Prima parte

    Agli ultimi di Gennaio del '51 fui invitato a vedere il Delta.
    Nella mia risposta, letta nella piazza di Porto Tolle, il 4 Febbraio, tra l'altro scrivevo: — «Il Delta è una delle nostre piaghe, piaga e vergogna dell'Italia e della Cristianità. So che i miei cari e poverissimi confratelli del Delta sono in linea, con animo spalancato e voce coraggiosa. La loro sofferente presenza m'alleggerisce il rincrescimento di non poter accettare, per motivi di salute, il loro invito. Il bene non sopporta divisioni. Perché non è possibile intenderci, tra gente della stessa terra e che il Vangelo educò alla pietà verso l'ultimo, immagine viva di Dio? Almeno non facciamoci del male tra di noi! Con questo sofferente voto, saluto i miei cari fratelli del Delta, plaudo alla strada di fratellanza e di amore ch'essi intendono seguire, e vorrei, potendolo, scongiurare tutti gli italiani a non indurire il loro cuore davanti a tanta tribolazione, per non mettere i poveri in tentazione di pensare che solo la violenza possa strappare un po' di giustizia».

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    Cinque mesi dopo, in piena mietitura, in condizioni diverse ma non tanto da cambiare il volto delle cose e della gente, che sono i due momenti cruciali del problema, ho visto il Delta.
    Non ci fui mandato dal giornale o dal partito, non ho quindi rime obbligate, interessi da difendere o insipienze da scusare, né benemerenze da mettere in luce. Darò notizia «di quel che ho udito con le mie orecchie, di quel che ho veduto con i miei occhi e che le mie mani hanno toccato, affinché abbiamo comunione con quei nostri fratelli e sia compiuta la comune speranza» (I Giov.).

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    Per chi va laggiù e non gli si spacca subito il cuore, c'è pericolo che anneghi nel «colore» che è la maniera deteriore dell'ultima retorica, o nelle «cifre» che è l'ultima invenzione di estromettere l'uomo o di schiacciarlo sotto la massiccia razionalità della tecnica.
    C'è pure un terzo pericolo: fare di una disgrazia o di una colpa comune un'arma di partito, accontentandoci di agitare il problema invece di tentare una soluzione. Dico: tentare una soluzione, poiché i grossi problemi dell'uomo, che non sono mai di pura tecnica, non hanno la soluzione, la quale, invece, è sempre a portata di mano di coloro che, senza scoprirsi per non coprirsi di vergogna, si compiacciono di mettere il palo tra le ruote degli uomini di buona volontà, che cercano di fare subito qualche cosa per chi non può attendere.
    Non è bene perdere l'ora del bene con la scusa di voler fare cose perfette o la parte del pubblico accusatore: mestiere troppo comodo e con bersaglio così riavvicinato che non c'è più gusto a sparargli contro.
    Laggiù, nel Delta, c'è posto per i penitenti di ogni osservanza, i quali si riconoscano responsabili di ciò che non è stato fatto o di ciò che si è lasciato fare di poco giusto da almeno cinquant'anni, e che da tale non comandata ma sofferta umiliazione vedano di cavarci quello slancio che può far ritrovare il tempo perduto e riscattare il grave fallo di aver usato male un dono della Provvidenza.

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    Il Delta, infatti, non è una creazione della malvagità umana, ma una continuità dell'atto creativo che noi non abbiamo saputo completare.
    Nella Bibbia ci sono parole che ci aiutano a capire.
    «Poi, Iddio disse: Siano tutte le acque raccolte in un luogo e apparisca l'asciutto. E così fu. E Dio nominò l'asciutto Terra e la raccolta delle acque Mari. E vide che ciò era buono».
    «Poi, Iddio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza. Ed abbia la signoria sopra i pesci del mare e sopra gli uccelli del cielo e sopra tutta la terra» (Genesi).
    Alla foce dei grandi fiumi si vede in embrione come si raccolgano le acque ed apparisca l'asciutto: il che è una buona cosa, purché la signoria dell'uomo su di esso si mantenga nell'ordine della divina somiglianza.
    Il Po, che porta via alla montagna e alla pianura, prima di farsi mare restituisce, più di quanto non rubi, in terra da paradiso terrestre.
    Certo che il suo dare è capriccioso e violento e legato a leggi che non ci sembrano conformi al nostro tornaconto immediato né alla nostra fame di terra; il che ci fa impazienti e, nell'impazienza, poco intelligenti, e giusti ancor meno.
    Se non ci fossimo in tanti su poco asciutto e così bisognosi, lasceremmo alla natura il tempo necessario di coagulare la terra che il Po ci regala, e di renderla abitabile. Chi ha contato i secoli tra l'apparire dell'asciutto e la comparsa su di esso di questo strano inquilino? E che tempi duri per i primi uomini, quando le acque non erano ancora del tutto raccolte, e ogni terra era un Delta e ogni continente un Delta!
    L'uomo — non dimentichiamolo — ha una dura storia, e il suo vivere quaggiù come il suo crescere non fu mai facile, anche quando il mondo era largo, fin troppo largo. All'inizio, erano di ostacolo le poche braccia di cui la famiglia disponeva; adesso, il peso viene dalle troppe braccia che si offrono.
    Ma pioniere fu allora e tale rimarrà l'uomo, finché resisterà alla diabolica tentazione di ammazzare chi possiede o di fare degli schiavi onde evitare il costo o il gusto di lavorare insieme.

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    A principio ognuno poteva prendere quanto più terra voleva e coltivarla come voleva senza portar via agli altri: oggi, anche sul Delta, se il bonificatore, perché dispone di denaro o conta di farselo dare dal Governo, non è discreto e non si cura di chi ha soltanto le braccia, par che dia, mentre porta via a tutti, ai poveri e allo Stato. Nessuno nega le benemerenze di certi Istituti (Società, Banche, Consorzi ecc.), che si sono fatti bonificatori del Delta. Se poi la bonifica l'avessero tentata con mezzi propri e avessero fatto un posto degno ai braccianti, nessuno penserebbe di mettere in discussione il loro diritto di proprietà.
    Invece, tre quarti almeno dei miliardi spesi per tali opere sono erogazioni o contributi dello Stato, che, senza volerlo, provvide a far star meglio chi stava già bene e che per guadagnar ancor di più speculò sui braccianti, i quali, nonostante il moltiplicarsi della produzione delle terre bonificate, furono lasciati, loro e le loro famiglie, in una condizione sotto umana.
    Non mi azzardo a far conti nelle tasche dei bonificatori per non vedermi sommerso da un cumulo di bilanci così deficitari da muovere a compassione perfino il fisco, che da quelle parti deve essere blandissimo.
    Però, a occhio e croce, in perdita non devono mai aver lavorato né rischiato i poveri signori del Delta, se per difendere le loro aziende fallimentari e per non lasciarsi espropriare da un Governo «che è peggio dei comunisti» stanno mobilitando, a suon di milioni, gli assi del giure.
    Il peggio, secondo la loro mente, sarebbe nato da questa considerazione: che, mentre la piazza oggi è burrasca e domani bonaccia, una legge di buon senso in mano a un uomo di buon senso e di buon volere e che non ha paura di perdersi, può costituire una vera iattura. Ed essi si preparano a scongiurarla con qualsiasi mezzo e qualsiasi alleanza, dato che il denaro non conosce convenienza, né coltiva pudori né cura la dignità, né si lascia intenerire il cuore da nessun spettacolo. Tutt'al più, può aver paura: nel qual caso, se non riesce a comperare, momentaneamente si piega. Ma un cristiano può far paura sul serio se deve muoversi sul binario del quinto e del settimo Comandamento?

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    Ora, dopo aver visto laggiù, credo che siano proprio questi due Comandamenti che possono far paura. Infatti, ciò che l'Ente per la Riforma Fondiaria del Delta Padano viene non solo progettando, ma mettendo in esecuzione (è di questi giorni la promulgazione della tabella degli espropri) non è certo un regalo per i proprietari più o meno anonimi dell'asciutto e del bagnato. (Non attendono anche le valli l'esproprio e la bonifica?) Ma quando si pensa che sono anni e anni che lo Stato profonde miliardi per bonificare centinaia di migliaia di ettari che poi rendono a pochi benestanti, che vivono, non certo in strettezze, a Roma, Milano, Bologna, Ferrara, Padova, e che sono rappresentati in luogo da amministratori che ricordano i commendatari del sedicesimo e diciassettesimo secolo: quando si pensa che i braccianti — parecchie centinaia di migliaia — sono rimasti in tale abbandono morale e materiale che il descriverlo diventa impossibile, e incredibile la lettura, il tanto deprecato esproprio, anche se verrà fatto in maniera larga, non sarà che una restituzione parziale, un'occulta compensatio che lo Stato farà a se stesso nelle persone dei braccianti, i primi e i più a lungo defraudati.
    Di espropri e di compensi non me ne intendo, né me ne preoccupo: mi preoccupano invece alcune piccole cose che metto qui, a sgravio di cuore e di coscienza.
    Se accanto, o inseriti alle terre appoderate (l'Ente si propone la colonizzazione del Delta) rimangono grosse aziende dei vecchi padroni, tale presenza invece di agire da esempio e di stimolo sui nuovi coloni, potrebbe divenire un focolaio di propaganda disfattista della Riforma.
    Certe abdicazioni non sono mai fatte con animo definitivo, per cui chi ha denaro e rancore è disposto a buttar via del primo senza misura, pur di soddisfare il secondo, facendo fallire la colonizzazione.
    Se poi il compenso d'esproprio fosse troppo alto, l'Ente arriverebbe al possesso delle terre, ma gli mancherebbero i mezzi di appoderarle.
    I giuristi e i moralisti — questi più di quelli — dimenticandosi alquanto della lettera che uccide, farebbero bene a rammentare ai propri clienti che non si ridurranno mai a vivere come i poveri comacchiesi del «quartiere giapponese» : che se essi dovessero restituire, non dico il guadagno messo insieme sulle fatiche non equamente retribuite dei braccianti, ma i soldi avuti sine fine dicentes dal Governo, sarebbero obbligati a restituire, insieme ad ogni ettaro di terreno, una congrua somma a titolo di riparazione o di dotazione.
    E questo lo si dice, non per esigere una stimma justitia, che è sempre una summa jniuria, ma per fare qualcuno un po' più mansueto o meno violento oppositore di una legge che finisce in favore degli stessi latifondisti, alleggerendoli di una tremenda occasione di male e di una ancora più tremenda responsabilità.
    Un cammello che riuscisse ad assottigliarsi, potrebbe sperare di passare anche attraverso la cruna dell'ago.

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    L'uomo che reagisce o si impunta davanti ai piccoli guai, si piega sotto i grossi quando la paura diviene il principale regista. E, siccome il rivoluzionario di mestiere incute maggior paura del riformatore di convinzione, diviene più facile rivoluzionare il mondo, che riformarlo, poiché da una riforma ben pensata e ben decisa non si torna indietro, mentre da una rivoluzione improvvisa e violenta nasce la reazione, che restituisce le cose come prima o peggio di prima.
    Quando la paura tien luogo della ragione e fa rigare gli uomini al posto della ragione, appena s'allenta, i suoi stessi eccessi riportano, più che verso la ragione, verso l'eccesso opposto, che pare a molti il vertice della ragione.
    Gli uomini del privilegio, i beati possidentes, conoscono assai bene questa regola della storia e ne cavano una tattica redditizia, utile assai, quando il materialismo rivoluzionario è affine, se non proprio della stessa sostanza del materialismo dei contro rivoluzionari.
    Sono opposti che si identificano, poiché gli uni e gli altri si battono per raggiungere un benessere esclusivo di questa o quella classe, sovra un piano di godimento più che di equità.
    Nessuna meraviglia quindi che anche nel Delta possa capitare la solita collusione degli estremi, rendendo più aspra la strada a chi, avendo preso sul serio la redenzione di quella povera regione, sarà tentato di pensare, nei momenti di naturale stanchezza, che gli siano contro gli stessi che intende promuovere.

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    Il bene è destinato ad urtarsi continuamente a una resistenza sempre più organizzata, la quale può servirsi anche del meglio per ostacolare il bene: un meglio fittizio, più immaginario che reale, oppure un meglio di partito, più faziosità che ragionevolezza.
    Già gli agrari protestano in nome della produzione che ne avrebbe un nocumento mortale: e i socialcomunisti, in nome di quei braccianti che non potrebbero diventare coloni per la carestia di terra; per cui la coniugazione dei due può benissimo saldarsi sull'adagio delle vecchie alleanze militari: «i tuoi nemici sono i miei nemici» e viceversa, nella speranza di riuscire, così congiunti, a debellare prima l'avversario più temibile, e, in un secondo tempo, il compagno e il camerata occasionale.
    I reazionari speculano sull'irrazionale di ogni rivoluzione, credendo che le sue esagerazioni finiscano per giovare ai propri interessi: a loro volta, i rivoluzionari contano sul loro istinto e sul loro numero per travolgere definitivamente quei che la storia pare abbia irrevocabilmente giudicato.
    Non sempre però il leone supera la volpe, almeno quel genere di volpi che, oltre la naturale astuzia, possiedono un marsupio di zecchini e li sanno anche spendere abbondantemente, pur di riuscire a dividere o imbonire coloro che si son messi in mente di togliere alle volpi il monopolio di fare il bene, cioè di continuare a star bene.
    Sottovoce, e con animo addolorato, vorrei ricordare ai socialcomunisti che, in un conflitto di egoismi, quasi mai vince il più umano, ma il più forte, il più provveduto, il più smaliziato. Finché perdurano certe condizioni, eccelle l'egoismo dei latifondisti, i quali, fra l'altro, si domandano, di fronte alla rivoluzione collettivista, se valga la pena che i braccianti del Delta cambino di padrone, quando non sono sicuri se il kolkoz o l'azienda dello Stato sia più sopportabile della fattoria o azienda industriale.

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    E così, senza volerlo, solo per il fatto che uno si mette a guardare da vicino il problema del Delta, sono portato a chiedermi se, per migliorare quelle terre e rendere più umano il vivere dei braccianti, convenga tentare l'appoderamento quale è inteso dall'Ente Colonizzatore o fermarsi alla conduzione collettiva, quale viene esemplificata nei kolkoz.
    Nell'azienda industriale, tipica del Delta ma non unica purtroppo, il kolkoz, come si usa dire oggi, è già strutturato, e il trapasso da quello a questo sarebbe spedito e meno oneroso, e i braccianti finirebbero per trovare, sovra una terra divenuta collettivamente la loro terra, una certa soddisfazione, resa stabile da condizioni ambientali completamente cambiate.
    Il podere invece, secondo il pensiero marxista, è un momento superato, concordando, per strade diverse, col giudizio del liberismo capitalista, che lo trova irrazionale sotto l'aspetto produttivo. Il podere, secondo costoro, renderebbe meno, e siccome il problema sociale ha nella produzione il suo cardine, se essa cede, la sorte dell'uomo viene peggiorata.
    In un breve «rapporto sul Delta» sarebbe fuori posto il confronto fra i punti del liberismo e del marxismo, gli unici veramente in antitesi, qualora però non si dimentichi a bella posta che il podere a piccola proprietà non impedisce quella forma comunitaria che, per vie naturali, può raggiungere, attraverso la cooperazione, i vantaggi della grande azienda, e quelli sociali attraverso una distensione ed una comprensione vicendevole.
    Sul campo speculativo il dibattito non è mai chiuso, poiché, tanto da una parte che dall'altra, agiscono le pregiudiziali teoretiche: soltanto dall'esperienza può venire un'indicazione valida.
    Vogliono davvero gli uomini della Scuola sociale cristiana, che ha nel Partito e nel Governo uno strumento quanto mai valido e opportuno, condurre fino in fondo un esperimento che, uscendo dalla sterile polemica di parte, pone di fronte positivamente le due soluzioni ?
    Qualcuno troverà indelicato il dubbio, dopo che il Governo, per merito soprattutto del Ministro Segni, conferma, con la creazione dell'Ente del Delta, di aver scelto questa strada.
    Ma scegliere una strada non è tutto, se dietro non c'è un proposito fermo di camminarla fino in fondo: se il proposito non è condiviso e sorretto dalla decisione e dalla fede di coloro che si vantano di appartenere a certe scuole e non muovono un dito per realizzarne i postulati.

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    Pur limitando il mio «rapporto» all'aspetto umano del problema e riprendendo motivi già enunciati, oso ripetere che occorre molta, tanta fede per tentare la Bonifica del Delta sopra un fondamento, insidiato da sinistra e da destra, e ben più oneroso, finanziariamente parlando, di quello marxista o di quello capitalista.
    Ho l'impressione (mi auguro che sia soltanto una impressione) che anche sul criterio di Bonifica non si sia tutti concordi e pronti a fare.
    Finché si tratta di tracciare panorami o di fare della polemica o dell'apologetica, la nostra eloquenza è meravigliosa: ma nella applicazione dei principii alle diverse urgenze avviene uno sbandamento generale: molti si tirano indietro, altri si appartano o si lasciano guidare dalle opinioni o dagli interessi cui sono legati, interrompendo fin dal principio il bel viaggio insieme dell 'interclassismo.
    Basti ricordare che di fronte a certi problemi ci siamo arrivati dopo gli altri e con faccia indisposta, perdendo i meriti della iniziativa e il mordente della passione. Né ci assolve l'intenzione, la nostra, anche se buona; né quella prevalentemente agitatoria dei socialcomunisti e quel loro gusto di creare difficoltà su difficoltà per disamorarci dal fare.
    Certa spirituale pigrizia è ormai la malattia della classe benpensante, che volentieri, attraverso gli organi ufficiali, dà sulla voce a chiunque dei suoi osi muovere un lamento o richiamare l'attenzione sui guai dei poveri.
    Siamo persino riusciti a coniare l'eresia del pauperismo, per meglio colpire quei cristiani che, non potendone più, si mettono a discorrere a voce spiegata delle iniquità di questo mondo, non ancora contemplate dalla casistica borghese o da essa elegantemente archiviate.
    Come viene duramente scontato dalla cristianità questo nostro tardivo arrivare in campo!
    Ma se almeno, una volta giuntivi, bruciassimo di carità! Invece, è un tirare a far meno, a rabberciare più che a far di nuovo, aggravando le difficoltà o inventandole addirittura, procrastinando le soluzioni più facili, in attesa che il tempo ci dia motivo di non fare o distolga la pubblica opinione dai problemi scomodanti della giustizia sociale: foss'anche la guerra tale motivo di distrazione!
    Se l'Ente della Colonizzazione del Delta fosse stato escogitato dalle Sinistre, a quest'ora perfino i paracarri ne sarebbero edotti e in ogni paese avremmo un Comitato o una Costituzione del Delta. Invece, perché è cosa nostra, perché è nata da una sollecitazione cristiana, ne sanno qualche cosa solo gli iniziati.
    I pochi giornali che ne parlano, ne parlano in modo illeggibile: e i comunicati ufficiali come di un ordinario provvedimento.
    Qui non è in gioco lo stile, né il precetto che «la tua sinistra non sappia quello che fa la tua destra», ma quel fare per fare, perché ad un certo momento non si può non fare.
    Non mi illudo che questo ragionare pacato e sofferente possa destare dell'interesse intorno al Delta, e che l'Ente divenga un nostro impegno.
    Benché troppi dei nostri uomini abbiano ben altro da pensare, mi ostino a credere — e lo dico — che se si riuscisse a risvegliare un poco di onore fra di noi, così d'aver vergogna di dirci possessori di una dottrina che risolve tutto per mostrare a tutti che qualche cosa veramente risolve, quel giorno potrebbe farsi strada, nei lontani in buona fede, quella salutare riflessione che li può disincantare da una rivoluzione che rimanda di giorno in giorno le sue mirabolanti promesse, come noi, purtroppo, rimandiamo i nostri impegni.