Vincono i serpenti

    La buona volontà di coloro che speravano era ormai beffata. E Mao poteva con disinvoltura soffiare tutte le pedine per mezzo dei suoi bravi giocatori.
    Non aver capito l'inutilità di buttare sul tavolo le carte della buona volontà contro le carte dell'astuzia: questo il grande errore pur senza colpa! Dopo il rito patriottico del 22 aprile, il dado era gettato e la partita scoperta. E non rimaneva più. che la speranza di scansare i colpi o almeno di smorzarne la violenza.
    Il buon Clero cinese forzò pure tutte le porte per una forma di concordato tra la Chiesa e la Repubblica, puntando sopra una diplomazia spicciola e addirittura elementare, anche se schietta e sincera.
    Ma il Governo non badava che al suo piano, studiato in tutti i particolari e con molto tatto psicologico. Così si arrivò, logicamente, a quelle riunioni di pubblica accusa, caratteristiche nelle democrazie popolari, che oltre ad essere un efficientissimo metodo di propaganda, possono considerarsi come l'istruttoria e il dibattito di un giudizio in cui il verdetto finale è già prestabilito.
    Le prime grandi riunioni di accusa si tennero, con grande apparato scenico, nella Cattedrale stessa, sempre sotto la presidenza della Polizia. Così la Cattedrale di Dio diventava il tribunale di Mao.
    Ogni sacerdote cinese «doveva» confessare tutti i suoi «delitti» perpetrati contro il popolo a favore dell'imperialismo europeo e americano. In un secondo momento «doveva» palesare i «delitti» dei colleghi e confratelli «per dar forza ad essi ad essere sinceri quando sarebbe giunto il loro turno e per dare garanzia ed edificazione al popolo» finalmente vendicato nei suoi diritti sovrani !
    Da principio gli imputati accusavano difetti esterni e comuni contrastanti con le teorie della propaganda e del metodo comunista, cioè: inesattezza nei propri doveri, poca solerzia, l'attaccamento alla vita comoda e il disprezzo della povertà e dei poveri, l'acquiescenza ai perversi voleri dell'imperialismo di ogni stampo, la disistima della civiltà orientale, la trascuranza degli interessi della classe operaia, la sopravvalutazione della classe colta, ecc. ecc.
    Ma ci pensavano gli accorti registi a richiamare al particolare, al concreto, chi si attardava a confessarsi in termini generici e astratti; allora venivano fuori accuse di misfatti e di azioni, vere o no poca importa, che non erano conosciute dal gran pubblico; la maggior parte di ordine politico, morale e sociale; poi accuse a non finire contro i Missionari stranieri, Vescovi e Sacerdoti, contro l'Internunzio Mons. Riberi, del quale si credeva di poter distinguere il rappresentante pontificio del diplomatico imperialista e intrigante.
    I cristiani erano obbligati ad intervenire a queste riunioni che si organizzavano un po’ dovunque, e chi fosse a conoscenza di «delitti» o inadempienze «doveva» parlare chiaramente se non voleva essere coinvolto nella faccenda; e per aiutare chiunque a cantare senza esitazioni e rispetto umano, in ogni caso, c'era pronta un'eletta schiera di attivisti, appositamente istruiti, che accusavano o si confessavano, in tutti i toni, e a piacere di chi dirigeva il giudizio; accadeva quindi che molti cristiani più in vista, per «salvare la faccia» ed essere lasciati in pace, raccontavano tutti i contatti avuti con i Sacerdoti e gli imperialisti e se ne chiamavano in colpa promettendo di non ricaderci più.
    Così i giudici avevano un materiale immenso per allargare la loro indagine e provare abbondantemente le accuse principali.
    Un episodio fra mille: nella riunione di pubblica accusa, svoltasi nei pressi della Parrocchia salesiana, dovette intervenire anche la nuova Madre superiora, cinese, dell'Orfanotrofio cattolico (Jen Tse T'ang) delle Suore di Carità, con l'imposizione di accusare l'ex superiora straniera di aver ucciso tante orfanelle, di averle maltrattate, di essersi comportata da imperialista insopportabile.
    Ma questa era una pretesa assurda; difatti la povera Suora, quando sta per parlare, scoppia in un pianto convulso con grande sorpresa e ammirazione di tutti i presenti.
    Il Poliziotto che dirigeva le confessioni, intuì che il disco non avrebbe funzionato secondo l'orchestra e, in previsione del peggio, corse ai ripari e parlò lui per la Suora sforzandosi di interpretare il pensiero della piangente: «Questa povera donna, ora che è divenuta superiora dell'Orfanotrofio, piange perché la straniera, scaduta d'ufficio, non fa altro che maltrattarla e metterla in difficoltà di ogni genere. Come potremo sopportare tali affronti?...».

Torna a inizio pagina               *   *   *               Torna a inizio pagina

    In tanto disorientamento di animi e con il facile accomodarsi alle voglie dei rossi, spicca di luce confortante e bella l'unanime comportamento degli alunni dell'Istituto salesiano.
    Anche in quella Casa — trasformata in tribunale — si istituì una riunione di accusa, ma inutilmente: i cinesini parlarono secondo verità resistendo a tutte le manovre degli inquisitori...
    Vana riuscì anche la tattica perversa adottata dal Governo per far capitolare pacificamente la cittadella salesiana.
    Furono consegnati più volte al Preside della Scuola molti biglietti gratuiti pro giovani del Collegio, per certi films immorali e anticlericali, con il comando di lasciarli liberi; ma neppure uno se ne valse mai, e tutti — liberamente — restarono sempre in casa.
    Allora si tentò un'altra via risvegliando nei giovani l'istinto dell'autonomia: venne e parlò un ufficiale, con una gran bella conferenza ai giovani, per accenderli e farli «cantare» contro gli istitutori e professori, quindi reclamare sul vitto, sull'insegnamento, sulla disciplina...
    «Ora che tutto il popolo cinese ha scosso il giogo imperialista, noi non dobbiamo più seguire i metodi coercitivi degli stranieri; quindi se volete uscire a passeggio, quando pare e piace a voi, o volete andare a visitare i familiari, siete liberi, nessuno ve lo può proibire, non temete perciò di essere puniti o scacciati.
    È ora che anche voi godiate tutta la libertà che il comunismo ci ha regalato!».
    Le porte rimasero sempre aperte, ma non un giovane uscì mai di proprio capriccio. Il merito di questo singolare comportamento dei convittori va tutto ai Padri salesiani che si prodigarono eroicamente per procurare ai loro «figli spirituali» sempre nuove attrattive e divertimenti.
    I comunisti — è innegabile — sparavano ottime cartucce: dar motivo a inconvenienti e lamentele che poi servivano come proteste e come pretesti per scacciare «pulitamente» gli imperialisti europei !...

Torna a inizio pagina               *   *   *               Torna a inizio pagina

    Dalle riunioni di accusa o confessioni nacque la costituzione dei «Comitati di liberazione dei cristiani progressisti», una specie di longa manus del Governo per controllare l'operato dei Sacerdoti e dei cristiani nelle Parrocchie; ad essi erano rimesse la scelta del Parroco, dei riti e la soluzione di molte questioni ecclesiastiche.
    Niente si poteva fare senza il loro permesso.
    Esempio: nella Parrocchia francescana di Wei Jan Hu T'ung il Comitato relegò i cinque Padri Olandesi in due stanze e chiuse la Chiesa al pubblico «perché non trovavano un Parroco adatto».
    Dopo l'espulsione dei cinque Olandesi, si presentò come Parroco un francescano cinese, ma anch’egli, poverino! non durò che ventiquattro ore...
    Il 10 maggio tutte le Parrocchie di Pechino ricevettero un manifesto dalle dimensioni di circa un metro quadrato, che ordinava a tutti i Parroci di ritirare immediatamente dai loro fedeli tutti gli opuscoli «reazionari» con speciale riguardo a quelli poco o meno intonati allo spirito e alla lettera del decreto sulla triplice indipendenza, per lo più stampati dalla C.C.B. di Shanghai o dalla tipografia della Cattedrale; e «si degnava» di nominarne esplicitamente alcuni, i più incriminati i «La vera dottrina della Chiesa Cattolica», «La Chiesa Santa e Cattolica», «Informazioni per gli addottrinandi», ecc.
    Dovevano essere consegnati alla Cattedrale per darli alle fiamme e tutto ciò entro il termine massimo del 15 maggio, lasciando agli inadempienti ogni eventuale responsabilità.
    Io non solo non consegnai quei pochi opuscoli che avevo, ma raccolsi dalle altre Parrocchie tutti quelli che mi mancavano per completare la mia collezione. Tradussi il manifesto e lo invia all'Internunzio, con una lettera, per chiedere il suo parere in proposito.
    Fu la prima volta che gli scrissi ed egli mi rispose con pronta sollecitudine, ringraziandomi della «preziosa collaborazione» e pregandomi di tenerlo informato minutamente sulla situazione e gli avvenimenti della Chiesa di Pechino dei quali «era completamente all'oscuro».
    Intanto il piano di propaganda anticattolica si allargava immobilizzando tutti i Sacerdoti, e particolarmente il clero indigeno dal quale si tentava di estorcere sempre concessioni fino all'aperta censura di tutto l'operato dell'Internunzio.
    Mattino del 25 maggio: l'organo ufficiale della Capitale pubblicava la foto, testo latino, della breve lettera circolare inviata dall'Internunzio a tutti i Vescovi della Cina, per informarli esplicitamente che la dichiarazione di amor patrio, emanata dalla Cattedrale di Nanchino, sua residenza, era stata fatta «a sua insaputa» e non la si poteva assolutamente approvare; stessero quindi in guardia contro le «sottili insidie degli avversari!».
    Il giornale governativo diede il «la» a una rinnovata e spietata campagna propagandistica contro Mons. Riberi, valendosi della sua circolare come di una prova irrefutabile e fresca del suo spirito sovversivo, intrigante e imperialista.
    La radio amplificò lo scandalo sollecitando l'innato senso nazionalista di tutti i cinesi. Comparve allora una lunghissima e altisonante circolare che stimmatizzava «l'indegno portamento» dell'Internunzio, usando nei suoi riguardi tutti gli epiteti della stampa governativa; e chiedeva, come riparazione all'ignobile attentato dell'imperialista, la firma plebiscitaria di tutti i cristiani veramente amanti della patria, devoti alla sovranità del popolo e riconoscenti alla democratica e progressista opera del nuovo Governo.
    È chiaro che io trascrissi fedelmente la circolare e la inviai anonimamente all'Internunzio. Aggiunsi soltanto tre postille: 1) I firmatari della circolare incorrevano nella scomunica? 2) I Confessori come si dovevano comportare con questi? 3) Infine, per fargli capire chi era il mittente e per aver risposta diretta, aggiunsi: «Colui che Le ha mandato il manifesto quindici giorni fa».
    L’Internunzio me ne diede un riscontro con mille ringraziamenti, manifestando tutto il suo dolore per l'accaduto.
    In merito alle due mie prime postille si manteneva riservato esprimendosi così: «Le disposizioni e il Decreto della Santa Sede in proposito sono troppo chiari, d'altra parte le intenzioni perniciose ed ereticali degli avversari sono altrettanto chiare che neppure i ciechi non le possono non vedere; tuttavia si giudichi e si distingua caso da caso, tenendo molto conto delle circostanze».
    La circolare in parola capitò fra le mani dei Parroci di Pechino la mattina del sabato; ma la sera dello stesso giorno il Vicario Generale si affrettava a telefonare personalmente alle principali Parrocchie che la circolare non aveva alcun valore. Malgrado ciò la mattina dopo, domenica, un Parroco, commentandola in Chiesa ai cristiani, la definì: «il più bel regalo che la Madonna ci ha portato nella chiusura del mese di maggio!». Erano presenti a quella Messa parecchi Seminaristi indigeni, i quali, al sentire questa indegna e blasfema asserzione, per protesta pubblica uscirono di Chiesa mormorando e sbattendo rumorosamente 1e porte !
    E il Sacerdote traviato: «Eccoli i reazionari, i sostenitori degli imperialisti!».

Torna a inizio pagina               *   *   *               Torna a inizio pagina

    Chi si meraviglia di tante esitazioni, specialmente del clero cinese, è bene rifletta alla caotica confusione che regnava in tutti i settori della politica, della religione e della economia per lo strombazzare fragoroso della propaganda governativa, per l'incubo di una aperta persecuzione, per i contrastanti sentimenti di amor patrio e di diffidenza e per la continua capitolazione pratica di molti cristiani innanzi all'ipocrita e diabolica tattica comunista.
    Fu in questo periodo di enorme confusione e di generale sbandamento che venne presa l'iniziativa di inviare una lettera al Vicario Generale onde pregarlo di voler dare precise direttive in merito alle questioni in atto.
    A dire il vero, l'ideatore e l'animatore di questa lettera fui io. E debbo parlarne perché fu proprio questa famosa lettera che costituì uno dei principali capi d'accusa su cui roteò la sarabanda della mia futura via crucis. Per realizzare questo mio desiderio, per vari giorni feci la spola con la mia bici, da un capo all'altro di Pechino, sotto un sole che liquefaceva l'asfalto, per raccogliere adesioni e consigli da tutti i Sacerdoti stranieri.
    In ogni tappa lo schema della lettera, che avevo già abbozzato, subiva variazioni sensibili; ognuno si regolava secondo i propri criteri personali per aggiungere o modificare.
    Come Dio volle, dopo ulteriori cernite, revisioni e modifiche si giunse al testo definitivo. Così ricominciai il mio faticoso galoppinaggio per raccogliere le firme: firmò anche il Vescovo Monsignor Haering!
    Con molta soddisfazione si constatò che la lettera era suffragata da ben più di quaranta firmatari.
    Intanto per assaggiare un po’ il terreno e capire l'umore, nonché il pensiero del Vicario, mi recai da lui. Dovetti girare tutta la Curia per trovarlo. Aveva cambiato stanza. Gli chiesi il permesso di confessare le Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, già d'Egitto; me lo concesse gentilmente.
    Mentre stavo per congedarmi lo informai che alcuni Missionari stranieri volevano inviargli una lettera collettiva per chiedergli di prendere autorevolmente una posizione chiara, onde orientare tutte le cristianità di Pechino.
    — È inutile, non c'è nulla da fare! Bisogna aspettare gli eventi!
    Il P. Lebrun, sacerdote belga, presentò egualmente la lettera collettiva che ormai era pronta. Il Vicario la lesse in fretta, soffermandosi soltanto sulle firme: «Conosco bene questi nomi, ma che volete che io faccia?».
    Così dicendo la riconsegnò al Sacerdote. Che la bruciò.
    Stando così le cose, si escogitò simultaneamente da parte nostra e di alcuni Sacerdoti cinesi (in particolare i Parroci di Wang Fu Ma e di Niu P'ae Tse) di compilare un breve manifesto a base dei Decreti Pontifici e del Codice Canonico, per sciogliere le questioni di maggiore e immediata importanza e cioè sulla illiceità delle riunioni di pubblica accusa, sulla scomunica per i firmatari dell'espulsione dell'Internunzio e per gli aderenti ai. Comitati di liberazione nazionale, ecc.
    In un secondo tempo i due testi, quello cinese e il nostro, furono fusi organicamente in un testo unico e si decise di inviarlo a tutte le Chiese con preghiera di leggerlo e commentarlo nelle Messe di orario.
    Se ormai era impossibile arrestare la valanga che i riformatori avevano lanciato sulla Chiesa di Pechino, era sempre possibile frenarla, chiarendo le numerose, delicate e assillanti questioni che travagliavano le coscienze dei fedeli costretti ad accusare Sacerdoti, Vescovi, l'Internunzio e tutta la Chiesa. Difatti ogni ora del giorno era una continua processione di cristiani che venivano da noi a chiedere se avevano commesso peccato ammettendo tutto ciò che i comunisti, con i loro ben noti metodi, insinuavano contro il Clero; come si sarebbero dovuti comportare nelle successive e obbligatorie riunioni di pubblica accusa.
    Quella domenica mi recai, per curiosità, in molte Chiese, ma con grande sorpresa e sconforto, in nessuna vidi il manifesto chiarificatore.