Si sottoporrebbe ad un lavoro improbo chi volesse raccogliere tutta la serie delle azioni commesse da elementi comunisti in odio alla religione o per disprezzo della Chiesa Cattolica. Troppe ne ha registrate la cronaca in questi ultimi anni. Quasi non ci si sa capacitare come simili cose siano avvenute in una nazione cattolica come l'Italia. Da giornali quotidiani o settimanali e da altre pubblicazioni degne di fede abbiamo compilato la raccolta dei fatti che seguono.
Ci spiace di aver dovuto stavolta rivolgerci a fonti non comuniste. È infatti comprensibile come la stampa del P.C.I. non abbia riportato affatto o abbia riferito in modo del tutto diverso fatti del genere.
Del materiale raccolto pubblichiamo solo una piccola parte, per non ingrossare eccessivamente l'opuscolo. Per la stessa ragione non indichiamo ogni volta la fonte donde i fatti sono tratti. Essa è comunque a disposizione per chi la richiedesse.
L'educazione antireligiosa che è data agli iscritti al P.C.I. mira a demolire l'oggetto stesso della fede. Ciò è confermato dagli atti compiuti in disprezzo delle tradizioni religiose e in odio alla fede ed al culto cristiano.
a) Profanazione detta SS. Eucaristia.
Verso la fine del maggio 1946, a Genova, dei ladri sacrileghi scassinarono il tabernacolo della Chiesa di Montesignano, rubando la Pisside. Lasciarono su l'altare una serie di cartoline di propaganda comunista. Una di esse portava scritto: «L'avete portato in processione. Si difenda ora se può. - Una donna comunista».
La mattina del 16 gennaio 1949, il Parroco di Pale (Foligno), Don Amerigo Mancinelli, accingendosi ad aprire la porticina del tabernacolo, trovava il ciborio e gli arredi sacri imbrattati e profanati. Pochi giorni prima su lo stesso altare erano state trovate scritte d'intonazione comunista.
L’Ansa, in data 8 aprile 1950, dava notizia che a Chienti (Foggia) un certo Nicola Coppola, comunista, accostandosi alla S. Mensa, gettava a terra la Particola, calpestandola.
A Casola Canina (Imola), paese ove la settarietà antireligiosa dei comunisti si era manifestata più volte, nella notte del 23 novembre 1950, veniva manomesso il Tabernacolo, le pissidi asportate e le ostie sparse su l'altare.
b) Parodia di riti religiosi.
L'Osservatore Romano della Domenica (5-3-1950) riferiva di aver avuto notizia da un paesello del Senese di un veglione carnevalesco, nel quale fu organizzata una infame parodia della Messa. La cronaca aggiunge notizia di un precedente non meno ripugnante. Nelle feste natalizie, una messa «consimile» fu celebrata dagli stessi individui, in occasione della morte di un caporione rosso del luogo. Ai funerali, cui non partecipò il sacerdote, fu invitata una ragazza, la quale provvide agli uffici sacri, intonando alternativamente il «De profundis» e «Bandiera rossa».
Due fatti di una volgarità non comune sono riferiti dallo stesso Osservatore Romano della Domenica, in data 2-6-46:
A S. Giovanni in Persiceto, in occasione di una vittoria elettorale rossa, si ebbe un corteo nel quale figurava un frate che nel retro (bel posto!) della tonaca portava disegnate le insegne del partito. Agitava costui un rosario e sputava invettive e sozzure.
In un paesello emiliano una donna acconciata più o meno con abiti monacali, faceva un giro di giubilo, sempre per la vittoria elettorale, a cavalcioni ad un asino, col rosario in mano e gridava bestemmie ad ogni posta. Si stenta a credere che si possa scendere sì in basso. E ripugna aggiungere un particolare riferito da un corrispondente: alla coda dell'asino sarebbe stato appeso un Crocefisso!
c) Provocazioni durante funzioni religiose.
Una gazzarra sacrilega fu compiuta il 27 marzo 1948 a Vignola (Modena). Verso le 17,30 del sabato santo, un gruppo di giovani comunisti, con nastrini rossi e distintivi del P.C.I. all'occhiello, entravano nella Chiesa dei PP. Cappuccini, e con un fare provocante si distribuivano ai confessionali. A turno iniziavano una sacrilega confessione con l'intento evidente di creare del tumulto. Dopo di che si alzavano ed incominciavano a bestemmiare contro la Chiesa ed il Clero. Ai rimproveri dei Padri rispondevano con nuove bestemmie e assicurando: «ci rivedremo il 18 aprile!».
Nel maggio 1948 per «turbamento di funzione di culto» (art. 633) fu sospeso ed arrestato il sindaco comunista di Ascoli Satriano (Foggia), compagno Curcelli.
Il pretore di Carbonia (Cagliari), in data 18 ottobre 1950, condanna a dieci mesi di reclusione il comunista Giovanni Puddu di Bacu Abis, il quale, in seguito al rifiuto del Parroco di accettarlo quale padrino, aveva profanato il battistero e sputato su l'altare maggiore della Chiesa.
A Modena, il 31 dicembre 1948, alcuni malviventi avvinazzati, al canto di inni marxisti, compirono gesta criminali in vari punti della città. Un mascalzone, penetrato in una Chiesa, si abbandonava ad atti osceni e feriva con una sassata il Sacerdote officiante, mentre altri fracassavano due vetrate del Duomo.
A Roma, nel popolare quartiere del Testaccio, verso la metà del marzo 1948, mentre la Chiesa era gremita di popolo, un uomo, dal fare truce e minaccioso, si avvicinava al Parroco e, prendendolo a calci, gridava: «Attenti! La Chiesa è minata! Viene Baffone il 18 aprile!».
La notte di Natale del 1946, ad Imperia, nella Chiesa della Confraternita di S. Giovanni, durante la Messa di mezzanotte, una bomba al tritolo, fatta scoppiare in coro, danneggiò l'abside e l'altar maggiore.
Il 18 maggio 1947, durante il Congresso Eucaristico di Reggio Emilia, a Porta Castello, una carica di tritolo fortunatamente scoppiò in anticipo, prima dell'arrivo della processione. Nella stessa serata, i compagni, protetti dalle tenebre, scagliarono sassi ed ingiurie contro i convogli dei fedeli che ritornavano ai loro paesi.
d) Qualificata settatietà antireligiosa.
Un fatto che è stato largamente divulgato dalla stampa, anche fuori d'Italia. Riguarda l'ex-sindaco comunista di Cave (Roma), ed avvenne nel marzo del 1949. Costui rifiutò alla sua vecchia madre i conforti religiosi, da lei richiesti in punto di morte. La povera donna, sentendosi vicina al trapasso, mandava a chiamare un sacerdote; ma questi si vedeva sbarrare la porta dall'attivista, il quale proclamava che preti non ne dovevano entrare in casa sua per nessuna ragione. Riuscita vana ogni insistenza, il sacerdote era costretto a recitare le preghiere pei moribondi su la scala, mentre la donna spirava.
Come oltraggio alle tradizioni religiose cittadine, si ricordi il gesto della Giunta social-comunista di Cesena (Forlì).
È uso secolare in quella città che il campanone della torre civica suoni a gloria nella festa della Madonna del Popolo. Per la prima volta, a memoria d’uomo, nel 1946, nel giorno lieto, il campanone, per ordine dell’amministrazione comunale, non suonò a festa.
La giunta municipale social-comunista di Imola, con il Sindaco compagno Vespignani alla testa, ha rifiutato l’uso del balcone del Municipio per la benedizione con la venerata immagine della Madonna del Piratello, in occasione della «Peregrinatio Maria».
L’atto ha avuto luogo il 22 ottobre 1950.
Atti di volgari offese al sentimento religioso popolare e chiare dimostrazioni dell’anticristianesimo del P.C.I. si sono avute in occasione delle elezioni amministrative del 1951.
A Torino, alcuni incaricati del Comune, ligi alla linea del Partito nel procedere all’arredamento di una sezione elettorale in Via Manara, staccarono dalla parete e gettarono nel cestino il Crocifisso ed un quadro di S. Giovanni Bosco.
A Godi (Piacenza), il 10 Giugno 1951, nell'aula scolastica attrezzata per le elezioni, un assistente al seggio, comunista, protesta perchè ad una parete è appeso un quadro del S. Cuore, che costituirebbe propaganda elettorale, e cerca di farlo togliere. Poiché nessuno si presta, egli stesso asporta il quadro.
Di maggior rilievo quanto è avvenuto a Cantiano (Pesare) nel settembre 1948. In una adunanza del Consiglio Comunale fu fatta la proposta di rimettere il Crocefìsso nella rinnovata aula. Il consigliere socialista Panichi domandò che la votazione avvenisse per alzata di mano. Su undici consiglieri social-comunisti ben nove si dimostrarono favorevoli. Ma il consigliere Garolfì domandava la votazione a scrutinio segreto. Si ebbe così il seguente risultato: sette contrari, quattro favorevoli. E il Crocifisso non fu rimesso.
In occasione delle ultime elezioni politiche, il 7 Giugno 1953, a Perticara (Pesaro) il rappresentante della lista comunista, Gori Domenico è stato denunciato all’autorità giudiziaria per avere, durante la costituzione dell’ufficio elettorale, asportato il Crocifisso esistente nel locale, collocandolo nell’attiguo gabinetto di decenza.
Esempio di più grave faziosità antireligiosa si è verifìcato in detta occasione a Bologna. Il Comune, presieduto dal compagno Dozza, ha dato disposizioni, a un tempo ridicole e blasfeme, per quello che riguardava l’allestimento dei seggi elettorali. Ha cioè ordinato che in tutti i seggi approntati presso aule scolastiche venisse tolto dalla parete il Crocifisso, come facente parte delle «suppellettili inutili».
Neppure di fronte alla materna bontà della Vergine si è arrestato l’odio antireligioso, appreso alla scuola del comunismo. E la cosa è tanto più grave in quanto raramente, per il passato, fra il popolo italiano si erano registrati fatti del genere.
L'episodio che ha destato maggior raccapriccio è senza dubbio quello che si riallaccia alla Madonna di Bareggio (Milano). Grave soprattutto per la satanica ostinazione dei sacrileghi autori. I fatti sono abbastanza noti.
La sera del 31 Luglio 1948 al passaggio della Madonna Pellegrina una bomba fu lanciata contro la processione. Rimasero ferite molte bimbe e fu colpita anche la statua della Vergine. Ad un anno di distanza, la notte del 27 agosto 1949, vandali furiosi distrassero un quadro popolaresco raffigurante la scena dello scoppio della bomba, quadro che era stato fissato ad un paletto sul luogo dell’attentato. Costruita dalla pietà popolare una edicola, la notte sul 29 giugno 1951 la cappella fu devastata e la statua della Madonna venne profanata con sacrileghe mutilazioni. Infine, il 3 gennaio 1952, ancora una volta le mani di un bruto sfondarono la vetrinetta della nicchia superiore, fu asportata la statuetta di bronzo della Vergine e spezzata la lampada votiva. Sono indiziati, come sospetti autori dei ripetuti atti sacrileghi, elementi del luogo che appartengono a partiti di sinistra. Tre di essi sono stati recentemente rinviati al giudizio del Tribunale.
La notte del 7 gennaio 1950 a Roma è stata sfregiata una edicola mariana, posta in via Monte del Gallo. Le indagini hanno individuato i malviventi secondo queste notizie comunicate dalla Questura:
«Verso le ore 2 del 7 gennaio il Piersanti, che è simpatizzante per i partiti di sinistra, in compagnia di tali Plinio Gregori, di 44 anni, muratore, abitante in Via Largo Temone, e Florindo Senesi, di 55 anni, abitante in Via Monte del Gallo, ambedue iscritti a partiti di sinistra, era da poco uscito da un'osteria, quando, strappato di mano il bastone al Senesi, si avvicinava all’edicola, infrangendo la lampadina, danneggiando l'immagine e imbrattandola di cera». Questa versione è stata data dal Gregori e dal Senesi.
A Calci (Pisa) nella notte di Natale del 1946, un gruppo di giovinastri, fra le altre prodezze, con canti osceni, staccata un’immagine della Madonna dalla sua edicola, la infilzarono ad un’asta della cancellata.
Se non lo riferisse il settimanale pisano «Vita nova» (25 dicembre 1948), non crederemmo possibile che in una città gentilissima come Pisa delle donne... gentili abbiano potuto compiere una canagliata simile.
Nello stabilimento della «Fontina» c’è un grande salone ad uso di refettorio per le operaie del cotonificio. Il Parroco di Ghezzano, d'accordo con la Direzione, aveva proposto di collocare nel centro una piccola statua della Madonna, e alla quindicina venne richiesta una offerta minima per realizzare questa iniziativa. Le operaie si ribellarono come tante furie con fischi e bestemmie, e qualcuna gridò: «Chi vuol Cristo ce lo metta! Per Stalin si dà anche duecento lire; per la Madonna non si dà nulla».
Il settimanale di Padova «La difesa del popolo» ha dato relazione della festa dell'«Unità», svoltasi a Ponte di Brenta nell'autunno del 1949. Fra l'altre cose, anche questo particolare. Una «compagna» vestita a rosso, con due paggi ai lati, atteggiandosi a Madonna veniva portata su di una barella per parodiare il Grande Passaggio della Vergine, mentre l’altoparlante di tratto in tratto ammoniva: «Non credete ai miracoli della Madonna Pellegrina».
Nel Gennaio del 1949 a Genova sette comunisti aggredivano e percuotevano l’operaio Giorgio Cereghino, perchè aveva fatto venire la Madonna Pellegrina nel loro stabilimento.
Nel pomeriggio dell’11 luglio 1951, nel fondo Lazzeri (Borgo Lodi) della parrocchia di Runco, comune di Portomaggiore (Ferrara), mentre 35 operai attendevano alla trebbiatura, fu trovato, appeso ad un albero, un arazzo raffigurante la Madonna col Bambino.
Verso la fine del lavoro, un operaio inforcò con un tridente l'immagine sacra, che, tra lazzi, canti e bestemmie, fu portata in sacrilega processione attraverso l’aia, e poi issata su la macchina trebbiatrice. Un altro operaio, acceso comunista, prese l'immagine e gridando: «la Madonna è sparita; ha fatto il miracolo; non c'è più», aggiungendo atti osceni, la scaraventò nella bocca della trebbiatrice.
Il 2 febbraio 1952, festa della Purificazione, il contadino Chiericati Adelmo ritrovava la S. Immagine, un po’ accartocciata ma illesa, in mezzo ad una balla di paglia.
Il 10 dello stesso mese, con solenne funzione riparatrice il quadro della Vergine fu portato nella Chiesa parrocchiale ed esposto alla venerazione dei fedeli.
Che i «veri» comunisti nutrano maggior venerazione per i loro Capi che per la Vergine lo dimostra quanto è avvenuto ad Onfiano (Reggio Emilia) nel 1948. Mentre per le vie centrali passava la Madonna Pellegrina e tutto il paese brillava di luci e di festoni, i dirigenti del partito esposero in luoghi centrali i ritratti di Stalin, Secchia, Longo, Togliatti ecc..., adornati di fiori e di lumi.
Poveretti!! Quando il loro cuore avrà bisogno di conforto, invocheranno Stalin? O l'anima di Secchia?
L’aspetto più appariscente e più ordinario dell’odio antireligioso che anima i comunisti si manifesta senza dubbio nella lotta contro il Romano Pontefice e le Gerarchie Ecclesiastiche. È la linea seguita da tutti i persecutori: circondare di sfiducia e di disprezzo i ministri della religione per poi rigettare l'idea che essi difendono. Il comunismo italiano, a questo riguardo, ha cercato di evitare gli errori dei movimenti atei che l'han preceduto: come direttiva tattica ha aborrito per un certo tempo dalla forma di un anticlericalismo aperto e volgare. E questo allo scopo di trarre in inganno i cattolici e di penetrare più facilmente anche nei ceti legati per tradizione alla Chiesa. Superata la fase tattica, il P.C.I., affiancato dal gemello P.S.I. e dalle organizzazioni collaterali, ha aperto una campagna senza quartiere contro il Clero.
Le forme, sotto cui tale opera si svolge, sono molteplici; come pressoché innumerevoli sono gli episodi e i fatti che la confermano. Basti indicarne taluno fra i più significativi.
Nei riguardi del Papa è universalmente noto come il P. C. I., nella stampa periodica e nella propaganda orale fra i ragazzi, i giovani e gli iscritti al Partito, faccia uso regolarmente dell'arma della denigrazione e del disprezzo. I discorsi e le azioni del Pontefice vengono sistematicamente travisati; in guisa tale che quasi quotidianamente si rende necessaria una risposta polemica dell’«Osservatore Romano».
Il Papa è additato alla mente e all’anima dei lavoratori come grande capitalista, nemico perciò della classe operaia; alleato dei ricchi e insensibile ai problemi dell’ingiustizia sociale e della miseria. Legato al carro dell'America, Egli è per la guerra: la vuole e la prepara.
Poche idee, ma chiare e precise, che ripetute le mille volte e in tutti i toni, si sono radicate ormai nell'animo di quasi tutti i comunisti. Va maturando, per questo, in Italia, una ondata di tale e tanto odio verso l’augusta persona del Papa, che trova pochi raffronti nella storia.
Chiunque frequenti i comunisti, anche quelli in buona fede, può renderne testimonianza.
Su la strada della menzogna e della calunnia si è arrivati più volte fino all’insulto ingiurioso.
Tristissima fama, a questo riguardo, si è acquistata la on. Laura Diaz. In un comizio, tenuto a Ortona il 12 giugno 1948, ebbe ad affermare che il Papa aveva «le mani grondanti di sangue». Deferita all'Autorità Giudiziaria, con vigliaccheria pari solo alla sua spudoratezza, negò l’autenticità della frase incriminata: «Io non ho mai pronunciato detta frase: ho solo svolto lecita critica politica ad atteggiamenti politici assunti dal Pontefice, così come è diritto di ogni cittadino». (Unità, 24 giugno 1948). Tuttavia, sia pure con non poco ritardo, la giustizia si è fatta strada. Celebrato il processo a Chieti, nell'aprile del 1951, la Diaz è stata condannata a otto mesi di reclusione per «offesa e ingiuria contro la persona del Sommo Pontefice». Naturalmente col beneficio della condizionale.
Sotto la stessa imputazione è stato regolarmente condannato Davide Lajolo, direttore dell’«Unità» (edizione milanese), e molti altri comunisti, dirigenti periferici del partito o semplici iscritti.
Per offesa al Pontefice ed alla religione di Stato saranno pure processati il Vice-segretario del P.C.I., on. Longo, e l’on. Montagnana. Il procedimento penale contro l'on. Longo è motivato da una pubblicazione di «Vie Nuove» del gennaio 1948. Nel settimanale era riportata una vignetta raffigurante il Papa sulla torretta di un carro armato, con appeso al collo il simbolo del dollaro, e nell'atto di impartire la benedizione ad alcune personalità politiche estere, genuflesse e recanti in mano armi di vario tipo, in atto di offerta.
Ma purtroppo non varrà una condanna a porre freno alle calunnie e agli insulti lanciati quotidianamente. Non è un mistero, ad esempio, il fatto che in moltissimi cinema, posti in località piuttosto rosse, l’apparire su lo schermo della figura del Papa è salutato da un coro di fischi e di invettive.
Spesse volte si è pure manifestato il sentimento di avversione nei confronti di Ecc.mi Vescovi.
Senza accennare alle campagne di calunnie e di menzogne che a intermittenza sono lanciate dalla stampa comunista contro qualche Presule, che maggiormente si distingue per fermezza ed alacrità nel suo ufficio pastorale, si ricorda qualche episodio fra i più disgustosi. Naturalmente non si fa cenno delle ridicole malignità con cui la propaganda comunista commenta avvenimenti ecclesiastici di particolare interesse. A Piacenza, ad esempio, prendendo pretesto dalla elezione dei 32 cardinali nel 1946, su la bacheca affissa alla parete della sede del P.C.I., in piazza Maggiore, fra altri manifesti è apparso anche questo: «Mentre il popolo chiede pane pace lavoro costituente - si sperperano milioni per «imporporare» 32 nuovi cardinali».
Provocazioni comuniste contro il Vescovo di Nardò (provincia di Lecce) ebbero luogo il 7 gennaio 1948. Mentre Mons. Fenizia, a chiusura di feste religiose a Tughi, si accingeva a pronunciare un discorso, alcuni facinorosi con grida di «Abbasso i preti, abbasso il Vescovo», provocavano confusione e impedivano il discorso. Tratto in arresto il capoccia comunista Carlo Giaffreda, principale responsabile dei disordini, fu trovato in possesso di due bombe a mano.
Nel mese di gennaio 1947, mentre il Vescovo di Belluno faceva la visita pastorale nella parrocchia di Lamon, fu avvicinato da un agit-prop del luogo, il quale lo insulto gravemente. L'insolente fu arrestato ma evitò il processo perchè il Vescovo ne ottenne la scarcerazione. Che anzi lo accolse in episcopio, provvide a sue spese al viaggio di ritorno in famiglia ed alle giornate di lavoro perdute.
Accuse, destituite di qualsiasi fondamento, furono lanciate dalla «Unità» (7 aprile 1948) contro Mons. Taccona, Vescovo di Ruvo e Bitonto: le quali, però, per tema di querela, furono regolarmente ritrattate.
Se l'odio anticlericale dei comunisti non ha risparmiato né il Papa né i Vescovi, è tuttavia fuori dubbio che ha trovato la sua più comune espressione nella lotta contro il Prete. In effetti il baluardo che si oppone in ogni trincea all’avanzata del comunismo è il sacerdote; è lui che in ogni paese gli sbarra il passo in nome della fede e per una missione che deve compiere anche al prezzo del sangue.
Per questo il Prete è ritenuto dai comunisti il nemico numero uno. L'odio ha raggiunto più volte l’estremo limite della violenza e si è espresso nell'assassinio. Ogni regione d'Italia conta sacerdoti uccisi per odio di parte. In testa sta l’Emilia, che i comunisti decantano come la loro regione. In questa terra nazisti e comunisti si sono trovati d'accordo contro l’uomo di Dio. Nel volgere di pochi anni, prima e dopo la fine dell’ultima guerra, in Emilia sono stati ammazzati ben 53 Sacerdoti .
Sui responsabili si è già detto: chi s'incontra nell'odio contro Dio è unito anche nell’odio contro i Suoi ministri.
Ma non intendiamo rifare una storia che è troppo dolorosa. A confermare l’atteggiamento dei comunisti contro il Clero si pensi al cumulo di menzogne, di calunnie e di infamie lanciate continuamente dalla stampa, nei comizi e nella propaganda spicciola.
Ogni arma è buona, pur che si possa tradurre in pratica il consiglio di Voltaire, gran padre dei comunisti in quest’arte: «calunniate, calunniate! qualcosa resterà».
E i frutti dell’odio ben presto maturano.
Quasi a caso scegliamo qualche fatto.
Il 1 gennaio 1947, un sacerdote ottantenne, Mons. Mentore Bianchi, di Bologna, fu percosso duramente da alcuni giovani, che, in mezzo ad insulti, oscenità e bestemmie inneggiavano al «Don Basilio».
Nel basso Polesine, a Donada, nell’ottobre 1946, il parroco fu aggredito a sangue da un energumeno che il giorno prima, fungendo alla Cresima da padrino, non aveva voluto togliersi il distintivo marxista durante la funzione.
Ai primi di maggio del 1947, su la mezzanotte, raffiche di mitra furono dirette contro la canonica di Riolo (Castelfranco Emilia), paese situato nel famoso triangolo della morte. Da notare che il parroco locale, Can. Giuseppe Tarozzi, fu barbaramente ucciso nel giugno 1945. Il suo successore, solo dopo un mese di permanenza, dovette andarsene.
La compagna 44enne Lucia Festini, colona del Parroco di Badia di Largnano (Arezzo), don Fausto Calieri, tentò di ucciderlo, immettendo del veleno nel vino per la messa, contenuto nell’ampolla dell’altare.
Il Pretore di Ancona, nell’agosto del 1948, condannava ad un anno di reclusione la quarantaduenne Scarpini, residente in frazione Grancetta, imputata di aver vilipeso, per odio di parte, la religione e schiaffeggiato il parroco Don Giaccaglia, nel momento in cui questi distribuiva la Comunione.
I fratelli Giacomo, Marino e Carlo Tosi, tutti e tre comunisti, aggredirono selvaggiamente, nel novembre del 1949, il parroco di Domagnano (Repubblica di S. Marino), Don Giuseppe Fabbri, per essersi rifiutato di accettare uno di loro come padrino a un battesimo.
A Busto Arsizio, mentre alcuni giovani cattolici affiggevano manifesti, furono aggrediti da un gruppo di agit-prop, e ne nacque una rissa vicino al convento dei Frati Minori. Un frate, P. Bentivoglio, aprì la porta e cercò di mettere pace fra i contendenti. Ma gli attivisti lo malmenarono, ferendolo alla testa e gridando: «dalli al frate!». Ciò avveniva in occasione delle elezioni politiche del 18 aprile 1948.
Talvolta l'ostilità preconcetta contro il sacerdote dà origine a scenette gustose e piene di spirito. Come si può notare in quanto accadde a Borgarello (Pavia), nel giugno del 1949. Il parroco locale, assieme alle principali famiglie, aveva compilato una petizione alla Stipel per avere il telefono in paese ed aveva fatto girare il foglio tra la gente per la firma. Ma la cellula, su l’attenti, vigila e lancia l'allarme: «le firme raccolte dal prete, servono per il patto atlantico e relativa guerra».
Le compagne allora si precipitano in canonica e ululando esigono che le loro firme siano cancellate. Così a Borgarello è arrivata... la pace. Ma il telefono, no!
Qualche sorpresa non molto simpatica è toccata ai direttori dell’Unità, nella loro mania di gettare il discredito e lanciare calunnie contro il Clero. Così, ad esempio, si ricorda l'infortunio occorso al direttore dell’edizione romana per diffamazione nei confronti di Mons. Francesco Roberti, Segretario della S. Congregazione del Concilio. Accusato di essere implicato in una truffa, l’eminente ecclesiastico sporgeva querela contro il giornale; nel maggio 1948 il gerente veniva condannato a 14 mesi di reclusione, a lire 150.000 di multa e lire 100.000 di riparazione danni.
Per evitare condanne, i responsabili di fogli comunisti sono ricorsi più volte al metodo delle smentite; comportamento poco onorevole per chi si dimostra tanto coraggioso negli insulti.
Alcune ritrattazioni o ritirate strategiche in extremis sono veramente curiose. Eccone due.
È accaduto a Parma. Don Raffaello Dagnino querelava il Direttore del rosso settimanale «L’Eco del Lavoro» Remo Polizzi, che lo aveva diffamato. Ma il dibattimento non ha avuto luogo perchè il compagno Remo ha rilasciato la seguente dichiarazione, accettata da Don Dagnino: «Io sottoscritto, Remo Polizzi, direttore de «L'Eco del Lavoro» di Parma, riconosco apertamente che le frasi pubblicate su questo giornale nel numero del 30 giugno 1950, e cioè: " Don Dagnino, questo prete dalla coda di paglia, è un raffinato manipolatore d'ipocrisia, d'intrigo ", non trovano il minimo fondamento o giustificazione nella realtà, anzi sono ingiuste, offensive e ledono gravemente quanto immeritatamente l'onorabilità del predetto sacerdote. Deploro, perciò, sinceramente il carattere diffamatorio di tali frasi e ritratto formalmente il contenuto ingiurioso delle medesime». - F.to: Remo Polizzi, direttore de «L'Eco del Lavoro».
Il Polizzi si è inoltre impegnato a rifondere interamente tutte le spese del Tribunale e di assistenza legale incontrate da Don Dagnino.
Sull’«Unità» (edizione marchigiana) del 2 novembre 1949 alla pagina 2, si legge:
«In relazione alla corrispondenza da Pesaro, apparsa sul n. 158 del giornale l’«Unità» del 3 luglio 1949 edizione marchigiana ed avente per titolo: «La Crociata della Bontà», là dove si afferma che «un frate missionario di Pesaro è stato tradotto giorni fa in carcere per atti innominabili».
Si precisa che a seguito di accurate indagini condotte da questo giornale, la notizia è risultata nella sua essenza e nei suoi particolari falsa e destituita di ogni e qualsiasi fondamento per cui esprimiamo il nostro rammarico per tale pubblicazione. A seguito di questa smentita, l'Istituto dei Missionari di Pesaro ha volentieri aderito alla nostra richiesta di remissione della querela per diffamazione proposta contro di noi dinanzi al Triunale Penale di Roma, ove oggi avrebbe dovuto celebrarsi il dibattimento, restando a nostro carico le spese giudiziarie». - La dichiarazione reca il titolo «Smentita».
Un’opera che, nelle intenzioni del P.C.I., doveva costituire la più formidabile documentazione scandalistica sui segreti vaticani apparve ai primi di aprile del 1948, in prossimità delle elezioni politiche. Il titolo era pretenzioso: «Documenti segreti della Diplomazia Pontifìcia» .
Ma fu veramente un pesce d'Aprile. E a soffrirne fu proprio il partito comunista. Infatti l’autore del libro, Virgilio Scattolini, confessò quasi subito per iscritto che tutto il contenuto del libro era stato inventato da lui integralmente. «Io sottoscritto, Scattolin Virgilio, dichiaro che, esaminando il volume «Documenti segreti della diplomazia Pontificia», edito a Lugano dalla S.C.O.E., ho constatato che esso è la raccolta di notizie che io da alcuni anni fornivo a Filippo Setaccioli di Roma. Le suddette notizie erano da me inventate di sana pianta... Non conosco con precisione a chi poi queste notizie venissero passate dal Setaccioli...» .
Tanto per chiudere l’argomento segnaliamo un aspetto, per così dire, alla rovescia dell'anticlericalismo del P.C.I.. Ci riferiamo cioè al fatto che la maggior parte dei sacerdoti, i quali, immemori della loro dignità e degli impegni assunti, abbandonano lo stato clericale, trovano ricettacolo nelle file del partito comunista. Pare anzi vi siano attesi a braccia aperte. E vi fanno carriera. Naturalmente in ragione del servizio che rendono alla causa del partito, come propagandisti e attivisti, specie come denigratori dell’idea che avevano servito per l’innanzi.
Taluno risiede addirittura nella Sede Centrale di Via delle Botteghe Oscure; forse col compito di dirigere il settore ideologico-religioso.
Fra gli altri, ha fatto parlare di sé il vecchio apostata Angelo Spadoni di Reggio Emilia, che si è autodefinito «Prete di Dio». In un discorso a Rubiera (Reggio Emilia), due anni or sono, vomitò tali infamie contro la Chiesa che fu denunciato all'Autorità Giudiziaria per vilipendio della religione. In altro discorso, lo sciagurato non ha esitato a irridere laidamente il purissimo sacrificio di S. Maria Goretti.
È comunque ben triste spettacolo che l’organizzazione più avversa al Clero e la più spietata accusatrice delle loro supposte colpe, divenga il rifugio naturale dei sacerdoti transfughi e indegni.
Legati alla sorte dei ministri del culto sono coloro che, assunto l'impegno di una coraggiosa testimonianza nella vita pubblica, sono fedeli a Cristo ed alla Chiesa. Hanno l'onore di essere circondati dello stesso disprezzo e dello stesso odio da parte dei nemici di Dio.
Diversi sono i pretesti della persecuzione; unico ne è il motivo: la loro fede.
Intimidazioni, ogni genere di violenza morale, talvolta percosse sono le armi usate contro di essi.
Nei luoghi, ove i comunisti sono in maggioranza, la vita per gli attivisti cristiani è difficilissima; in molti luoghi fu creato dai giorni della liberazione e rimane tutt'ora un clima di tale terrore, per cui le chiese rimangono quasi deserte, il sorgere e lo svilupparsi di movimenti cattolici è umanamente impossibile. In tali situazioni solo un manipolo di eroici cristiani, sotto la guida del sacerdote, tien testa a nemici senza scrupoli.
La tecnica comunista non sempre codifica la soppressione violenta, ma rende impossibile la vita agli avversari.
Le violenze commesse in questi anni sono assai numerose.
Si tace dei tristi avvenimenti, successivi alla lotta di liberazione, in cui, sotto pretesto politico, trovò sfogo talvolta anche l'odio anti-religioso, che spinse all'assassinio di sacerdoti e di esponenti dei movimenti cattolici.
Non ricordiamo neppure le violenze usate sistematicamente contro liberi lavoratori o contro avversari politici .
Giova riferire qualche fatto che conferma l'odio al nome cristiano.
Talvolta si tratta di aggressioni e di percosse: altre volte purtroppo sono assassinii di una ferocia inaudita.
Nel novembre del 1947, il giovane Eraclio Garlaschi, di anni 19, di ritorno dall’istituto Gonzaga, transitando per la piazza del Duomo, distribuiva gratuitamente alcune copie del giornale cattolico «L'Italia». Un uomo lo avvicinava, ingiungendogli di smettere la distribuzione. Poiché il giovane continuava imperterrito, lo sconosciuto, che poi risultò un attivista del P.C.I., lo aggrediva, malmenandolo e percuotendolo brutalmente.
Il settimanale cattolico di Padova, nel febbraio 1948, riferiva quanto segue. La giovinetta Colombo Rosetta, di anni 13, abitante a Sirtori, veniva avvicinata da due giovani estremisti i quali le chiedevano di consegnare loro il distintivo dell'Azione Cattolica, che teneva appuntato sul paletò. Ricevuto un rifiuto, i due giovani buttavano a terra la ragazza e la percuotevano.
Ai primi dell’anno 1948, a Varese, cinque individui, dopo essersi dichiarati appartenenti ad una sezione comunista della città, si presentarono all'Albergo Madonnina del Cantello, ed invitavano ad uscire l'impiegato Vittorio Bai, di 22 anni, iscritto all'A. C.. Su la strada lo colpirono con pugni e calci, cagionandogli gravi lesioni.
Il diciassettenne Paolo Cresci, dirigente di una organizzazione giovanile di A. C. a Firenze, nel luglio del 1947 fu avvicinato da un gruppo di persone che gli intimarono di cessare la sua attività. Alla coraggiosa risposta negativa, il giovane fu malmenato e percosso duramente. Era la seconda volta che egli subiva tali violenze.
Alle ore 21 del 10 Gennaio 1950 il diciassettenne Naviglio Badocco dell'Azione Cattolica di S. Maria del Fiore (Forlì), mentre si recava al Circolo, veniva affrontato da quattro sconosciuti che gli intimavano di consegnare la tessera di Azione Cattolica.
Superato il primo momento di stupore, il giovane oppose fiera e decisa resistenza. Fu afferrato e portato sotto il portico della Chiesa, ivi percosso e lasciato a terra tramortito. Gli energumeni, non contenti di ciò, ritornarono con filo spinato e gli graffiarono il torace tracciando due croci, di poi battevano con violenza alcuni colpi alla porta del Circolo. Il giovane veniva immediatamente soccorso da amici del Circolo che ritennero però loro dovere accompagnarlo all'Ospedale per il pronto soccorso; solamente al mattino potè rinvenire. Accanto al giovane veniva trovato un foglietto con sopra scritte le seguenti frasi: «IMPARA AD ANDARE DAI FRATI; COSI’SARA’FATTO ANCHE AGLI ALTRI» «ABBASSO LA DEMOCRAZIA CRISTIANA». Firmato con la sigla del P.C.I..
L’odio anticristiano ha avuto inoltre vittime gloriose.
Il giovane di A.C., Angelo Zucchini, della parrocchia dell'Arcoveggio (periferia di Bologna) fu ucciso dai nemici di Dio nella sede dell’associazione cattolica il 14 luglio 1945.
Nel comune di Cardito (Reggio Calabria), il 25 novembre 1947, in una pacifica riunione che si svolgeva nella sede dell'A.C., uno studente, Trunfio Antonino, di 21 anno, veniva freddato con un colpo di pistola da un simpatizzante comunista, tale Russo Francesco.
Il 7 febbraio 1946, ad Anzola Emilia (Bologna) l’esponente del movimento cattolico, Dott. Luigi Zavattaro, veniva barbaramente ucciso.
Saturno Gagliardelli, partigiano cristiano della Brigata Italia, detto «Saturnio», veniva trucidato su le montagne del modenese la notte del 28 marzo 1945, per la fedeltà alla sua fede.
Come responsabili dell’attentato alla Canonica di Ceretolo (Bologna), nel settembre del 1947, in cui trovò la morte il fanciullo di A. C. Cesarino Degli Esposti , e fu gravemente ferito il Parroco Don Ghelfi, furono denunciati il segretario del P.C.I. e il segretario della Camera del Lavoro di Casalecchio. La sentenza del Tribunale di Brescia che dichiarava assolti i predetti «per insufficienza di prove», non ha convinto nessuno nel luogo ove il delitto fu compiuto.
Le due vittime più illustri, per la purezza del loro sacrificio e per l’efferatezza dei loro persecutori, resteranno nella storia del cattolicesimo italiano di questi anni i due giovani Gervasio Federici e Giuseppe Fanin. Uniti nel sacrifìcio della loro giovinezza, sono oggi assurti alla gloria comune.
Il motivo apparente della loro uccisione potè sembrare a taluni di natura politica o sindacale; in realtà è da ricercarsi nell’odio contro il nome e la fede cristiana.
A Gervasio Federici, giovane studente universitario, ucciso a Roma la sera dell’11 ottobre 1947, i feroci assalitori ingiungevano di dire: «Viva il Comunismo!». Quand’egli coraggiosamente gridò: «Abbasso il comunismo ateo!», fu trucidato barbaramente.
Nell'agonia le ultime parole: «Madonnina mia, aiutami!».
L’11 febbraio 1950 furono condannati come partecipanti al delitto Felicetta Graziani e Alfredo Pozzi, giovani comunisti non ancora ventenni.
A Giuseppe Fanin i comunisti del luogo avevano fatto più volte gravi minacce perché cessasse la sua attività nelle organizzazioni cattoliche. Aveva risposto che la sua fede l’obbligava a continuare. Per questa sua costanza era stato percosso vilmente. La sera del 4 novembre 1948, quando ritornando da S. Giovanni in Persiceto alla famiglia, lungo la via Biancolina fu barbaramente trucidato, recitava, come gli era costume, il S. Rosario.
Al processo di L'Aquila venivano condannati a 23 e 21 anni, come mandante ed esecutori del delitto, i quattro giovani comunisti: Gino Bonfiglioli, Andrea Lanzarini, Renato Evangelisti e Indrio Morisi.