Lo uccise col forcale

(Diocesi di Imola)


  Il parroco di Casalfiumanese, don Teobaldo Dapporto, fu ucciso col forcale. Il suo contadino, nel pomeriggio del 14 settembre 1945, mentre sull’aia stavano questionando sulla ripartizione di una castellata di mosto, gli si avventò contro. Don Teobaldo in un primo tempo si difese, poi vistolo prendere il forcale, scappò nella stalla. Là lo raggiunse il contadino che gli spaccò il cranio vibrandogli un colpo fortissimo. Uccisolo, lo trascinò tirando quel corpo sanguinante per la tonaca, nella letamala, e lì lo nascose. Corse quindi alla Camera del Lavoro di Imola a menar vanto d'aver fatto fuori il suo padrone prete. Lo indirizzarono alla caserma dei carabinieri. Ammanettato, lo si portò nella Rocca. Rimase tanto sconvolto per ciò che gli stavano facendo (messo in prigione dopo che aveva fatto fuori il prete-padrone...) che in un momento di non vigilanza si gettò in un pozzo del carcere dove rimase morto. Don Teobaldo, un carattere romagnolo piuttosto rude, non aveva fatto misteri sul suo anticomunismo. Il contadino suo, invece, come la maggioranza della parrocchia, era integralmente rosso.

  Don Tiso Galletti, parroco a Spezzate Sessatelli, fu ammazzato a bruciapelo davanti alla porta della Canonica la sera del 18 maggio 1945, mentre stava seduto a prender fresco. Si fermò sulla strada una motocicletta. Un giovane vestito militarmente ne smontò, mentre un altro restò sulla moto col motore acceso. Il primo si avvicinò a Don Tiso, seduto accanto alla porta. Gli chiese: «E’ lei il parroco?» Don Tiso ebbe appena tempo di pronunciare un «si» che l’altro estrasse di sotto il giubbotto un’arma automatica e gli sparò contro. Poi ritornò in motocicletta, e se ne andarono tranquillamente. La stessa brutale tattica fu usata, quella sera, con altre tre persone della parrocchia. Il cadavere di don Tiso venne rimosso dai familiari. Non anima vivente accorse per i funerali. Una parrocchia rossa. Alla messa domenicale non più di sei persone intervengono. E don Galletti aveva manifestato in discorsi il suo disappunto per il comunismo ateo.

La tonaca sul volto


  Le truppe tedesche non si erano ancora ritirate, il 5 aprile del 1945, da Santa Maria in Fabriago, comune di Lugo di Romagna. Il parroco sessantenne, don Giovanni Ferruzzi, nel tardo pomeriggio avvertì la donna di servizio che egli andava al Comando tedesco per i suoi parrocchiani. Infatti c'era andato qualche altra volta, a sollecitare il pagamento agli operai della Todt, a impetrare che i suoi parrocchiani non fossero deportati in Germania, ma tenuti magari a lavorare nella zona. S'era mosso per questo don Ferruzzi, vecchio prete buonissimo e mite. Quella sera non tornò a casa. Attesero la notte e l’indomani. Lo trovarono, due giorni dopo, in un campo, lontano più di un chilometro dalla chiesa. Un colpo alla nuca e coperto il volto sfracellato con la tonaca. Sopra un cartello: «Questa fine spetta ai traditori».

  «E questo nuovo prete lo dobbiamo rispettare?», si chiesero gli estremisti di Campanile in Selva, sempre del comune di Lugo. dopo l’ingresso di don Elviro Guidani succeduto a don Giuseppe Galassi, assassinato. La risposta fu categorica. «Vedremo come si comporta. Tutt'al più lo faremo fuori come l’altro». l’altro come si è detto, era il sessantenne don Giuseppe Galassi. Il 21 maggio 1945, festa del Corpus Domini, due persone si presentarono verso sera in Canonica. Lo invitarono ad accorrere sul luogo di un disastro automobilistico per soccorrere i feriti. Don Giuseppe si lasciò condurre. Scelsero anzi un'accorciatoia attraverso i campi. l’indomani i familiari lo trovarono cadavere in fondo ad un fosso. Nessuno si presentò per il ricupero della salma e per i funerali. L’andò a raccogliere il parroco viciniore, don Gianstefani con un carretto. Non era un temperamento polemico. Durante l'occupazione si era recato qualche volta al Comando tedesco per pattuire e placare l’esosità delle richieste. Sufficiente, in questa zona, per decretare la morte ad un prete.

L’altra barricata


  Don Luigi Pelliconi e don Settimio Patuelli sono stati ammazzati per motivi opposti e dallo schieramento avverso.
  Don Pelliconi reggeva la parrocchia di Poggiolo. Aveva 65 anni. Temperamento inelastico. I tedeschi, con altra gente avevano preso posto nella sua canonica. La sua ostilità saltava negli occhi a un cieco. I tedeschi e l’altra gente se ne accorsero subito. E poche ore prima di ritirarsi, cioè il 14 aprile 1945, lo presero e lo portarono nel parco vicino alla Chiesa. Là l’uccisero, ed il cadavere lo buttarono in un serraglio che serviva da porcile. Con questa bravata si chiuse l’occupazione nazifascista a Poggiolo. Fu trovato dopo vari giorni in avviata decomposizione.
  Don Settimio Patuelli, invece, fu una delle 40 vittime dell’eccidio di Sassoleone. Egli veramente era parroco di Ostra. A Sassoleone andò in quanto il sacerdote titolare era assente. Siamo ancora in periodo di occupazione tedesca. Avviene che i partigiani uccidono due tedeschi. Piombarono immediatamente le «SS» e misero il paese a ferro e a fuoco. Don Settimio avrebbe potuto andarsene nella sua parrocchia. Volle restare tra questa gente sventurata, per compiere il suo dovere sacerdotale.
  Sassoleone è un paese di circa 600 abitanti, in collina. Tutte le case furono bruciate e rastrellati gli abitanti rimasti. Tra i 40 scelti, figurava anche don Settimio. Portati nella torre campanaria, vi furono chiusi e con la dinamite venne fatta saltare. In mezzo alle macerie non furono trovati cadaveri, ma lembi insanguinati di carne. Don Settimio aveva 52 anni: un sacerdote umile e buono all’apostolica.