Chi ha assassinato Giuseppe Fanin

  La morte di Giuseppe Fanin ha destato, come era da prevedersi, la più viva eco: non si è trattato di una uccisione, ma di un selvaggio assassinio. La stampa di sinistra, dando notizia del fattaccio, confessava che il Fanin era stato messo più volte sull’avviso di desistere dalla sua attività a favore degli agrari, a scanso di sorprese. Riconosceva in Giuseppe Fanin un caduto per la causa del lavoro... ma questo, nei giornali del 5 e 6 novembre. (Qualcuno disse che se per un ceffone dato a un operaio, si era fatto in Bologna uno sciopero generale, l’assassinio di un sindacalista caduto per la causa del lavoro, meritava per lo meno, un'analoga forma di protesta... che invece ci si è ben guardati dal fare!)
  Ma i giorni passavano; gli autori del delitto non venivano scoperti, e gli stessi giornali di sinistra ritornando sui loro passi, studiando meglio la questione, avevano trovato che, con molte probabilità, gli autori del delitto, erano da ricercarsi fra aderenti ai liberi sindacati, fra i democristiani, fra gli amici... come dovevasi dimostrare, secondo la logica del marxismo puro.
  Mossero a riso queste ridicole infamie, ma il cuore sanguinava dall’indignazione! Dopo l’assassinio, le beffe!
  Appariva chiaro il giuoco: subito all’indomani dell’eccidio, a sinistra si temeva la sgradita sorpresa che gli autori potessero essere trovati.
  Passando 1 giorni, ed allontanandosi il pericolo dell’infausta scoperta, i giornali in parola si erano via via tranquillizzati ed avevano potuto fare bellamente il loro giuoco: di rovesciare gradatamente le accuse sull’avversario, fino a poter concludere trionfalmente a un dato punto: «Ricercate gli autori del delitto? Si sono uccisi fra di loro! Fanin? l’hanno ucciso gli amici del Libero Sindacato!».
  Deve essere qualcosa di satanico il gaudio di chi si dà a questo satanico mentire!
  Ma... ancora un po' di cronaca. 24 novembre 1948.
  Piazza del Popolo di Persiceto è rigurgitante di compagni, che si accalcano per entrare nel Teatro; deve parlare l’on. Paietta. Nel discorso, non può non accennare alla «campagna di odio scatenata dai partiti al Governo. Noi, dice il Paietta, siamo gli aggrediti! Noi i percossi! Fragorosi applausi. Alla stessa ora, (l’ora esatta in cui Fanin 20 giorni innanzi veniva massacrato), nella modesta stanza di una Stazione di Carabinieri, un giovane di 23 anni, Gino Bonfiglioli, confessava: «Sono l’assassino di Giuseppe Fanin ! Hanno eseguito il mio ordine: Enrico Lanzarini, Renato Evangelisti, Indrio Morisi». Il Maresciallo dei Carabinieri dava ordini per l’arresto di questi ultimi tre: due di essi, furono individuati all’uscita del Teatro di Persiceto, dove erano andati ad applaudire l’on. Paietta.
  Tradotti in carcere durante la notte, confessavano il delitto. I 4 assassini erano iscritti al Partito Comunista; il mandante, era il Segretario della Sezione del P.C.
  Giuseppe Fanin dal Cielo continuava a proteggere i lavoratori! Solo un suo diretto intervento, poteva guidare le indagini della umana giustizia, che innanzi al mistero di tanti delitti consumati nella zona, aveva dovuto arrestarsi impotente.
  La stampa comunista, dando la notizia dei quattro assassini si chiedeva... naturalmente: Sarà poi vero? Ma poi siccome questa volta era vero per tutti, stigmatizzava il fatto, protestava l’innocenza del sistema comunista, e si lamentava dell’ignobile speculazione politica... Nulla di nuovo in questa difesa: si attende il comunicato che annunci che i quattro assassini erano già stati dimessi da tanti anni dal partito, e poi tutto è fatto!
  Ma quanti questa volta «berranno» le vecchie rancide droghe comuniste?

* * *

  Il delitto Fanin deve essere inquadrato in un triste calendario di sangue e di violenze consumate in provincia di Bologna. Riportiamo dall’Avvenire d'Italia del 13 nov. '48:
  21 settembre '48, Pizzi Anna e figlia di S. Agata Bolognese, lavoratrici aderenti ai Sindacati Liberi, alle 13,30 bloccate, circondate e assalite da una sessantina di donne, con minacce ed insulti.
  Ida Picchioni e Maria Zecchi: trascinate per la strada a viva forza e duramente colpite da 50 donne, provenienti da S. Agata e Crocetta.
  L’intervento della forza pubblica impedisce che si degeneri in più grave episodio. La Picchioni è percossa con una pietra e la Zecchi è colpita anche a morsi.
  22 settembre, Bergamini Rinaldo, pure di S. Agata, accerchiato e percosso.
  Il 23 settembre l’attentato si ripete.
  24 settembre, le due lavoratrici Pizzi, assalite e bastonate presso la loro casa, da donne provenienti da S. Agata e da Persicelo.
  Rebellato Dormano, di S. Agata Bolognese, il 28 settembre, è fatto cadere in un agguato mediante un filo di ferro teso nella notte lungo la strada. E' assalito da tre ignoti che, con calci e bastonate, percuotono gravemente il caduto.
  30 settembre, Rebellato Maria, bracciante, due volte fermata a Ponte Rizzoli da blocco stradale, salvata a stento dall’organizzatore Fin, che tenta un accordo amichevole, ma la lavoratrice è rincorsa, strappata dalla motocicletta, percossa e presa a morsi.
  Nannini Giuseppe e Domeniconi Alfredo, operai, aggrediti brutalmente da ignoti armati di bastoni.
  Bersani, bracciante, ricercato e minacciato nella sua abitazione.
  Blocchi stradali, invasioni di luoghi di lavoro, minacce ai domicili privati, intimidazioni personali, a Castel S. Pietro, Ozzano, Castel D'Argile, San Pietro in Casale e zone periferiche.
  6, 8, 9, 11 ottobre, minacce, ostruzionismi, blocchi, aggressioni contro gruppi di braccianti e liberi lavoratori che non aderiscono alla Camera del Lavoro. Pressione del Sindaco di Castel S. Pietro perchè i dissenzienti ritornino sotto il giogo della C.G.L. Riunione straordinaria della Federterra, ove si dichiara che bisogna lottare con tutti i mezzi per «far fallire il provocatorio tentativo di costituire i Sindacati Liberi». Manifesti in cui si additano nominativamente i sindacalisti ed i liberi lavoratori cristiani all’odio ed al disprezzo delle masse. A Castel S. Pietro, contro sei lavoratori, violente dimostrazioni che provocano l’intervento dei carabinieri.
  12 ottobre, Gruppi di braccianti con il Capo Lega Costa circondano un gruppo di liberi lavoratori e solo l’intervento dei carabinieri sopraggiunti pone fine alla rissa.
  Anna Nanni e Ilde Mandrioli, aggredite e schiaffeggiate, rincorse sino alle loro abitazioni, dove sono costrette a barricarsi.
  13 ottobre. Altri quattro lavoratori rurali circondati fatti retrocedere a pena la vita».
  Ettore Filicori, salariato fisso, affrontato presso Quaderna da tre sconosciuti che lo tempestano di pugni provocando la frattura del setto nasale.
  Gualandi Sergio, schiaffeggiato, poi nuovamente aggredito da quattro energumeni che lo percuotono furiosamente, provocandogli larghe ecchimosi e ferite con complicazioni agli occhi e agli orecchi. Per otto giorni rimane degente.
  Orlandi Dante e Orlandi Raffaella, di Ozzano, aggrediti nella loro abitazione privata, percossi da un gruppo di trenta persone, minacciati di morte.
  Rinaldo Bovina, di Castel D'Argile, percosso violentemente a pugni e calci con sospetta lesione alla pleura. l’incidente era provocato da una turba furiosa che aveva circondato e aggredito a più riprese diversi liberi lavoratori. Mazzoni Cesare doveva difendersi sparando alcuni colpi in aria.
  13 ottobre. Tumultuosi incidenti nella zona di Castel S. Pietro. Alcuni liberi lavoratori fatti segno a violenze a S. Lazzaro. Intimidazione, pattugliamenti di squadre, blocchi per le vie e davanti alle case dei lavoratori iscritti ai Sindacati Liberi. Talune donne percosse e buttale a terra.
  Ronconi Imelde, tornando dal lavoro, assalita da gruppi di estremisti, percossa violentemente.
  Rebellato Maria, pure aggredita e colpita con calci al ventre e alle reni.
  Molte lettere minatorie pervengono agli iscritti ai Sindacati Liberi.
  15 ottobre. Notevole aggravamento della situazione. A Castel d'Argile la casa di un datore di lavoro, circondata per tre ore da una turba di iscritti alla Camera del Lavoro che esigono la non assunzione di lavoratori dei Sindacati Liberi.
  4 Novembre. Il Segretario Provinciale delle A.C.L.I. Terra, Giuseppe Fanin, barbaramente trucidato nella notte a S. Giovanni in Persiceto.
  8 novembre. Bornaghi Umberto, del Sindacato Ferrovieri, aggredito e percosso brutalmente con sospetta frattura della base cranica.
  Sono liberi sindacalisti che vengono colpiti! Chi li colpisce? Dietro a questi fatti sta una quotidiana capillare istigazione all’odio e al sangue; stampa, comizi, non fanno che batter sullo stesso tasto: «Occorre stroncare il male fin d'ora; più tardi non si sarà più in tempo!» E il verbo udito e letto, viene commentato per le strade, nei treni, nei caffè, e si parla apertamente, tranquillamente, di sabotare, di bastonare, di impiccare.
  All’indomani del delitto Fanin, per le vie che ancora gridavano da mille appelli l’esecrazione e il ribrezzo, si diceva tranquillamente: «Questo è uno! Adesso ci sono gli altri! Questo è niente: il bello verrà poi!...».
  Non si tratta di sole parole: i fatti seguono: inesorabili! E' la macchina macabra dell’odio che viene messa in movimento! A chi la guida non interessa il singolo che rimane schiacciato: interessa che la macchina cammini. Ed essa avanza, avanza! La ruota passa schiacciando, chi dirige non guarda la strada che si macchia di sangue, egli guarda alla meta!
  A dar luce sui tristi fatti di questa Emilia tormentata può servire inoltre lo studio del particolare aspetto della lotta agraria nella «bassa» emiliana.
  Sebbene avvenuta nella cittadina di S. Giovanni in Persiceto, dove il costume e le condizioni economiche risentono di un tradizionale inurbamento, il delitto si pone nella cornice della «bassa» d'Emilia.
  Ciò è stato detto, senza ulteriori approfondimenti, dalla stampa non controllata dall’estrema sinistra.
  Il richiamo ai fattori ambientali ha certamente un suo valore. Non si deve però subordinare ad essi l’organizzazione materiale del feroce assassinio come di effetto a causa. Vi sono, per l’organizzazione del crimine, dei riferimenti che in gran parte sovrastano l’ambiente per inserirsi in quel torbido sottofondo della cosidetta offensiva autunnale del Cominform.
  Si può e si deve parlare della lotta agraria, tuttavia come causa remota del delitto. Quando da secoli la terra è strumento d'ingiustizia, fra i troppo poveri e i troppo ricchi e generazioni di famiglie rurali sono rimaste legate alla fertile terra della «bassa» da un vincolo di miseria e di rancore ed aleatoria era anche la miseria del lavoro, è arduo impedire che la lotta sociale non degeneri talora in delitto comune. Sono mancate e mancano con la grande e media proprietà industrializzata le condizioni di partenza per la moralizzazione della vita civile.
  La sicurezza attraverso il possesso familiare della terra che si lavora è la sola via attraverso la quale il benessere economico si armonizza con il miglioramento del costume. Mancando questa fissazione, non da servi, alla terra, s'accresce la lotta e s'indurisce, pei riflessi internazionali che localmente divengono riflessi di vecchie lotte mai spente.
  La «bassa» bolognese non ha conosciuto un solido esperimento cristiano sindacale. Di contro al sindacalismo rosso, nella «bassa» si è conosciuto (ed avversato in forme anche feroci) il fenomeno dei lavoratori «gialli», delle famiglie rurali, spesso importate, costituenti una specie di servitù feudale della gleba (con tutti i vantaggi oltre che gli svantaggi dell’istituto).
  E' stato facile al Sindacalismo comunfusionista compiere la sovrapposizione mentale del sindacalismo cristiano sul fenomeno dei «gialli». E' stato facile, anche se non onesto, riagitare lo spettro dei «crumiri» davanti a masse che, per tradizione familiare, sono legate alla lotta contro i crumiri.
  Può darsi che da parte dei lavoratori liberi non si sia fatto molto per respingere l’associazione fra sindacalismo libero e lavoratori «gialli». Ecco perchè accanto alle preminenti necessità di ordine pubblico, il quale deve essere salvaguardato prima che il ritorno del fascismo sia un minaccioso stato d'animo, si devono, porre le esigenze sociali. Compiere la dissociazione tra lavoratori e crumiri è un dovere morale.
  Operare ciò, nella realtà oltre che nelle aspirazioni, significa impedire che più a lungo dei nazionalisti stranieri abusino di una giusta causa.
  Fare un'azione concreta di rinnovamento di strutture, significa continuare l’opera per la quale l’amico Fanin è morto.