«Nel pomeriggio dell’Epifania del 1953 è rincasato mio figlio di 12 anni, studente alle Medie — scrive un padre di famiglia da Sassuolo —, portando un pacco-dono dell'UDI nel quale era stata messa, tra i vari dolci, una lettera diretta ai cari bimbi. In essa «si augurava uno studio volonteroso da trascorrere in un mondo dove regni la pace, la libertà, il benessere.
«Noi vi diciamo — continua la lettera —: impediamo che venga commessa la grande truffa elettorale, perchè i padroni toglierebbero il 53% ai contadini e verrebbero giorni luttuosi» ecc. ecc. Che effetto strano, la vecchia Befana sdentata seduta vestita di rosso al 53%!
A un certo punto andò in discussione al Parlamento la legge elettorale, con la quale si votò poi il 7 giugno '53. Tale legge prevedeva eventualmente un premio al partito o ai partiti che avessero conseguita la maggioranza assoluta dei voti. I «compagni» osteggiarono in tutti i modi tale legge ben sapendo che essi non sarebbero mai risultati vincitori. Così anche i compagni di Cerredolo nel nostro Appennino hanno avuto l'ordine di fare pubbliche proteste contro la legge truffaldina. Sapendo però che la gente di queste montagne è dura a muoversi non solo perchè le vie sono terribilmente ghiacciate ma specialmente perchè non vuoi saperne di chiassate comuniste, hanno teso l'amo: «dalle ore 10 di venerdì saranno distribuiti pacchi-dono alle famiglie numerose ed ai meno abbietti» (sic!).
Dunque la Befana dopo un lungo cammino è arrivata anche qui fra i nostri monti e per solo merito dei compagni; non una Befana colla solita gobba schiacciata sotto l'enorme fagotto, ma una Befana progressiva, nientemeno che al volante di un camion e rimorchio pieno d'ogni ben di Dio.
E così, compagni in testa e pochi altri in coda hanno raggiunto il paese della cuccagna. Nella piazza che doveva strabiliare il pubblico si trovò un vilissimo tavolo e su quel tavolo un giovinotto incravattato e semiconvinto di quello che andava dicendo. Parlò contro i soprusi della maggioranza al Parlamento e chiese le poderose firme degli astanti (che si andavano chiedendo dove poteva essere il pacco promesso) per elevare una fiera protesta contro il nuovo fascismo risorgente.
Nella nostra terra anche i poppanti hanno imparato in questi anni una canzonetta che, su motivo molto popolare, ha per ritornello lo slogan rosso: «con De Gasperi non se magna». Però, mentre negli Stati comunisti le masse lavoratrici insorgono per la fame e la miseria — come nella Germania Sovietica, in Cekoslovacchia, ecc. — in Italia il P.C.I. ha organizzato le grandi ‘magnasse’ delle feste dell’«Unità», in cui si consumano milioni di uova migliaia di quintali di farina, di zucchero, di burro, di olio, con ecatombe di milioni di polli e di conigli! Il via è stato dato in provincia a Gazzata Gavasseto, S. Bernardino, ecc. dove l'abbondanza delle vivande e i soldi spesi dalle masse dimostrano l'abbondanza di mezzi che c'è in Italia e il tenore di vita della maggior parte dei nostri lavoratori! Con lo sperpero delle feste dell’«Unità» ci sarebbe veramente da sfamare per un anno intero tutti i bambini e tutti i vecchi delle famiglie più povere.
Queste ‘magnasse’ sono sconosciute in Russia e Stati satelliti! Se i sudditi tesserati degli Stati comunisti potessero partecipare alle magnasse delle feste dell’«Unità» non tornerebbero mai più negli Stati comunisti e, come l'ex partigiano Alvaro Cappelli di Prati di Bagnacavallo, direbbero che «in Italia si sta bene» come provano le feste dell'«Unità».
A volte però la festa de l’Unità è un avvenimento sentito non soltanto dalla grande massa degli iscritti del PCI o del PSI (giacché questa distinzione è solo teorica) ma anche da tutta l'altra popolazione. Per esempio, per distinguersi, Massenzatico, una frazione della bassa con 3.000 abitanti, organizzò una festa de «l'Unità» della durata di 4 giorni consecutivi. Però la cronaca «gialla» — strana coincidenza — ha dovuto registrare (proprio nelle suddette 4 nottate della festa de l’Unità) un'organizzata razzia di bipedi pennuti da vari pollai del paese.
I due fatti naturalmente non hanno nulla a che vedere l’uno con l'altro; tanto più che pare anche accertato che nessuno trangugiò i pennuti involati durante detta festa dai colori «gastronomico-propagandistico-cellulari». Fu proprio soltanto la malignità di qualcuno che potè accomunare i due fatti, cioè la sparizione dei volatili da cortile con la «quaterna» di feste de l’Unità nello stesso paese, anche se si sentì poi in dovere di specificare che si trattava indubbiamente di una strana coincidenza...
Le feste de l’Unità si trasformano spesso in rassegne gastronomico-propagandistico-pubblicitarie. Perciò nulla di strano se ad ogni festa de l’Unità c'è la sua brava mostra del libro, naturalmente.... proletario.
Nonostante tutti i responsabili che ad ogni piè sospinto vengono istituiti dai compagni-capi, perchè essi stessi sanno che la «gran massa» dei loro adepti sono elementi effettivamente irresponsabili... si sente ora il bisogno di dare una solenne tirata d'orecchi a questa pletora di «responsabili», perchè effettivamente hanno scemato di entusiasmo e vanno... calando di giorno in giorno. E ciò si verifica anche alle tanto strombazzate feste de l'Unità.
Noi infatti abbiamo potuto vedere la diminuzione di afflusso alle Feste del fatidico giornale (specialmente nella nostra collina e sulle nostre montagne) dove spesso tali bagordi si risolvono in manifestazioni e in parate eterne, predisposte dagli esperti mandati espressamente dalla città e dalla pianura coadiuvati dai capi-cellula locali, mentre la gente di quassù è piuttosto restia a partecipare.
Ma c'è di più: gli stessi capoccia di Reggio si sono certamente e penosamente accorti di simile andamento delle cose se hanno sentito il dovere di dare una solenne tirata di orecchi agli organizzatori di tali feste, che vanno via via perdendo del tradizionale fervore.
«La Verità», infatti nel numero del 2 Agosto 1953, sotto tre fotografie di Feste de l’Unità (due delle quali mostrano chiaramente la scarsa affluenza dei compagni-sudditi) si legge testualmente la seguente didascalia:
«Nella foto in alto si vede un aspetto della Festa dell’"Unità" di Villa Masone. I compagni di quella sezione potevano fare molto di più. Così dicasi per la festa rionale di Correggio e per quella di Puianello. In nessuna di queste feste — continua testualmente "La Verità" — abbiamo visto delle cose nuove. Evidentemente, questi compagni si sono già scordati del 7 Giugno».
Incredibile, ma vero! Così scrive «La Verità», mentre la frase sarebbe stata molto più a pallino su di un giornale anticomunista.
Invece stavolta la solenne sbuffata contro i «cagnotti» l'hanno fatta gli stessi compagni della Federazione Provinciale di Reggio.
Coloro poi che non volessero credere alle nostre parole, possono comperarsi «La Verità» e leggere coi loro occhi questi rimbrotti, e gli altri che riportiamo di seguito. Infatti sotto un'altra foto nella stessa terza pagina de «La Verità» (N. 31 del 2 Luglio 1953), si possono leggere anche queste altre frasi:
«Anche la festa di Prato era abbastanza bella, anche se crediamo sia giusto criticare i compagni organizzatori per aver lasciato, tutto il giorno, la mostra del libro al sole».
Dal che si vede che i compagni organizzatori, tutti intenti ad innaffiare l'ugola con il lambrusco dei compagni-allievi, e a farsi capanna della pancia rigonfia di cappelletti di borghesissima fattura, hanno dimenticato i libri del partito al sole.... Il che, indubbiamente, per un fedele comunista è un sacrilegio, e non peggio; giacché il danno sarebbe molto minore se avessero lasciato la testa al sole.
Qualche volta la festa de «l'Unità» va a vuoto (quanto ai conti di cassa): e questo per sopraggiunte complicazioni di ordine pubblico. E allora per la cellula sarebbero guai se i compagni non pensassero prestamente a rimediare.
Uno degli ultimi episodi di questa sfortuna che li perseguita è quello della scorpacciata di tortellini e cose simili che i comunisti di Sassuolo dovevano fare in Borgo Venezia. Erano in agitazione da due settimane, avevano tappezzato i muri di Sassuolo con rossi manifesti contenenti il programma della manifestazione il cui programma conteneva al posto d'onore la scorpacciata di tortellini, avevano mobilitato tutte le consorelle dell'UDI e dell'URI per la preparazione materiale dei tortellini e degli intingoli, avevano usato tutte quelle nova che le fedeli massaie udine e mogli di compagni avevano offerto al partito (forse non erano più tanto fresche... dato il tempo trascorso dalla raccolta!) e così avevano preparato centinaia e centinaia di uova di cappelletti che nel fatidico giorno della festa dovevano essere venduti ai fedelissimi compagni e ai non meno fedelissimi simpatizzanti che partecipavano alla manifestazione pappatoria. (Quattrini alla mano, s'intende!).
Ma all'ultimo momento la questura è intervenuta a guastare i loro progetti. Non diciamo a rompere le uova perchè quelle le avevano già rotte le improvvisate cuoche per fare i tortellini. Insomma (vedi dove va a sfogarsi la reazione...!) la questura ha permesso sì la festa, ma ha vietato la vendita di cibi e bevande! Ma, (hanno ragionato i compagni) la festa senza poter vendere i tortellini e il resto si risolve in una solenne fregatura. Infatti chi avrebbe pagato e mangiato tanta grazia di Dio preparata dalle brave cameragne?...
E allora è stata un correre affannoso di attivisti presso tutti i compagni e le compagne fedeli per cercare di smaltire tutto questo fieno! E così chi ha dovuto prenotarsi per 15 razioni, chi per 10, chi per 20 e persino c'è stato chi si è prenotato per 30-40 razioni. Così il partito non ci ha rimesso in quanto i bravi compagni-compratori pagano. Al partito non si può «segnare» e dire pagherò domani: è un esattore che sa farsi rispettare! Ma qualche compagno di nostra conoscenza ha brontolato in sordina che di tortellini ne ha avuto fin sopra la cima dei capelli in quanto per dieci giorni ha mangiato solo di quelli a colazione, a pranzo e a cena....
Domenica 30 Agosto 1953 in un grosso borgo della provincia di Modena è avvenuto un curioso episodio umoristico messo in atto da alcuni giovani rimasti sconosciuti e che ha fatto sbellicare dalle risa quanti lo hanno appreso dalla stampa quotidiana. Gli unici a non ridere e a non sorridere sono stati i comunisti, dei quali si è fatto paladino il loro giornale «L'Unità». Ma si sa già da vecchia data: i comunisti non hanno il senso dell'umorismo.
Dunque, per venire ai fatti, nell'illustre cittadina Modenese, si svolgeva la festa dell'«Unità» e tutti i cameragni erano stati mobilitati unitamente alle compagne Udine, e alle ragazze dell'U.R.I.
Alla festa o, come, con nome civettuolo viene chiamato lo zibaldone del quotidiano comunista, «Festival», vi erano le solite pantomime, il solito acquisto obbligatorio di una copia dell'«Unità», i soliti discorsi, il solito ballo e, quel che più conta e che non manca mai, la solita sbafatoria a base di cappelletti e arrosti vari abbondantemente innaffiati dall’ottimo lambrusco delle nostre terre. Si sa come sono queste cose: i poveri compagni amano molto le feste dell’«Unità» appunto per la mangiatoia. Se mancasse questa, dicono, che festa o festival sarebbe?...
I compagni di quella cittadina avevano fatto le cose per bene in modo che la loro manifestazione riuscisse in pieno. Ed effettivamente tutto si svolse e filò via liscio come l'olio secondo le previsioni, in quanto gli ordini in cellula erano stati categorici e precisi; e gli ordini del capo cellula i comunisti non sono abituati a discuterli mai. Credere... Ubbidire... far la festa dell'«Unità»... pagare e mangiare.
Ma una cosa gli organizzatori e i vari capi cellula non avevano prevista: con tanti cappelletti, arrosti e intingoli vari, era da prevedere che molti dei partecipanti avrebbero sofferto di indigestione oppure sarebbero stati soggetti a tremendi incubi durante le ore notturne a letto, dopo la festa.
Tuttavia «una mano lava l'altra» e così le idee che mancarono agli organizzatori della Festa dell’«Unità» le ebbero, e geniali, i giovani capi-ameni sopra ricordati.
Mentre verso sera la festa toccava l'acme delle manifestazioni, comparvero dei bravi giovanotti che veramente non avevano l'aria di compagni, ma nessuno badò troppo al loro aspetto nel momento. Essi si unirono alle varie comitive di tronfi e quasi sbronzi compagni e di agghindate e sguaiate compagne o di pionieri più o meno mocciosi, e cominciarono a distribuire cioccolatini con insolita generosità.
Immaginarsi la pacchia dei cameragni, delle Udine, delle... ragazze dell’U.R.I., dei pionieri e così via. Con un grazie, ed un saluto a pugno chiuso, tutti ingurgitarono nei capaci stomaci già colmi di cappelletti, i dolci cioccolatini tanto più graditi in quanto non costavano nulla. Anzi, pensavano i beneficati: «Contrariamente a quanto è solito fare il partito che non da mai nulla per nulla, questa volta siamo di fronte a degli organizzatori veramente signori».
Così le ragazze che ballavano si vedevano offrire da sconosciuti cavalieri manciate di cioccolatini e, dopo qualche smorfia di diniego, ne approfittarono senza ritegno visto che venivano loro offerti, con tanta insistenza e con tanto disinteresse. Così fecero le donne, così i ragazzi, così i baffuti compagni con fazzoletto rosso al collo. E la festa continuò sempre più entusiasmante fino a che tutto venne momentaneamente sospeso per il grande comizio che un autorevole compagno inviato dalla federazione doveva tenere. E il comizio iniziò.
Ma esso era quasi ancora alle prime battute quando fra la folla degli ascoltatori e delle ascoltatrici si incominciarono a notare strani segni di agitazione. Qualcuno cominciò ad agitarsi, a curvarsi, tenendosi stretta la pancia con ambedue le mani; poi quel qualcuno fu imitato da molti finché prima una, poi cinque, dieci, cento persone cominciarono a correre chi qua e chi là sempre tenendosi stretta la pancia e andando via gobbi come se fossero stati improvvisamente colpiti da un mal di schiena collettivo. In breve lo spiazzo degli amici e delle amiche che dovevano ascoltare il comizio rimase vuoto per causa di tutti quei gobbi che scappavano a destra e a manca. Ma non si trattava in realtà di male di schiena che li faceva camminare così curvi; era mal di ventre: dolorini acuti, pungenti, ricorrenti, e una impellente necessità di tutti di correre qua o là per cercare un angolino in cui potersi appartare. Furono veramente momenti drammatici! C'è chi sostiene che anche l'oratore fu preso improvvisamente da una impellente necessità di correre via a schiena curva e tenendosi la pancia. Ma di queste tre dicerie come di altre non possiamo garantire...
Naturalmente il giorno successivo l'«Unità» è uscita a caratteri di scatola denunciando l'indegna «provocasione» della «reassione», il tentativo di avvelenamento collettivo ai danni dei compagni, delle compagne, insomma un tentato «comunisticidio» in massa in quanto, essa sostiene, i cioccolatini erano avvelenati ed erano stati preparati appositamente per avvelenare i comunisti...