Curiosità sulle inondazioni


Colpa del Governo?

    L'osservazione è di Florenzio Tertulliano, l'apologista cristiano del secondo secolo, il quale dice che certa gente ai suoi tempi «metteva innanzi a giustificazione del proprio odio anche la diceria idiota secondo cui i cristiani sarebbero la causa, sin dall'origine, di tutte le calamità pubbliche. Se il Tevere straripa in città, e il Nilo non straripa in campagna; se il cielo non si muove e la terra si muove, se c'è una carestia, un'epidemia, eccoli subito a strillare: i cristiani al leone!
    Ehi, conclude lo scrittore, tanta gente a un leone!?».
    Oggi molti cristiani sono andati al Governo in Italia e si chiamano democristiani. Appena il Po ebbe rotto gli argini ecco certa gente ad esclamare: la colpa è di De Gasperi!
    In una memorabile inondazione del Mantovano, avvenuta nel 1493, tutta la popolazione diede la colpa della rottura degli argini del Po alle arti malefiche di una strega ; e la strega venne presa e solennemente bruciata nel mezzo della piazza di S. Pietro in Mantova. Forse quella povera vecchia ne aveva tanta colpa come De Gasperi. La gente è fatta così; e vuole il capro espiatorio. Qualcuno va a pescare i colpevoli un po’ alla larga, come faceva l'astronomo Toaldo, quando parlava «della vera influenza degli astri» nelle alluvioni, e, a giudicare da quanto ha detto recentemente il Bendandi, gli astronomi non sono i più lontani dalla verità.
    Nel dizionario storico del Valdrighi, a proposito delle inondazioni dell’epoca dei barbari, si dice: «La barbarie è sgoverno permanente, e, fra le caratteristiche degli sgoverni, sono anche le inondazioni. Come infatti pensare, tra 1’orgia barbarica, alla conservazione e tutela delle arginature, alla buona condotta delle acque?». Questo che è detto dell’epoca barbarica non si può certo dire dell’Italia di oggi che usa tutta la vigilanza e le cure delle migliori nazioni civili.
    Certo, se un qualche governo italiano avesse i mezzi per costruire straordinarie misure precauzionali atte a difenderci «per sempre» dalle inondazioni, sarebbe una gran bella cosa, ma per ora bisognerà mettere da parte le voglie.
    E tanto meno ci poteva pensare un Governo De Gasperi, uscito dopo una guerra estenuante e perduta, con un pauroso «deficit» finanziario. Perchè quando le cose vanno bene, tutto procede liscio, ma quando gli elementi della natura si scatenano e fanno sul serio non ci sono «argini d'acciaio» che valgano a frenare le acque. La storia insegna molte cose in merito: e lo squagliarsi delle nevi, la furia dei venti, il diluviare delle piogge finora hanno sempre vinto nonostante la sincera buona volontà di rimediarvi di molti uomini di governo. Sicchè potremo concludere che, se fra le caratteristiche degli sgoverni ci sono anche le inondazioni, tuttavia le inondazioni sono avvenute anche sotto i migliori governi!

L'inondazione è stagionale?

    Si è portati a pensare che il periodo determinato delle inondazioni sia l'autunno. Anche l'ultima recente calamità del Polesine e delle altre zone d'Italia ha scelto questa stagione autunnale in cui un caldo ritardato ha continuato nel disgelo delle nevi e le insistenti piogge di settembre e ottobre hanno sovraccaricato i torrenti e i fiumi.
    Invece le alluvioni purtroppo non conoscono stagioni. Si sono avute inondazioni, ed anche tremende, in tutti i mesi dell’anno, da gennaio a dicembre. Nel 1336 le acque del Po ruppero gli argini il 17 gennaio e le acque gelarono completamente nelle campagne moltiplicando i disastri. Numerosissime poi si contano le inondazioni primaverili, dannosissime per le campagne, come pure quelle avvenute nei mesi di maggio e giugno con la distruzione delle messi. Sicchè la minaccia dell'acqua è sempre pendente sulle campagne vicine ai fiumi e la paura di quei contadini non conosce pause ogniqualvolta l'insistere delle piogge e l'ingrossarsi dei corsi d'acqua si fa preoccupante in qualsiasi mese dell’anno.

Mors tua, vita mea...

    E’ una brutta frase questa che non si dovrebbe mai pronunciare. Eppure è uno stato d’animo che naturalmente si forma sotto l'incombente minaccia di rotture d’argini, nelle popolazioni che vivono od hanno i loro beni in prossimità dei fiumi.
    Quando il Po o qualche altro fiume è in piena e supera il segnale di guardia e cresce, cresce, senza accennare mai a fermarsi, e per caso rompe sulla sponda sinistra, quelli che abitano a destra si rattristano, sì, ma però respirano anche con un certo sollievo e dicono: meno male che ha rotto di là! Così press’a poco devono aver detto quei di Brescello il giorno d’Ognissanti del 1595 quando fecero suonare le campane a martello tutto il giorno per invitare la popolazione a fuggire subito per il pericolo che il Po rompesse. Ma quando a sera si sparse la notizia che avevano ceduto gli argini di sinistra verso Viadana, la calma ritornò nel piccolo borgo emiliano. Così in tante altre circostanze le ansie delle popolazioni crescono in pari misura per tutte, finche non viene il tracollo da qualche parte e in un punto determinato, e gli altri respirano con sollievo.
    Talvolta nascevano delle vere liti per sospetti di rotture d’argini fatte a bella posta verso il territorio altrui. Come successe, nel 1440, quando i Mantovani incolparono i Guastallesi d’avere abbattuto la sponda di Dosolo per far defluire le acque verso i territori a sinistra del Po. Il podestà di Guastalla istituì una vera e propria inchiesta sulla base di tale accusa, ma l'insinuazione (naturalmente!) risultò del tutto infondata.

Cannibalismi e sbadigli mortali!

    La peste e la carestia sono due tristi sciagure che si abbattono quasi sempre sulle popolazioni in seguito alle inondazioni: la carestia sempre, la peste spesso.
    La carestia sempre: raccolti distrutti, campagne incolte, case atterrate, risparmi sommersi e perduti per sempre e in zone estesissime, portano con sè la miseria più nera di un largo strato di popolazione che si vede alla fame. In una cronaca di Mantova si legge che dopo l'inondazione del 1082 vi furono dei paesi colpiti talmente dalla carestia che si vide gente mangiare non solo le cose più immonde, ma perfino la carne umana!
    Anche la peste fa spesso le sue apparizioni dopo le inondazioni. Ciò accadeva specialmente nei secoli passati in cui i sistemi di disinfezione e di prevenzione erano rudimentali. Innumerevoli carcasse di animali annegati ed abbandonati nelle campagne ammorbavano l'aria ; concimaie sconvolte e diluite nell'acqua che stagnando imputridiva; fosse di cimiteri scavate dall'erosione dell'acqua e cadaveri galleggianti sui paludosi acquitrini ; pochi mezzi di cura e facilità di contagio per l'agglomerarsi dei profughi in luoghi comuni di rifugio favorivano l'infierire di orribili pestilenze che mietevano vite umane a centinaia e a migliaia. A volte si doveva procedere ad atti brutali pur di circoscrivere la pestilenza, come successe dopo l'inondazione nel basso lombardo quando Bernabò Visconti diede ordine di demolire le case infette seppellendovi sotto le rovine gli appestati stessi, e fece cacciare fuori dell’abitato, verso le campagne, i colpiti dalla peste dove morivano corrosi dal morbo e dall'inedia.
    Dopo l'inondazione e la carestia del 1082 testè ricordata scoppiò una peste orribile in cui trovarono la morte migliaia di persone ed anche illustri personaggi del tempo. Dopo l'inondazione del 589, che colpì molto anche il Modenese, scoppiò una tremenda peste inguinaria. Dicono gli storici che la gente moriva nell'atto di emettere uno sbadiglio od uno starnuto. Di qui, secondo alcuni, sarebbe sorto il diffusissimo costume di augurare «salute» a chi starnuta. E in molte zone c'è ancora oggi la consuetudine, specialmente nei vecchi, di fare un Segno di Croce col dito pollice sulla cavità orale aperta nell'atto dello sbadiglio per invocare il soccorso di Dio.

Vipere e blocchi stradali

    L'inondazione ha portato con sè molti altri guai per le infelici popolazioni colpite. Oltre alla morte di molte persone per annegamento, vennero atterrate case, palazzi, chiese; perì gran quantità di bestiame, mentre mobilio e robe vennero messi fuori uso. Perfino lunghi tratti di solide mura di cinta delle città, come a Mantova, furono abbattuti dal premere delle acque invadenti. Dolorosi particolarmente furono i crolli dei magazzeni di frumenti che formavano la speranza dei poveri, come avvenne a Governolo nel 1467 ed altrove in altre date. Spesso all'atto del prosciugamento, la fanghiglia e il putridume lasciati dalle acque limacciose davano origine, oltre che ad un fetore insopportabile, allo svilupparsi di quantità sterminate di bruchi e di vermi che poi guastavano i raccolti successivi divorando le sementi o le pianticine giovani.
    Anche le biscie e le vipere in occasione delle inondazioni si sparsero per le campagne spesse volte in grande quantità: lo stesso Virgilio parla di «ingentem viperarum vim» lasciata dall’alluvione del Po nel 44.
    La violenza dell'acqua produsse talvolta fenomeni singolari come a Ostiglia nel 1872 dove, in una svolta, la corrente impetuosa scavò una voragine profonda quasi quaranta metri.
    Gravi contrattempi succedevano in seguito alle inondazioni per le vie di comunicazione interrotte ; come successe alla Imperatrice di Russia nel 1846 che rimase bloccata a Trento per 1’inondazione nella vallata dell'Adige. Ma per i danni subiti, dalle imperatrici, specialmente della Russia, oggi nessuno si commuove....

Invece di pane, monumenti a Garibaldi!

    La solidarietà umana e cristiana ha sempre fatto sentire il dovere di soccorrere gli infelici colpiti dalle inondazioni e perciò leggiamo che le autorità di ogni tempo provvedevano alla distribuzione di viveri e di altri soccorsi per sovvenire alle più urgenti necessità. Qualche paese cercò di rinforzare le proprie difese con la costruzione di spalti ed arginelli che però a ben poco servirono. Nel tamponamento delle falle molto spesso ci fu dell’incuria e le alluvioni si moltiplicarono fino a due e tre volte in una stessa annata.
    Lo slancio religioso delle popolazioni si raccolse spesso nella preghiera attorno a qualche convento e talvolta la Misericordia Divina venne in loro soccorso. E’ commovente in proposito l'episodio di Guastalla nel 1780. Le campagne circostanti erano già inondate e la furia delle acque minacciava la città quando una folla immensa irruppe nel convento dei Padri Cappuccini, prese Padre Lorenzo da Zibello, ch'era in concetto di santità, e lo portò sugli argini del Po a benedire le acque ; e le acque del Po improvvisamente e prodigiosamente s’abbassarono.
    L'illustre letterato e uomo politico, Tulio Massarani, nel 1872 in occasione dell’inondazione, indirizzò una lettera a S. A. R. il Principe Eugenio di Savoia presidente di un certo «Consorzio Nazionale», in cui chiedeva «si erogasse il patrimonio del Consorzio stesso nella fondazione di un grande Istituto Nazionale di soccorso e credito agrario a pro delle popolazioni alluvionate».
    «Immenso è il disastro, dice il Massarani, che s'è rovesciato sulla gran valle del Po convertendo per lunga stagione i più floridi colti nelle più squallide maremme. Popolazioni intere di operosi e agiati agricoltori non sono più altro che torme nomadi ed affamate».
    Ma dell'Istituto Nazionale, secondo quanto rispose il Principe di Savoia, non se ne fece nulla perchè «contrario agli statuti del Consorzio».
    Nella rivista «La Civiltà Cattolica» del 2 dicembre 1882 c'è un articolo su «La carità cristiana e la filantropia in aiuto agl'inondati dell'Alta Italia». Vi si parla dell'inondazione del 1882 in cui sono state colpite le maggiori e migliori provincie del Veneto: Padova, Verona, Vicenza, Rovigo, ecc.
    Tra 1’altro si dice che la prima fra tutte a giungere fu 1’offerta del Papa Leone XIII. E’ descritta pure la mirabile opera di soccorso dei Vescovi, del Clero e del popolo cristiano e ci si lamenta che le società massoniche che amministravano la cosa pubblica raccogliessero molto e distribuissero poco agli alluvionati.
    Un giornale cattolico d'allora propose che le ingenti somme, raccolte in quei mesi per 1’erezione dei vari monumenti a Garibaldi nei diversi Comuni, si devolvessero pro alluvionati. Nessun Comune tenne conto della proposta, se si eccettua il Municipio di Torino che, detratte le spese per il monumento, destinò una ridicola somma rimanente per gli alluvionati.
    La nostra generazione avrà tutti i difetti che si vogliono, ma ha dato al mondo e ai posteri uno spettacolo superbo di generosità in occasione dell’ultima inondazione del 1951.

immagineLe direttive dell’«Offensiva» del Po. Dal 13 al 22 Novembre 1951 gli uomini e le cosà della pianura padana hanno dovuto reggere a 1’urto di milioni di m3 di acqua. Come di un esercito corazzato, inesauribile, che tutto travolge.

Perchè non accada mai più...

    In un articolo di Tito Poggi sul «Corriere della Sera» pubblicato verso la fine del 1907 ci si preoccupava dei rimedi da apporre alle gravi inondazioni di «tutti» i fiumi dell’alta Italia nel 1907 (molto più gravi delle inondazioni del 1905) e si proponeva il rimboschimento sui monti, la costruzione di serbatoi o laghetti alpini che avrebbero servito da valvole di sicurezza, eccetera. «Finchè la terra è bagnata — conclude l'articolista — anche di lagrime, bisogna presto correre ai rimedi per asciugarla e rammentare ai dimentichi il male e i rimedi prima che ci ripigli la fiaccona ed il sonno...».
    Purtroppo la «fiaccona» ed il sonno hanno preso i nostri vecchi ed ora tocca a noi non deludere le generazioni future.
    Non troviamo di meglio in merito che pubblicare una geniale ed ardita proposta di Mons. Anselmo Mori, arciprete di Gualtieri, noto studioso che si è occupato spesso di studi sulle inondazioni e che perciò ha un’indiscussa competenza in materia. L’articolo propone la costruzione di un grande fiume artificiale appenninico che alleggerirebbe il carico del Po scongiurando per sempre le inondazioni del nostro maggior fiume.
    La parola dunque a Mons. Mori:
    «Nella spaventosa alluvione che quasi improvvisamente ha sommerso il territorio che va da Gualtieri a Poviglio, ora di fronte al gravissimo avvenimento, si sta pensando al modo di difenderci contro i pericoli del Po che potrebbero rinnovarsi a breve scadenza. Un marmo romano, scoperto a Pegognaga, porta la dedica: Pado Patri (al Po padre): ma se il Po reca vantaggi fertilizzando le nostre campagne, talvolta, come ora, diventa vindice inesorabile delle umane nequizie.
    E’ noto a tutti che non solo i paesi posti tra il Crostolo e 1’Enza, ma anche Guastalla e Luzzara saranno sempre minacciati dalle acque del Po. Questi paesi si sono salvati per la rottura del Crostolo che ha scaricato le acque su Gualtieri e sui paesi vicini. Ora il Genio Civile e le Autorità Governative pensano a chiudere la falla dell’argine del Crostolo. E’ una bella cosa, questa, ma mettiamoci ben fermo nella mente che tale provvedimento non può essere che momentaneo, e non ci assicura contro i pericoli dell’avvenire. I nostri argini del Po sono insufficienti e lo saranno ancor più in seguito. Infatti stavano tutti per tracimare.
    Nella triplice inondazione del 1765 gli argini del Po erano alti la metà degli attuali. Calcolando però che in questi 186 anni, il fondo del Po, per i detriti portati dalle acque, è aumentato di circa due metri, proporzionale a questo aumento deve essere quello degli argini.
    Sarà quindi ammissibile che il rimedio definitivo possa essere il continuo alzamento degli argini? Crediamo di no.
    Anche togliendo lo stretto di Borgoforte per permettere all'acqua di scorrere più rapidamente al mare, si avrebbe un vantaggio temporaneo e si aumenterebbero i pericoli per la Val Padana inferiore.
    Cosa definitiva invece, e assolutamente necessaria, sarebbe la creazione di un fiume appenninico, a cui i competenti su questa materia hanno pensato e pensano ancora. Diversi sono i progetti preparati su questo argomento, cominciando da Raffaele Tirelli, nella prima metà del 1600 fino ai progetti dell’ing. Manfredi e dell’ing. Tacchini alla metà del 1800.
    Il migliore di questi progetti prevede la presa di acqua dal Po al dì sotto di Alessandria, la fa andare nel fiume artificiale seguendo il piede dei colli di Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Forlì, Adriatico. L’andamento rettilineo il più possibile e con la necessaria pendenza, aiuterebbe lo smaltimento delle acque dei torrenti dell'Appennino che vi dovrebbero sfociare tutti.
    Si renderebbero inutili tutte le bonifiche meccaniche, costosissime per l'impianto ed il funzionamento, si potrebbe avere forza motrice in quantità considerevole; centinaia di migliaia di ettari di terra golenale verrebbero assicurati all'agricoltura, si risparmierebbero annualmente i milioni che costa il Po, per vederlo docile ai conati della scienza. In una parola, con la creazione del fiume appenninico cesserebbero le preoccupazioni, i danni, le vittime umane, perchè il Po subirebbe un salasso tale da ridurlo alle proporzioni di un torrente innocuo.
    Certo la spesa per la creazione di questa opera colossale sarebbe enorme, ma i vantaggi sarebbero proporzionati: e più che una spesa sarebbe una capitalizzazione vera e propria per la immensamente accresciuta produzione.
    Che se noi pensassimo al bisogno di togliere la piaga della disoccupazione, non potremmo desiderare risultato più soddisfacente. Se da una parte si grida pace e pace non è, perchè si vuole la lotta incessante e ingiusta, noi, figli del Vangelo, procuriamo che si realizzi a costo di qualunque sacrificio, perchè diventi una colossale realtà.
    Quindici anni or sono fu lanciata questa proposta e questa preghiera, ma non si credette di prenderla nella dovuta considerazione.
    Ebbene, rinnoviamo questo appello accorato, di fronte alla sommersione dei nostri cari paesi, agli uomini di governo, che con intelletto d’amore si sono votati alla redenzione della Patria nostra e salvino essi questi ubertosi paesi della Valle Padana dalle sventure formidabili non difficili a prevedersi nell'avvenire».