Per capire il titolo

    Anche questo libro, come il suo titolo, ha una sua storia quasi romanzata in quanto spuntò da solo dal niente improvvisamente e contro qualsiasi progetto.
    Di gente che torna dai paesi comunisti spoetizzata, le nostre cronache ne registrano ogni giorno. Gente che ingenuamente crede alla reclame propagandistica dei prodotti senza pensare che la realtà è sempre diversa da come ci viene prospettata sopratutto da chi è interessato nella faccenda. La propaganda, si capisce, esagera sempre in meglio quando addirittura non modifica la verità.
    C'è una storiella, in proposito, messa in giro dopo la morte di Stalin. Appena passato all'altro mondo, il baffuto capo sovietico si presenta alle porte del Paradiso e vede un ambiente che non lo soddisfa affatto: vecchi dalla lunga barba assorti nella meditazione, vergini che suonano l'arpa, cori di giovani che cantano. Per Stalin questo complesso pacifico non è allettante e il vecchio rivoluzionario chiede ed ottiene di vedere qualche altro ambiente. Si presenta all'Inferno. Qui è tutt'altro spettacolo: allegre comitive occupate a bere e a cantare, donne procaci che folleggiano. «Va bene — dice Stalin — resto qui!». Immediatamente viene afferrato da quattro nerboruti diavoli che lo ficcano in un calderone di pece bollente punzecchiandolo con i loro forchettoni. «Tradimento — grida il vecchio georgiano — non è questo che mi avete fatto vedere!». «Propaganda, caro mio, tutta propaganda come la tua» gli risponde un diavolo strizzando l'occhio.
    Ho raccontato questa storiella che mi sembra adatta a far capire come sempre la propaganda in genere e comunista in specie, tradisca la realtà. Ecco perché gli smaliziati non si impressionano più di sentirsi narrare dai reduci d'oltre cortina cose ben diverse da come le prospetta la propaganda comunista.

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    C'è tutta una letteratura abbondantissima circa lo sfatamento di quel delizioso vivere d'oltre cortina scritta appunto da coloro che ne sono ritornati. Conosciamo la storia di Fred Beal, per esempio. Questo negro americano era andato in Russia ventitrè anni fa dopo aver avuto a che fare con la giustizia americana per disordini scoppiati tra gli operai tessili di Gastonia, nella Carolina del Nord. In Russia cominciò a tenere conferenze sui mali della democrazia americana e finì per chiedere il permesso di visitare la Germania, da dove rientrò precipitosamente in America per costituirsi. Meglio il carcere in America che la vita in Russia. Ciò avveniva nell'anno 1933.
    E dopo Fred Beal, Elizabeth Gurley Flynn insieme ad altri dodici organizzatori rossi, condannati a New York per delitti contro la sicurezza dello Stato. Costoro hanno rifiutato l'offerta d’essere mandati in Russia anziché scontare la pena in America. Ultimo in ordine di tempo è quel Matteo Massenzio, federale comunista di Viterbo, il quale, per non scontare quei tre anni di carcere cui era stato condannato per disordini provocati nella sua città nel marzo 1950, riparò in Cecoslovacchia. Qui si dette d'attorno ad illustrare i mali della reazione capitalistica italiana e finì, nel gennaio 1953, con lo sconfinare in Austria da dove rimpatriò dietro sua esplicita richiesta: meglio in carcere in Italia che la vita in Cecoslovacchia.

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    Giornalisticamente, quindi, non interessano più simili testimonianze. Sono già troppe. Ecco perché del mio amico Alvaro Capelli, ritornato non più comunista dalla Cecoslovacchia, io pensavo di non dovermi interessare.
    Della sua partenza da Bagnacavallo (Ravenna) ne ero stato informato nel 1950 da parte di alcuni amici e dal parroco. Per questo ultimo era stato un sollievo. Veniva a cessare quel segretario della sezione comunista, fanatico e intraprendente che tante noie gli procurava nel ministero! Deo gratias, disse il mio parroco e lo raccomandò a Dio.
    Poi negli anni successivi gli amici comunisti del mio paese mi tenevano informato, man mano, delle meravigliose realizzazioni avvenute in Cecoslovacchia. «Alvaro sta bene — mi dicevano — sta bene ed è contento! Laggiù c'è il socialismo!».
    Fino a quando una sera il caso volle che io mi recassi a Bagnacavallo per una conferenza indetta dall'Università Popolare. E ciò fu nel febbraio 1953. Al termine della conferenza alcuni amici mi ragguagliarono circa il ritorno del Capelli ripetendomi la frase che egli andava dicendo: «La Cecoslovacchia popolare non la voglio vedere più nemmeno sulla carta geografica!».
    Ebbi un'intuizione giornalistica proprio per via di quella frase originale e plastica che lasciava intravvedere laconicamente il crollo di una propaganda e di una fede comunista. Frattanto m'accorsi che il ritorno del Capelli aveva messo sottosopra il mio paese. Ne parlavano tutti, dal barbiere al cameriere del Ristorante. Caso volle che uno mi aggiungesse quella notizia riguardante la «Tugnina», la quale era andata in chiesa a portare una candela alla Madonna.
    Il gesto della «Tugnina», mamma del Capelli, fu il colpo di grazia che mi decise a scrivere la prima cronaca di questo avvenimento di paese. Una semplice cronaca che riportava i fatti così come mi erano stati narrati e dove i punti centrali non erano determinati dalla «conversione» dell’ex comunista Capelli, ma dalla «Tugnina», dall'ambiente estremista del mio paese sconvolto e dalla conoscenza che io avevo dei personaggi coi quali avevo trascorso gli anni della fanciullezza.
    La cronaca infatti comparve senza troppo rilievo, l'indomani, sull'Avvenire d'Italia con questo titolo: «Il mio paese sottosopra per il figlio della Tugnina».
    Successe un finimondo in Romagna. Il giornale andò a ruba e Capelli mi fece dire che era disposto a narrarmi per filo e per segno le sue vicende tristi d'oltre cortina.
    Fu così che il «figlio della Tugnina» divenne un simbolo inaspettatamente clamoroso e che le puntate della narrazione continuarono con sempre maggior successo.
    Insomma questo servizio giornalistico, incominciato un po' sottogamba tanto per recensire un piccolo avvenimento del mio paese, assunse un’importanza nazionale.
    Oggi non mi so ancora spiegare i motivi di un così formidabile successo e come sia nato questo libro che io non volevo stampare, ma che centinaia, di sollecitazioni mi hanno deciso a mettere fuori.