Sesta udienza

(mercoledì 23 maggio, ore 15)

Una testimonianza ambigua

    Nel pomeriggio s'inizia la deposizione di testi le cui esperienze provengono dall'esterno dei campi anziché dall'interno. Il primo teste, Gregorj Petroff, é un ingegnere russo di 43 anni, figlio di un avvocato; è fuggito dall'U.R.S.S. nel 1950.
    Il teste ha avuto modo di conoscere il regime dei campi di concentramento dal 1936 al 1940, in qualità di reclutatore di detenuti per l'industria sovietica.
    Si apprende che l'assunzione di prigionieri da parte di industriali è cosa frequente: quando i lavoratori liberi non sono più sufficienti alla realizzazione del piano di fabbrica, i dirigenti si rivolgono alla N.K.V.D. che affitta la mano d'opera alle industrie in base a regolare contratto. Il contratto consente alla polizia di sorvegliare il lavoro e prevede una rata d'affitto di 12 rubli al giorno per prigioniero, mentre in realtà il mantenimento di esso le veniva a costare solo 1,25 rubli. Il teste precisa a titolo di confronto che il salario medio di un lavoratore libero era di 400 rubli al mese.
    I prigionieri sono generalmente impiegati nei lavori pesanti delle miniere e delle cave di pietra: lavorano coperti di stracci, portano ai piedi brandelli di scarpe e giungono al termine della giornata completamente sfiniti, Il teste precisa che la popolazione non conosce l'esistenza dei campi perché il governo ha cura di dissimularli strategicamente. Ai prigionieri è proibito di avere qualsiasi contatto coi lavoratori liberi, tuttavia la pietà spinge questi ultimi a fornire ai prigionieri sigarette e tabacco malgrado il rischio molto grave.
    Il teste continua precisando di non avere appartenuto al partito comunista: egli pensa che l'interferenza dei partiti politici nell'industria conduca ad un fallimento economico e si mostra molto al corrente dell'attività industriale sovietica. Non ha mai assistito a scene di vita nei campi e perciò parla solo sulla base di statistiche. Durante tutta la sua deposizione egli si limita a criticare il regime con molta diplomazia così che la sua deposizione suscita negli ascoltatori un certo malessere.

Un colonnello sovietico

    Il secondo teste del pomeriggio è il russo Vassily Yercoff, agronomo, di 45 anni, colonnello dell'esercito sovietico, decorato otto volte al valore.
    Nel giugno 1945 egli fu incaricato del rimpatrio dei prigionieri di guerra e dei deportati civili dalla Germania. Il suo campo si trovava a circa sette Km. dalla zona occidentale e il sistema di delazione obbligatoria era tale che ogni notte da 50 a 100 prigionieri evadevano dal campo. Comunque nei due mesi di giugno e luglio più di 180.000 rimpatriati transitarono per il campo. La maggior parte erano condannati d'ufficio per tradimento verso la patria e partivano verso l'est sotto buona scorta. Qualcuno, e soprattutto le donne, partiva liberamente.
    Molti prigionieri erano invece uccisi sul posto dal gruppo Smerch («morte alle spie»). Il teste ritiene che si fucilassero da 20 a 30 prigionieri ogni 10 o 12 giorni e ciò avveniva a breve distanza dal campo in una località apposita.
    Il gruppo Smerch era inoltre di una brutalità tale verso tutti i rimpatriati che molte centinaia di disgraziati tentavano il suicidio tagliandosi le vene con le scatole di conserva o impiccandosi.
    «Fu in queste condizioni che divenni, insieme ad altri ufficiali dell'esercito, un solerte fornitore di schiavi per i campi di concentramento sovietici».
    Rientrando nell’U.R.S.S. nel 1947 il teste ha incontrato delle donne che due anni prima erano state rimpatriate liberamente: esse, al loro arrivo, erano state arrestate e condannate a un minimo di tre anni di detenzione. Lavoravano in condizioni spaventose, i loro baraccamenti non avevano tetto ed erano pieni di parassiti; dormivano senza coperte e senza paglia su delle cuccette rudimentali. L'aspetto di tutte era miserabile e repellente e, malgrado vi fossero tra esse giovani di meno di vent'anni, si poteva solo con difficoltà riconoscerne il sesso.

Un funzionario dell'amministrazione dei campi

    Il terzo ed ultimo teste dell'udienza è Vladimiro Andreieff, di 48 anni, ufficiale effettivo dell'esercito sovietico dal 1918. Il teste fu nominato nel 1934 ispettore dei campi di concentramento e nel 1937 capo di stato maggiore della guardia del campo di Karaganda dove rimase sino al 1941. In quell'anno partì per il fronte e nel 1943 fu fatto prigioniero dai tedeschi.
    La sua deposizione, come quella di un ufficiale superiore della N.K.V.D. che per sette anni fu alto funzionario nell'amministrazione dei campi, è particolarmente importante.
    Iniziando, il teste sottolinea che lo sfruttamento dei campi di concentramento, seppure presenti una necessità per il governo per scopi di lavoro, è a suo parere deficitario dal punto di vista economico, in quanto la mano d'opera dei prigionieri costa più cara di quella degli operai liberi. Oltre ai bisogni indispensabili della natura umana, occorre provvedere all'apparecchiatura poliziesca, all'amministrazione regionale delle prigioni, alle guardie, ai trasporti.
    Il teste racconta poi, con molti particolari, come il capo della N.K.V.D. Ouspensky fece morire nel 1934, quando avvenne la rottura di una diga del canale Baltico-Mar Bianco, da cinque a seimila prigionieri senza doverne poi rispondere di fronte all'autorità superiore. Infatti le vite umane sono considerate meno che niente dalla N.K.V.D. e i capi non incorrono mai in sanzioni nemmeno quando fanno morire mano d'opera prigioniera.
    Su richiesta di David Rousset l'udienza è sospesa alle 18.