Quarta udienza

Testi a discarico

    Comincia, con l'udienza del 25 maggio 1949, la sfilata dei testimoni a discarico. Saranno dieci gravi accuse contro l'attività del sen. D'Onofrio in Russia, alle quali faranno riscontro in seguito i dieci primi testi che quella attività invece, difenderanno.
    Primo teste della giornata è l'avv. Mario Bosello, il quale, tenente di artiglieria nella campagna di Russia, fu catturato il 22 dicembre del 1942.
    Durante la marcia estenuante per raggiungere a piedi il campo di Oranki i russi gli tolsero le scarpe e al ten. Ferretti la pelliccia. La razione di viveri consistette in una sola fetta di pane di non più di 300 grammi assolutamente immangiabile.
    Quando già da un mese i prigionieri si trovavano nel campo di Oranki giunse un italiano: vestiva una casacca e, sotto, la uniforme dell’esercito russo. Egli interrogò il teste su i suoi prognostici e sui suoi desideri circa l'esito della guerra in corso.
    Il teste ha poi ricordato che un certo ten. Ballarin, il quale aveva sottoscritto un manifesto murale con cui si invitava l'esercito italiano a deporre le armi, redarguito dal cap. Lombardo che lo minacciò di denuncia quando fossero rientrati in Italia, si recò dal commissario Fiammenghi a riportare l'accaduto. Il Fiammenghi convocò immediatamente il cap. Lombardo e lo minacciò di fucilazione immediata.
    Nel maggio del 1943 corse voce per il campo che gli ufficiali che avevano aderito alle idee del commissario Fiammenghi preparavano un messaggio alle truppe nel quale si incitavano i soldati a gettare le armi.
    Il teste, insieme ad un gruppo di altri ufficiali di quelli che si trovavano in peggiori condizioni fisiche, fu trasferito alla fine di giugno nel campo convalescenziario di Skit. Fu qui che comparve per la prima volta il D'Onofrio il quale dichiarò subito di essere di professione «cospiratore».
    Presidente: — Cosa disse ai prigionieri il D'Onofrio?
    Bosello: — Ricordo che ci parlò a lungo dell’Italia e della democrazia e noi ne ricavammo una ottima impressione, fummo soddisfatti del modo con il quale egli ci intrattenne per oltre mezz'ora. Ma un paio di giorni dopo D'Onofrio chiamò me ed altri cinque colleghi, fra i quali il cap. Magnani. Appena entrammo nella sua stanza egli chiuse la porta e ci fece sedere. Accanto a lui era il commissario Fiammenghi e il magg. Orloff. E cominciò l’interrogatorio.
    Il sottotenente Sandali al quale per primo furono rivolte le domande, si trincerò sul divieto fatto ai militari dal regolamento di esprimere opinioni politiche e chiese che fosse rispettato il suo diritto, come prigioniero di guerra, di non essere interrogato su fatti politici. La secca risposta del Sandali provocò un violento scatto del D'Onofrio il quale urlò nelle orecchie del sottotenente: «È necessario che lei riveda le sue posizioni perché con queste idee in Patria, lei, non ci tornerà mai più». E rivolto a tutti: «Quello che dico a lui vale per tutti i presenti». Fiammenghi e il magg. Orloff prendevano appunti su alcuni fogli di carta.

«In Italia non si torna»

    Presidente: — Gli altri ufficiali convocati, furono interrogati?
    Bosello: — Le stesse domande poste al primo vennero poi fatte a tutti gli altri. Per tutti noi, però, rispose il cap. Magnani che eravamo venuti in Russia per combattere perché un soldato deve obbedire senza discutere e che saremmo stati ossequienti al nuovo governo italiano. L'interrogatorio durò tre ore e alla fine, mentre uscivamo dalla stanza, D'Onofrio ci gridò dietro: «Se non cambiate idea in Italia non si torna».
    A questo punto il Presidente ha fatto leggere al teste l'ordine del giorno presentato dalla parte civile, per sapere se il testo corrisponda a quello con cui D’Onofrio invitò i prigionieri a sottoscrivere.
    Bosello: — Ho la netta sensazione che non sia quello l'ordine del giorno che allora fu presentato ai prigionieri.
    Il teste ha ricordato poi che, qualche sera dopo gli interrogatori, un soldato russo entrò nella baracca e, chiamato il cap. Magnani, gli ordinò di prendere la sua roba e di seguirlo. Il Magnani abbracciò il commilitone con le lacrime agli occhi perché sapeva che non avrebbe più rivisto i suoi bambini.
    Avv. Mastino Del Rio: — Le risulta che il cap. Magnani fosse un criminale di guerra?
    Bosello: — Il capitano era un uomo d'onore, decorato di tre medaglie d’argento.
    Avv. Taddei: — Il teste da che cosa deduce che le risposte fornite durante gli interrogatori venissero verbalizzate?
    Bosello: — Nel campo di Susdal fui sottoposto ad un altro interrogatorio. Dalle domande che il commissario politico Rizzoli mi fece, mi accorsi che conosceva già le risposte che avevo dato nei precedenti interrogatori. Mi risulta poi che i fuorusciti italiani erano nient'altro che funzionari sovietici. Infatti al sergente Paolozzi furono inflitti dieci giorni di prigione con la seguente motivazione: «Si rifiutava di rispondere ad un funzionario politico sovietico». Il sergente, durante un interrogatorio, aveva detto al Rizzoli che non avrebbe mai risposto alle domande di «un fuoruscito italiano».

Tifo petecchiale

    Il secondo teste chiamato a deporre è il sottotenente dei bersaglieri Franco Santoro.
    Santoro: — Appena arrivati al campo di Oranki fummo sottoposti ad un bagno di disinfezione. La stanza era caldissima. Dopo il bagno a 30 gradi, fummo portati all'aperto con una temperatura di 35 gradi sotto zero. Alcuni morirono. Io, svenuto, fui portato in ospedale. Presi la polmonite doppia, la dissenteria e il tifo petecchiale.
    Il racconto del reduce provoca vivaci mormoni del pubblico che si tramutano in sonore risate quando il teste ribadisce che nel campo di Skit il D'Onofrio gli si presentò come cospiratore di professione.
    Avv. P. C.: — Allora bisognava ridere, non oggi; oggi è troppo facile!
    Il tenente Santoro ha narrato poi dell’interrogatorio subito insieme al teste che lo lui preceduto. Nel corso della «conversazione», D'Onofrio accusò le truppe italiane di essersi comportate malissimo nel territorio russo occupato. Disse che le truppe italiane rubavano, incendiavano, uccidevano e perciò noi prigionieri non dovevamo aspettarci un trattamento migliore di quello che ricevevamo. Il teste ha smentito le accuse di D'Onofrio. I nostri soldati, egli ha detto, quando abbandonavano i paesi occupati, erano seguiti dalle donne e dai bambini russi con i quali avevano diviso fino all’ultimo momento, il pane e anche i vestiti.
    Anche al Santoro il Presidente fa leggere la copia dell’ordine del giorno esibito dalla parte civile, ma il teste lo disconosce.
    Chiamato insieme al cap. Magnani, per un secondo interrogatorio, e invitato perentoriamente a mutare il proprio atteggiamento che influiva sugli altri e soprattutto sui soldati, il teste disse al D'Onofrio che non poteva tradire i suoi bersaglieri morti. «Lei parla troppo dei suoi bersaglieri — lo interruppe D’Onofrio —. La differenza che passa fra lei e loro è soltanto questa: lei è un criminale di guerra vivo, quelli sono dei criminali di guerra morti».
    Il tenente Santoro si gira lentamente sulla poltrona e fissa il querelante, che lo ha tacciato di falso e di impostura, con sguardo di sfida.

vedi didascalia
Il cap. magg. Giuseppe Nacca, infermiere, fu scambiato per un ufficiale medico dalle autorità sovietiche e così scampò da una morte sicura. Tutti i suoi compagni furono passati per le armi.

Le udienze
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