Come si è sviluppato l'assalto ai presidi della forza pubblica

    Alle sette del 9 gennaio il presidio di quindici uomini che da un mese prestava servizio nell'interno dello stabilimento, era rafforzato in vista della situazione, con altri carabinieri e guardie, al comando del commissario-capo dr. Scillone. Lo sciopero doveva avere inizio alle 10, ma alle 7,15 apparivano i primi gruppi di dimostranti con le tipiche giubbe di pelle e con i fazzoletti rossi.
    Fu nel frattempo che il Questore, preoccupato di questa gente che stava affluendo senza uno scopo evidente ed ufficiale, sorvolando sulle formalità burocratiche, sollecitava la richiesta di una autorizzazione per un comizio da tenersi in piazza Roma al centro della città, per le 10. E' evidente però che questo comizio non rientrava nel programma predisposto dalla C.d.L. Il Questore rinnovava nell'occasione, al segretario della FIOM locale, al segretario organizzativo della C.d.L. ed al sen. Pucci, l'invito ad esercitare il massimo controllo sui dimostranti, e li avvertiva delle responsabilità per i molteplici cortei che si andavano formando alla periferia, contrariamente alle disposizioni di legge. Personalmente, il Questore diffidò il Segretario della FIOM e prospettò il pericolo derivante dal fatto che le colonne convocate a Modena, senza alcuna meta ufficiale, si abbandonassero a violenze ed a illegalità.
    Frattanto, da varie zone della città e della periferia e dai centri della provincia, giungeva notizia di un afflusso enorme e contemporaneo che aveva un aspetto, per disciplina e per direzione, di un piano prestabilito.
    Nella denuncia presentata dai parlamentari dell'opposizione alla Procura della Repubblica è detto:
    «Quando alle ore 10, per l'inizio dello sciopero, le fabbriche si erano chiuse, le singole maestranze riversandosi per le strade, avevano infatti cominciato ad avviarsi verso il centro della città per partecipare al comizio e naturalmente il viale C. Menotti, nelle cui immediate vicinanze sorgono alcune delle più importanti aziende, si fece particolarmente affollato. Per avviarsi al comizio gli operai si raccoglievano attorno ad alcune bandiere. E così ordinatamente andavano risalendo il viale C. Menotti verso la via P. Ferrari...».
    Chi conosce la città di Modena sa che le maestranze: «risalendo il viale C. Menotti verso la via P. Ferrari», non potevano avviarsi verso il centro della città. Per avviarsi verso il centro della città le maestranze avrebbero dovuto compiere l'itinerario inverso.
    Se mancassero altri elementi per suffragare la tesi della prestabilita occupazione dello stabilimento, sarebbe sufficiente questo lapsus sfuggito senza dubbio involontariamente, a dimostrare l'errore degli organizzatori rossi.
    Ore 9,30 — Il presidio dello stabilimento ha già l'esatta impressione di quello che sta per maturare. Dietro ai primi individui in giubbone di pelle e fazzoletto rosso, comparsi al mattino, si vanno formando i primi assembramenti. Dalle officine comincia l'uscita delle maestranze: sono tutti inquadrati e prendono ordini precisi da alcuni capoccia. E' a questo momento che la polizia predispone due posti di blocco, uno all'altezza dell'incrocio tra via C. Menotti e via P. Ferrari, un altro al quadrivio di via C. Menotti, via Crocetta, strada S. Caterina. I posti di blocco sono tenuti ciascuno da venti carabinieri, i quali si trovano subito a fronteggiare gruppi cento volte maggiori. Nello stabilimento sono rimasti trentacinque uomini in presidio. La pressione maggiore si verifica subito sul posto di blocco, comandato dal tenente di P.S. Santoro, ali' incrocio di via P. Ferrari e via C. Menotti.
    Alle 10,15 il commissario Scillone, dirigente del servizio di presidio alle Fonderie Riunite, telefona alla Questura la minacciosa pressione di colonne che avanzano simultaneamente verso lo stabilimento. Sono circa 10.000 dimostranti incolonnati, che giungono da via C. Menotti e dalle strade laterali convergenti su detta via; dal lato opposto e cioè da via Crocetta, S. Caterina, Nonantolana nonchè dalle campagne retrostanti lo stabilimento: infatti i primi nuclei sono già attestati sul terrapieno del raccordo ferroviario Sefta-Ferrovia Stato.
    Ed ecco alle 10,30 circa il posto di blocco comandato dal ten. Santoro è travolto. Dei venti uomini qualcuno riesce a svincolarsi ed è inseguito da una fitta sassaiola. Il vice brigadiere di P.S. Alberto Marani e l'agente di P.S. Fuso sono invece agganciati ed anche il vice brigadiere dei carabinieri Giuseppe Borsetti, è immobilizzato. Tra urla ed imprecazioni il Marani è percosso violentemente, avvinghiato e mentre uno gli grida: «molla l'arma» un altro gli pone sotto le nari un artificio lacrimogeno cosicchè il sottufficiale è gettato a terra privo di conoscenza. Il mitra e due caricatori completi in dotazione del Marani, passano così nelle mani dei dimostranti. Anche la guardia Fuso ed il vice brigadiere Borsetti, sono disarmati da gruppi che alla violenza aggiungono sollecitazioni successive, ma riescono a ricuperare le armi e sanguinanti, si ricongiungono agli altri uomini del posto di blocco che si sono attestati all'altezza del passaggio a livello della ferrovia.
    E' interessante rilevare qui come la versione dei social-comunisti giunga all'affermazione più inconsistente. Questi agenti della Celere che sono descritti come i feroci cecchini che sparano a sangue freddo, prendendo calcolata mira dei dimostranti, ecco come si sarebbero comportati: «Allorchè gli agenti della Celere, che vi stavano raccolti (al posto di blocco di via P. Ferrari) scorsero gli operai che muovevano nella loro direzione, si apprestarono tosto ad allontanarsi per raggiungere le Fonderie Riunite. E quando i primi operai si trovavano ancora ad una ventina di metri di distanza dall'incrocio, gli agenti stessi cominciavano il lancio di bombe lacrimogene e lo sparo di raffiche a salve. Lancio e spari che proseguirono mano a mano che percorrevano il tratto di viale Menotti che li divideva dalla ferrovia e poi dai cancelli d'entrata delle Fonderie Riunite». Dunque gli agenti rinculavano ed i dimostranti se ne venivano avanti... «E raccogliendo alcune delle bombe lacrimogene che ruzzolavano loro tra i piedi, andavano rilanciandole in direzione degli agenti. Ma la distanza tra gli agenti ed i dimostranti restava sempre nell'ordine indicato e cioè una ventina di metri...».
    Ora è difficile spiegare come questi agenti, così arrendevoli, potessero essere descritti, subito dopo, come atroci sanguinarii.
    La versione social-comunista dimentica invece che il Marani fu aggredito assieme ai suoi colleghi in questo momento, e che la prima vittima tra i dimostranti la si avrà molto dopo, per ammissione stessa dei comunisti.

L'invasione delle fonderie

    Frattanto si sviluppa l'azione. Anche il posto di blocco sui binari ferroviari è scavalcato. Si fa intensa la sassaiola, tanto che ad un certo momento un treno in corsa è investito da una pioggia di pietre e rottami. E' il direttissimo 21 Milano-Bologna-Roma: sono rotti numerosi vetri ed il viaggiatore Visentini Tommaso (abitante a Bologna in via Broccaindosso 44) è colpito in pieno viso da una grossa pietra e dalle numerose schegge dal vetro infranto, tanto che dovrà recarsi all'ospedale per essere medicato di una ferita alla regione oleo-cranica. Il viaggiatore Messori Irmo abitante a Modena in via Guicciardini, dichiarerà più tardi: «Ho visto — mentre il treno passava — gruppi di dimostranti armati di bastoni e di verghe di ferro che si dirigevano verso le Fonderie Riunite. La loro direzione era quella della parte posteriore dello stabilimento».
    Così si sviluppa l'azione: un gruppo di dimostranti passati al di là dei binari si porta nel retro dello stabilimento congiungendosi agli altri gruppi attestati lungo il terrapieno del raccordo e completando così l'accerchiamento dello stabilimento. Nella versione social-comunista questo è minimizzato, è un caso. «La maggior parte degli operai che avevano superati i binari, piegando verso destra, lungo la linea, raggiunse i prati retrostanti le Fonderie Riunite, nei quali si sparpagliò, mentre alcuni, avvicinandosi alla rete metallica che recinge lo stabilimento, iniziava uno scambio amichevole di parole con i pochi carabinieri di guardia. E ciò proseguì per circa un'ora». Vero è che le tremila persone che scambiavano lieti conversari con i carabinieri, si erano dati anche ad altri piccoli divertimenti, sfondando la cintura metallica ed invadendo il cortile posteriore dello stabilimento, trattenuti a distanza dalle «poche: guardie e carabinieri».
    L'invasione della Fonderia stava per concludersi: un gruppo protetto dal muretto di cinta stava avvicinandosi ai cancelli e questo gruppo aveva pure con sè una bandiera che avrebbe poi dovuto essere issata sulla fabbrica ad occupazione avvenuta. Negli altri punti i carabinieri tenevano a fatica la pressione degli 8000 dimostranti. Non più di 50 carabinieri ed agenti erano davanti agli 8000 e questa cifra di 8000 è stata fornita la sera stessa degli incidenti, ai giornalisti, durante una conferenza stampa tenuta dal Segretario della C.d.L. di Modena, Sighinolfi.
    Mentre la situazione andava sempre più aggravandosi, si udirono le raffiche di un mitra, tanto che carabinieri ed agenti si gettarono a terra per evitare di essere presi a bersaglio. Era forse il mitra dell'agente Marani, passato alle mani di un dimostrante? Altre raffiche di mitra risuonavano frattanto, sparate nella zona posteriore dello stabilimento, e non è da escludere che qualcuna delle vittime, sia rimasta colpita da tali raffiche.
    E' naturale che ciò sia escluso dai social-comunisti, ma chiunque può notare sui muri dello stabilimento il segno lasciato dai proiettili.
    I primi feriti (e se ne conteranno 13 tra gli agenti e carabinieri) venivano medicati nell'interno dello stabilimento, mentre esattamente alle 11 interveniva la compagnia autocarrata dei carabinieri del battaglione Mobile di Bologna che si impegnava lungamente e reiteratamente sino alle ore 12 per alleggerire la pressione dei dimostranti sulla forza pubblica accerchiata.
    Va fatto notare che, per impedire l'afflusso dei rinforzi, le strade d'accesso erano state cosparse di chiodi cosidetti a «Stella partigiana» appositamente fabbricati per immobilizzare gli automezzi lacerando i pneumatici. Queste «Stelle partigiane» sono formate da quattro punte che, comunque cadano a terra, restano sempre in posizione tale da penetrare sicuramente nel pneumatico.
    La pressione però dei dimostranti non veniva definitivamente liquidata che alle 13 quando giungeva sul posto una forte colonna blindata dei carabinieri di Bologna.

Le vittime e gli organizzatori

    Come abbiamo già fatto rilevare, gruppi di attivisti e staffette erano disseminate lungo via Montegrappa, via Poletti, viale Ricci, via Piave, via Tagliazucchi, via Pelusia col compito d'indirizzare le colonne dei dimostranti sulle direttive prestabilite d'assalto.
    I comunisti nella loro versione e in quella mostruosità giuridica che è la denuncia contro il Prefetto, il Questore ed il Vice Questore, si sono dilungati nella narrazione dei particolari circa l'uccisione delle sei vittime. Si vuole che l'Arturo Chiappelli, sia stato colpito da un carabiniere appostato sul tetto delle Fonderie. Va fatto qui rilevare che il Chiappelli aveva partecipato all'assalto del posto di blocco di via P. Ferrari ed era stato visto capeggiare l'assalto al blocco del passaggio a livello, tanto che gli stessi comunisti ammettono che egli cadde mentre cercava di aggirare la forza pubblica. Va inoltre rilevato, perchè la verità anche se dolorosa e penosa a dirsi, deve pur sempre essere detta, che questa povera vittima aveva un passato che certo non è quello di una persona aliena dalle violenze. Nel 1923 era stato ricoverato per ordine del Tribunale di Modena in casa di correzione; nel 1924 era stato ricoverato al Riformatorio Ferranti di Torino; nel 1926 il Tribunale di Modena l'aveva condannato per furto ad 11 mesi di reclusione; nel 1930 era stato condannato per porto abusivo di revolver; sempre nel 1930 era stato denunciato per lesioni volontarie; nel 1931 condannato per porto abusivo di pistola; nel 1933 condannato dal Tribunale di Modena a 13 mesi di carcere per maltrattamenti in famiglia e ad altra pena per minacce gravi. Nel 1944 era evaso dal manicomio di Reggio E. e nel luglio del 1949 era stato condannato per ubriachezza e detenzione abusiva di arma da fuoco. Il rispetto per un morto ci consiglia di non aggiungere alcun commento, lo traggono per loro conto i lettori.
    Alle 13,30 veniva fermato certo Giordano Santandrea di 31 anni. Alle ore 11 egli guidava una colonna di dimostranti che marciava da via Crocetta su via C. Menotti e fu visto invitare la massa a scagliarsi contro le forze dell'ordine proprio nel momento in cui queste stavano per essere soverchiate e travolte da altre due colonne convergenti su via C. Menotti. Il Santandrea quale presidente della commissione interna delle Fonderie, era stato invitato due giorni prima in Questura e diffidato a svolgere quell'intensa campagna di sobillazione tra le masse che era stata segnalata alla polizia. Durante gli incidenti i funzionari si erano rivolti a lui perchè volesse calmare i dimostranti senza ottenere però nessun risultato.
    Dei sei morti nessuno faceva parte delle maestranze dello stabilimento, e la polizia ha accertato che essi si trovavano in testa ai dimostranti e furono notati in precedenza per la loro aggressività: il Rovatti, secondo quanto è stato riferito alla Questura da fonte attendibile, rimase colpito mentre tentava di raccogliere, per lanciarla contro le forze di polizia, una bomba a mano gettata dai dimostranti e che era caduta inesplosa.
    Il Chiappelli era uno spazzino, l'Appiani un meccanico, il Bersani un calzolaio, il Garagnani un muratore, il Malagoli un bracciante ed il Rovatti un muratore. Due di essi provenivano dalla provincia come dalla provincia proveniva la maggioranza dei dimostranti.