gli risposi con diniego, dato che ormai l'esame lo aveva già fatto. Ma prontamente egli mi rispose:
    «Ho ancora l'esame orale. Don Guerrino mi prepara bene!».
    Ed io alla fine accondiscesi.
    «Che gioia grande fu per te sentire che ti lasciavo andare. Mio angelo indimenticabile, chi suggerì a te la tua insistenza insolita? Non pensavi che quello era l'ultimo addio, l'ultimo abbraccio, gli ultimi baci che mi hai dato, l'ultimo saluto? Mai più la tua mamma pensava in quell'istante che mai più ti avrebbe baciato. Tu mi dicesti che saresti tornato alle sette di sera. Io credevo di intuire col cuore materno e voleva farti contento. Stetti a guardare mentre scendevi le scale e vedendoti salutare il fratellino Paolo e il tuo compagno Petronio che giocavano in terrazza, guardandoti scendere le scale, ti voltasti indietro e ci scambiammo l'ultimo bacio, il bacio d'addio. Io ti dissi ancora: «Perchè non ti fermi con loro? ti divertiresti ugualmente!».
    Tu allora, mi rispondesti: «Nò, mamma non ritirare la parola data, lasciami andare a Ceretolo».
    E stetti ancora a guardarti e ci mandammo l'ultimo bacio.
    Alle sette di sera l'aspettavo a casa, ma quando apro la porta, dopo aver sentito suonare il campanello, vedo con meraviglia Don Guerrino e subito gli chiedo: «E Cesarino dov'è?».
    «Senta, Signora, non ha voluto venire: vuole per forza rimanere a Ceretolo».
    «Ma perchè non l'ha preso a casa per forza?».
    «Vuole essere pronto domattina presto per venire in città con i miei giovani ed Aspiranti alla grande manifestazione della Gioventù di Azione Cattolica. Ha un desiderio così grande di partecipare al Convegno che le ore gli sembrano tanto lente. Ora è là in mezzo agli Aspiranti ai quali sta spiegando l'importanza dell'avvenimento. Anzi mi ha pregato di portargli il tesserino d'ingresso all'Ippodromo che tiene dentro alla borsa dei suoi libri».
    Sentendo così, mio marito ed io non avemmo nulla in contrario, perchè conoscevamo bene l'entusiasmo che animava il bimbo in tali circostanze. Consegnai a Don Guerrino il vestito nuovo, la tessera d'ingresso.
    Alla sera mentre stavamo in camera da pranzo, udimmo un colpo insolito di scoppio che aumentò il nostro turbamento. La signora di casa ove eravamo sfollati disse: sarà stato l'ascensore.
    Verso mezzanotte suona e risuona il campanello. Mio marito va ad aprire e ritorna preoccupato:
    «Hanno messo una bomba nella Canonica di Ceretolo. Cesarino è ferito. Andiamo subito!».
    Mi pareva di venir meno per lo spavento ma sopratutto per l'intima ribellione che provavo nel mio cuore e in tutto il mio essere.
    Alle ripetute interrogazioni l'autista dava risposte incomplete, così che il mio spavento arrivava al parossismo.
    «Ma se è ferito, perchè andiamo a Ceretolo e non all'Ospedale?».
    Nessuno aveva pronta una risposta.
    Prima ancora che la macchina si fermasse, io ero già in terra per arrivare più in fretta ed entrare subito nella Canonica. Mio marito mi trattenne. Poi la folla fece largo per lasciarmi passare; ma altri si misero su miei passi, ripetendomi la frase: «Lo hanno portato all'ospedale!».
    «Fatemi vedere almeno il luogo dove è rimasto ferito!».
    Ed entrammo in casa. Infilai uno stretto corridoio donde mi fu possibile tra la penombra ed il disordine vedere il terribile massacro.
    Ma non vidi in mezzo a quelle macerie il tuo corpo martoriato, o Cesarino!
    Risalimmo in macchina mentre ancora nel mio cuore era tenue la speranza di poterti rivedere all'ospedale. Ma la macchina si fermò davanti alla mia casa con la scusa formulata lì per lì: che i medici non permettono le visite fino a giorno fatto».
    La notte fu terribile per me da passare, non sapendo la verità sulla sua sorte. Potete immaginare che cosa ho detto, e quante lacrime ho versato. Ho parlato alle mamme, a tutti i Santi guardando alla sua immagine sorridente.
    Al mattino pensavo di poterlo vedere all'ospedale: ma quando vidi che la macchina prendeva la strada di Ceretolo, intuii la tragica realtà.
    «Allora è morto!».
    E la ragione cominciò a sorgere tra le nebbie della fantasia. Mi pareva che nel mio cuore ci fosse posto solo per la più nera disperazione: ma fu per poco. Le grazie che io avevo chiesto alla Madonna di S.Luca, vennero ad alimentare la mia vacillante fede. In Canonica c'erano allora le Autorità, che procedevano agli accertamenti di legge. Gli accertamenti del cuore non ebbero valore e ragione.
    Le Autorità mi fecero ritornare in macchina e rifare la strada di Bologna. L'Autorità non è cattiva, e se comanda in quella maniera, essa è ispirata a bontà, e vuole impedire un male maggiore.
    Ma quanto strazio nel mio cuore per non poter ricomporre io quelle membra straziate e baciare quelle sacre ferite!
    Ritornammo nel pomeriggio. Cesarino era ricomposto: ma non vidi la sua faccia riposante nella pace del sonno eterno. Solo una porzione di guancia era rimasta scoperta. Io potei baciare quella. E allora le mie lacrime cessarono: mi parve di baciare le reliquie di un Martire, di un Tarcisio, che io stessa avevo cresciuto alla pietà e alla innocenza.
    Durante la giornata della Domenica, chi seppe dirmi parole di Fede, fu S. E. Monsignor Danio Bolognini, che insieme all'Assistente Ecclesiastico della G.I.A.C., ci onorò di una sua visita e di una Speciale Benedizione.
    Il giorno dopo ritornammo a Ceretolo per i funerali.
    Ancora in lontananza vidi una folla immensa che, attorno alla Chiesa attendeva in silenzio il momento.
    Stetti accanto alla piccola bara per passare gli ultimi istanti con il mio bimbo.
    Prima che chiudessero la bara, il Dott. Carlo Salizzoni, Presidente della G.I.A.C., con nobilissimo pensiero si chinò sul mio piccino e, levatosi dall'occhiello il distintivo dell'Azione Cattolica ne ornò la giacca di Cesarino dicendo: «Tu ne sei ben degno; col tuo sangue hai contribuito al nostro trionfo».
    Dopo elevate parole di S. E. Mons. Vescovo, il corteo imponente si mosse dalla Chiesa di Ceretolo fino alla «Croce» di Casalecchio.
    Dissero commosse parole di estremo saluto il Dott. Carlo Salizzoni e un suo compagno di scuola.
    Io seguivo il corteo come la vedova di Naim, aspettando il Nazzareno che mi fermasse e dicesse: «Non piangere!» e sentivo nel mio cuore il Suo richiamo che io non portavo al cimitero che un caro pegno, ma il Suo spirito era già glorioso nel Cielo.
    Mi fermavo davanti a quella bara che racchiudeva quelle spoglie mortali a me tanto care e osservai quella piccola croce che la sovrastava. Ascoltavo quello che in nome di Essa la mia fede mi suggeriva:
    «La vita è un dovere, un duro dovere, e alle volte anche un sacrificio. Il tuo figliuolo l'ha saputo compiere fino alla completa dedizione di sè al Signore!».
    Quella croce mi ha fatto sentire al vivo le belle parole della liturgia: «La vita non gli è stata tolta ma mutata».
    E nel tempo stesso mi pareva che il mio bambino, rompendo il silenzio glaciale, mi dicesse: con S. Paolo: «Mamma tu piangi? ma non devi piangere come quelli che non hanno speranza!».
    Oh Cesarino caro! Sei cresciuto più di tua mamma, senza avere vent'anni. Tutti ti conoscono a Bologna, e in Italia: ti conosceranno... anche di più. Sei diventato un modello, un ideale a tua mamma stessa; tu sarai la mia forza, il mio sostegno, la mia speranza, tu sei l'oggetto del mio più puro amore.
    Cesarino, spesso io piango. Ma pensando alle mamme di quelli che ti hanno ucciso — e son giovani quelli che ti hanno ucciso — io mi sento più contenta di essere mamma che piange un figlio ucciso, piuttosto che essere mamma che gode la mercede del delitto.
    Tu cantavi, ed essi tramavano.
    Essi sono nel rimorso, Tu nella gloria».