Un po’ di storia

    il problema Comune-Orlandini ha un’origine alquanto remota: risale esattamente al 1889, data in cui venne approvato, con la legge n. 6020 dell'11 aprile di quell'anno, il Piano regolatore della città di Bologna, il quale stabiliva che almeno una parte della proprietà Orlandini in angolo tra le vie S. Felice e Lame avrebbe dovuto essere sacrificata alla pubblica utilità, per la creazione della nuova via Roma, ora via Marconi.
    La soluzione del problema come originariamente prospettato, non presentava particolari difficoltà, trattandosi di un fatto di ordinaria amministrazione; può sorprendere pertanto il constatare che, a distanza di oltre mezzo secolo, ancora se ne parli e si stia qui giudicando se il problema sia già stato risolto e se sia stato risolto giustamente, nel rispetto della legge.

Sclassificazione di area pubblica e primi rilievi

    È d'uopo far presente che la questione fu portata per la prima volta al nostro Consiglio il 2 ottobre 1950 e vi fu portata indirettamente, direi.... «sottobanco». Quel giorno infatti, al n. 16 dell'Ordine del giorno figurava il seguente oggetto:
    «Cancellazione dall'elenco delle strade comunali di una striscia di suolo pubblico in via Lame, di fronte agli immobili segnati coi civici numeri 2-4-6».
    Dopo la lettura del partito di deliberazione, presi la parola per chiedere chiarimenti; ma, né l'Assessore Pallotta, né il Sindaco, furono in grado di rispondere: dissero semplicemente che si trattava di attuare una convenzione dell'anteguerra ed il Sindaco ammise che l'area da sclassifìcare, di 138 mq., era già stata consegnata a privati. Non potendo fornire altre informazioni, né spiegare le prime irregolarità apparse e da me rilevate, il Sindaco propose di rinviare l'oggetto a una prossima seduta.
    Il 6 novembre 1950, il partito di deliberazione fu ripresentato al n. 6 dell'Ordine del giorno ed il Sindaco prese subito la parola per fornire al Consiglio un quadro del tutto soggettivo e inesatto della questione. Disse, fra l'altro, il Sindaco:
    «Questo ciglio stradale fu deciso, in un primo momento, secondo il Piano regolatore 1889; poi fu ripreso in esame nel 1942 e nel 1942 vi fu una seconda deliberazione. Fra il 1949 e il 1950, per intervento della Soprintendenza ai Monumenti, del Consiglio Superiore delle Belle Arti e del Ministero della Pubblica Istruzione, si ebbe la decisione definitiva che prevede, all'incirca, ciò che prevedeva il piano regolatore del 1889...». Disse ancora: «... avveniva in questo modo, che la proprietà cedeva al Comune un'area che è all'incirca di 250 mq., area che non è ancora stata pagata dal Comune, mentre il Comune doveva cederne 105 circa...». «Questo terreno deve essere pagato. Però il proprietario è creditore dei 250 metri che ha ceduto al Comune e quindi si dovrà procedere ad una operazione che tenga conto del credito e del debito....».
    Riguardo alle obbiezioni da me sollevate nella precedente seduta, circa la irregolare riconsegna alla proprietà Orlandini di tutta l'area e fabbricati in angolo S. Felice-Lame, in possesso del Comune fin dal 1935-1936, il Sindaco spiegò che così doveva essere fatto a termini di una convenzione stipulata dal Comune con l'Orlandini nel 1936; e che, con la delibera di Giunta del 28 marzo 1950, che autorizzava la riconsegna integrale all'Orlandini di tutta la sua ex proprietà, il Comune aveva realizzato una grossa economia «dell'ordine almeno di una decina di milioni». Negava quindi ogni irregolarità, mentre, proprio dalle sue parole, i miei dubbi sulla irregolarità degli atti amministrativi compiuti dagli uffici comunali e dalla Giunta, prendevano sempre maggiore consistenza. Infatti avevo notato: 1) che il Sindaco era stato piuttosto vago nell'indicare il Piano secondo il quale si era potuto determinare il ciglio stradale, cioè, non aveva detto con chiarezza in forza di quale provvedimento era stata definita la sistemazione edilizia di quella zona; 2) che la proposta cancellazione seguiva, anziché precederla, la consegna di suolo pubblico a privati e senza neppure un preventivo accordo sul prezzo di cessione; 3) che, mentre si affermava, di aver dato doverosa esecuzione ad una convenzione anteguerra, si dichiarava che la Giunta aveva sensibilmente migliorato le condizioni poste dalla convenzione stessa, il che significava che detta convenzione era stata, almeno in parte, modificata dalla Giunta comunale, oltrepassando i limiti della propria competenza; 4) che la convenzione costituiva uno strumento alquanto complesso e molto opinabile, per cui non poteva convincere l'interpretazione che di essa ne dava il Sindaco, senza che tale interpretazione fosse suffragata almeno da un parere dell'Ufficio Legale del Comune e da un doveroso esame dei documenti. Notai ancora molte altre contraddizioni e inesattezze, nel corso della discussione. Debbo confessare che, non conoscendo ancora a fondo il problema, i miei interventi furono principalmente diretti a porre il Sindaco e la Giunta nella condizione di dovermi essi stessi rivelare, con le loro dichiarazioni, dove effettivamente stessero le più gravi irregolarità. Ma questo mio non facile compito di indagine, preminentemente prudenziale, fu troncato dal Sindaco, con la proposta di nomina di una Commissione per l'esame di tutti i fatti che, nel corso della discussione, avevano provocato dubbi e incertezze anche ad altri Consiglieri.

Prima Commissione d'inchiesta

    L'inclusione nella Commissione anzidetta (deliberata nella seduta del 6 novembre 1950) di due tecnici della minoranza, Ing. Ferdinando Bacchi e Avv. Giuseppe Bacchi, servì a darmi la fiducia che tutta la complessa questione sarebbe stata esaminata con competenza ed obiettività, sia dal punto di vista tecnico, che dal punto di vista legale. Perciò non ho creduto opportuno interferire nelle indagini. Ormai i miei dubbi erano stati chiaramente espressi, e non potevo supporre che ci si sarebbe limitati a credere in buona fede alle spiegazioni fornite senza vagliarne il loro contenuto di verità e legittimità sui documenti. Fu così che la Commissione poté chiudere i suoi lavori nel termine di pochissime sedute, affermando nella sua relazione:
    1) che la sistemazione della zona d'incontro fra le vie S. Felice e Lame fu definita «solo con deliberazione 29 dicembre 1941, in sede di Piano particolareggiato di esecuzione del Piano regolatore 1889» e confermata con l'approvazione del Piano di ricostruzione del 30 novembre 1946; 2) che, a norma della convenzione 21 dicembre 1936, l'intera area doveva essere, come fu fatto, restituita agli Orlandini, ciò su conforme, per quanto tardivo, parere dell’Ufficio Legale; 3) che la sclassificazione proposta doveva aver luogo «in dipendenza del Piano di ricostruzione della zona e del progetto tecnico approvato dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti e dal Ministero.... prescindendo dalle persone fisiche e dagli enti che diverranno proprietari degli stabili che insisteranno nell'area di cui si tratta» (cito le testuali parole); 4) che «il provvedimento proposto dalla Giunta è esatto nella formulazione proposta».
    La relazione fu firmata dai tre membri della maggioranza Ing. Palotta, Avv. Casali e Geom. Bentini, in unione all'Ing. Ferdinando Bacchi per la minoranza; inoltre, l'Avv. Bacchi formulò alcune osservazioni che, partendo dal presupposto della legittimità dei provvedimenti che avevano resa necessaria la sclassificazione di quell'area, mettevano in evidenza, fra l'altro, che, essendo stato il partito di deliberazione sottoposto all'esame del Consiglio Comunale dopo la cessione ai terzi del suolo da sclassificare e dopo l'inizio delle costruzioni, la delibera si sarebbe risolta di fatto nella sanatoria (o ratifica, intesa in questo senso) di atti o fatti già compiuti, «limitando la liberta di giudizio dell'Organo competente, che è precisamente il Consiglio Comunale, anche in ordine alle condizioni fatte o da farsi ai frontisti per la cessione di quella porzione di terreno, ed ai rapporti eventuali fra gli effetti della cessione stessa e la situazione determinatasi a seguito dell'avvenuta restituzione integrale».
    Pur con queste osservazioni, sottoscritte dall'Avv. Giuseppe Bacchi «anche per il Dott. Ettore Toffoletto», risultava evidente che la questione non poteva dichiararsi chiusa e che essa sarebbe stata ovviamente risollevata allorché si sarebbe dovuta deliberare la cessione del suolo sclassificato ai privati frontisti. Nel corso della discussione, avvenuta in Consiglio allorché fu comunicato il testo della relazione resa dalla Commissione, non feci mistero del permanere in me di gravi dubbi circa la convenienza e la legittimità dell'avvenuta riconsegna di quell’area che fu per tanti anni in possesso del Comune e per cui furono spese tante centinaia di migliaia di lire che oggi sarebbero tante decine di milioni; e continuai a criticare tutto lo svolgimento inconsueto della pratica, che non mi lasciava tranquillo. Ma infine, la delibera di sclassificazione risultò approvata a maggioranza, con l'astensione mia e di altri sei consiglieri, fra cui l'Avv. Giuseppe Bacchi.
    Si era al 1° aprile dell'anno 1951.

Permuta di aree fra il Comune e la Simpa e scoperta del verbale falso

    Dopo oltre un anno e mezzo, cioè il 20 ottobre 1952, al n. 29 dell’Ordine del giorno della seduta di Consiglio apparve il seguente oggetto: «Acquisto dalla Società Immobiliare Marconi per azioni, «avente causa dal Cav. Giovanni Orlandini, di area in angolo fra le vie S. Felice e Lame, e cessione, alla stessa società, di una striscia di terreno di via Lame».
    Prendendo la parola, fui costretto a rievocare i precedenti di questo atto, rinnovando ancora una volta le mie critiche. E poiché il partito di deliberazione citava un verbale di riconsegna integrale datato 20 aprile 1950, nel quale era richiamato un altro verbale di riconsegna parziale di area datato 20 giugno 1949, verbali che, né io né — che mi risulti — gli altri membri della Commissione che operò nel 1950-51, avevamo mai veduti agli atti, feci notare che almeno uno di essi doveva ritenersi falso, in quanto figurava redatto il 21 giugno 1949 su carta bollata recante la filigrana del 1950. Malgrado questo grave rilievo, che aveva evidentemente impressionato gran parte dei consiglieri ed il pubblico, il Sindaco ritenne di rispondere con le seguenti testuali parole: «Trovo che la questione sollevata è assolutamente ridicola. Si tratta di una permuta di pochi metri quadrati di terreno, intorno alla quale noi abbiamo già discusso ripetutamente; e credo che non vi sia niente altro da aggiungere a quello che noi abbiamo già detto. Si è parlato di falso. Mi pare che questa dichiarazione sia assolutamente destituita di fondamento e, ripeto, ridicola. Evidentemente si tratta di un atto che ha ricevuto la data nella quale l’accordo, di fatto, è stato compiuto tra il Comune e le parti interessate. Se è stato trascritto più tardi, questo non ha nessuna conseguenza e nessun effetto. Il Comune non ne ha nessun danno. È semplicemente una manovra fatta dal Consigliere Toffoletto...».
    Ci volle del bello del buono per convincere che il partito di deliberazione, poggiante su atti di cui almeno uno non era evidentemente valido, non poteva essere messo in votazione. Finalmente il Sindaco si convinse a ritirare l’oggetto all'ordine del giorno per sottoporlo ad una Commissione «di cinque della maggioranza e di cinque della minoranza».

Seconda Commissione d'inchiesta e esaurimento del primo compito

    Questa Commissione (deliberata nella seduta del 20 ottobre 1952), presieduta dal Sindaco, sostanzialmente si limitò ad interrogare i firmatari di quell'atto, accettando le loro non certo disinteressate dichiarazioni e concludendo, con la sola riserva dei Consiglieri Alberti e Bignardi, che il verbale incriminato non aveva recato danno o vantaggio a chicchessia. In tal modo il Sindaco ritenne che il partito di deliberazione potesse essere ripresentato al Consiglio nella seduta del 27 ottobre 1952. La discussione si riaccese e ancora una volta il Sindaco dovette convincersi che il Consiglio non era ancora in condizioni di poter votare, anche perché l'Autorità Giudiziaria aveva intanto provveduto al sequestro del verbale incriminato di falso. Si convenne pertanto che la Commissione continuasse i suoi lavori con due compiti ben distinti e successivi: 1°) esaminare il partito di deliberazione per vedere se potesse essere approvato con qualche modificazione formale, 2°) esaminare tutte le altre questioni dette in Consiglio a proposito dell'argomento in discussione.
    Dopo appena quattro giorni, cioè il 31 ottobre 1952, il partito di deliberazione fu ripresentato al Consiglio, epurato di ogni riferimento al verbale 20 aprile 1950 (che, come già detto, richiamava quello incriminato) e con altra enucleazione alquanto significativa, laddove si attestava che l'area comunale era stata consegnata alla Società Immobiliare Marconi per Azioni il 20 aprile 1950: dove si vede che la Commissione volle andare più in là del mandato conferitole, cogliendo l'occasione per enucleare anche il richiamo alla nota grave irregolarità della consegna di suolo pubblico a privati, prima ancora della sclassificazione.
    Ancora una volta mi opposi a che tale delibera venisse approvata, soprattutto perché essa conteneva un'insidia, che evidentemente sfuggiva al Consiglio: non si trattava cioè di una semplice permuta di due piccole aree, ma tutta la parte narrativa, premessa integrante della delibera, doveva servire a sanare, col voto finale, le numerose irregolarità commesse e rilevate e che da tempo andavo invano denunciando. A cosa sarebbe servita la successiva indagine della Commissione sul secondo punto, cioè su tutte le altre questioni dette in Consiglio, quando questo le avrebbe già di fatto scontate, perché tutte contenute e discutibilmente spiegate ed accettate nelle premesse alla delibera che si voleva a tutti i costi votare? Perciò mi battei accanitamente, sollevando e ripetendo dubbi e questioni, ma il Sindaco e una parte dei consiglieri non mi vollero comprendere, altri evidentemente non mi compresero o non penetrarono il problema, come quel Consigliere che a un certo punto, caduto nella suggestione, si alzò a dire che l'attardarsi in quella discussione impediva di discutere invece «dei problemi la cui soluzione interessa la cittadinanza», quasi che la strettoia di via S. Felice, con i suoi addentellati più o meno oscuri, non fosse un problema di interesse cittadino. Disse ancora, che la discussione, costituiva degradazione del Consiglio di fronte alla cittadinanza di Bologna, discredito della Commissione e uno sconcio che doveva essere una buona volta stroncato e servire di monito per l'avvenire. Questa incontrollata uscita del Consigliere, che appena qualche giorno più tardi, in altra occasione, doveva mutare il suo atteggiamento di rispettoso ossequio verso le Commissioni, quando si trattò di criticare l'operato di altra Commissione governativa: questa gratuita attribuzione di sconcio, evidentemente diretta a chi non certo meno di lui adempie ai suoi doveri di critica e di controllo amministrativo, avendo a cuore gli interessi del Comune e di tutti i cittadini che egli rappresenta, questa clamorosa manifestazione di insofferenza e di altezzosità, produsse comunque un certo effetto. Si giunse così alla fine della discusione.
    Tentai da ultimo, durante un intervento dell'Avv. Martinuzzi a favore della delibera, di richiamare la sua attenzione sul fatto che la delibera 29 dicembre 1941, quella che secondo le premesse aveva definito la determinazione e configurazione dell'area in discussione, non era stata controllata; l'Avv. Martinuzzi chiese al Sindaco di darne lettura, ma questi si limitò a mostrare un foglio su cui era tracciata una planimetria. Ciononostante, si arrivò al voto, col risultato di ben 34 voti favorevoli su 36 presenti: astenuti soltanto due: io e il Consigliere Di Vistarino.